27/02/09

Una rinascita verde

I leader dell’Unione Europea si riuniscono questo fine settimana per discutere della crisi economica. E’ una grandissima opportunità per creare nuovi posti di lavoro e salvare il pianeta. Clicca qui sotto per chiedere loro di aderire a un coraggioso piano i rinascita verde.

Di fronte alle crisi economica e climatica, sta prendendo piede una nuova efficace idea: la rinascita verde. Dal cinese Hu Jintao allo statunitense Obama, i leader si stanno rendendo conto che una rinascita verde – investire in fonti di energia rinnovabili, efficienza e nuove tecnologie – è il miglior modo per creare nuovi posti di lavoro e allo stesso tempo salvare il pianeta.

Tuttavia, nel vertice che si tiene questo fine settimana i leader europei rischiano di non cogliere questa opportunità , se non facciamo sentire numerosi la nostra voce.

Alcuni politici europei, condizionati da interessi particolari, non riescono a superare la vecchia visione secondo cui per sostenere l’economia è necessario danneggiare l’ambiente, e viceversa. Se questa visione si impone, ingenti somme di denaro saranno spese per una crescita che avrà effetti devastanti per l’ambiente, mettendo in pericolo il mondo intero. Ma se alziamo ora la voce, possiamo far sì che si affermi un’inversione di rotta verso un’economia più verde e pulita che benefici tutti.

Clicca qui sotto per mandare un messaggio ai leader europei, chiedendo loro di impegnarsi per un piano di rinascita verde.

http://cdn.avaaz.org/it/europe_green_recovery

La rinascita verde non è un sogno, è già cominciata. Gli Stati uniti si sono impegnati a investire quasi l’1% del PIL in programmi di ripresa sostenibili. La Cina sta facendo veloci progressi, dedicando oltre un terzo del suo vasto programma per la ripresa economica a investimenti per l’ambiente, mentre la Corea del sud sta investendo due terzi del suo pacchetto economico nell’efficienza energetica, in lavori “verdi”, trasporto pubblico ed energie rinnovabili.

La corsa globale verso un futuro più verde e più pulito potrebbe cominciare da qui. Ma se non riusciamo a passare a un sistema alimentato da energia pulita, qualsiasi crescita economica rischia di essere strozzata da una nuova impennata dei prezzi del petrolio nei prossimi due anni.

E’ in gioco molto più dell’Europa. Ad aprile, i rappresentanti delle 20 più grandi economie del mondo si riuniranno a Londra per discutere i piani globali per una risposta coordinata alla crisi economica. Agendo ora, possiamo far sì che la ricrescita sostenibile sia al centro della loro agenda economica e che i leader del mondo comincino il cammino che porta al nuovo accordo sul clima che sarà firmato a dicembre a Copenhagen.

Se un numero sufficiente di persone scrive ora ai nostri leader, possiamo mostrare loro che rifiutiamo l’aut aut tra economia oggi e clima domani, perché è falso. Vai ora al nostro link per chiedere all’Europa di aderire subito alla rinascita verde, che crea i lavori del futuro, pone fine alla nostra dipendenza dai combustibili inquinanti e pone le basi per una crescita economica sostenibile:

http://cdn.avaaz.org/it/europe_green_recovery

25/02/09

Accordo nucleare tra Sarkozy e Berlusconi! La morte della democrazia e non solo...

E' stato fatto un referendum l' 8-9 novembre 1987, e la maggioranza aveva deciso per il NO alle centrali nucleari! Tutti, compresa la destra votarono per il NO AL NUCLEARE, solo qualcuno delle "fazioni" di centro votarono per! Ed ora? ... se questa la chiamano DEMOCRAZIA!
Ma sono gli interessi del premier che sovrastano ...

Quando invece ci sono sitemi migliori e PULITI per produrre energia PULITA e SALVARE IL MONDO!!!
Vi invito a leggere il POST seguente (
L'Atlante per l'ambiente - Analisi e soluzioni) e quello del 24/06/08 No al Nucleare, Sì all'Energia Pulita.

... e come diceva qualcuno che non mi ricordo chi: Non c'è più il futuro di una volta!

24/02/09

L'Atlante per l'ambiente - Analisi e soluzioni

Ho acquistato online questa importante pubblicazione "L'Atlante per l'Ambiente" Le Monde Diplomatique / Il manifesto al modico prezzo di €uro 8,00, soldi spesi bene, con spedizione Postale gratuita!

"La pubblicazione è costituita da agili testi inediti di approfondimento, a firma dei maggiori esperti, accompagnati da 150 carte e grafici dedicati ai grandi problemi dell’ecologia.
Un’articolata riflessione collettiva introdotta da Ignacio Ramonet e coordinata da Dominique Vidal, Philippe Bovet, Agnes Sinai e Philippe Rekacewicz, responsabile dell’equipe dei cartografi.

L'Atlante per l'Ambiente. Analisi e soluzioni. 96 pp., 150 cartine e grafici."

Lo consiglierei a tutti gli insegnanti delle scuole, utile per informare con grande cognizione causa, gli studenti della reale situazione della nostra terra, per istruirli e indirizzarli ad una vita migliore ed alla cultura del rispetto personale ed ambientale; lo consiglierei a tutti quelli che sono incazzati neri col mondo per come và, per creare coscienza, perchè i media ne parlano così poco, lo consiglierei da usare come manuale di difesa!

Dopo un'interessante introduzione di Ignacio Ramonet direttore di Le Monde diplomatique con Paura e profitti, la pubblicazione si articola in due sezioni:
1| Ciò che minaccia il mondo
2| Ciò che può salvare il pianeta
aiutano a comprendere i pericoli che incombono sull’umanità nel XXI secolo:
il vuoto giuridico internazionale sulle responsabilità delle imprese nei disastri ambientali; le cause e gli effetti dell’incontrollabile sconvolgimento del clima; l’impatto delle catastrofi naturali e di quelle ecologiche sull’ambiente e sulla diversa qualità di vita delle persone, nel Nord e nel Sud del pianeta.
E servono a individuare le poche cose che si possono fare subito, per proteggere l’ambiente dagli appetiti neoliberisti, rispettandolo in quanto bene comune.

19/02/09

LA RECESSIONE IN ATTO DÀ FUOCO ALLE PROTESTE

La brace SOTTO LA CRISI
Un grido d'allarme si leva per l'ondata di manifestazioni scatenata dagli effetti sociali del terremoto economico in atto. Dai cortei italiani e francesi alle insurrezioni studentesche in Grecia, dall'amaro risveglio nei paesi neofiti del capitalismo in Europa orientale al protezionismo salariale britannico, la conflittualità riesplode, ma quello che è cambiato davvero è la nuova paura dei «decisori»
«La perdita dei posti di lavoro minaccia la stabilità in tutto il mondo» titolava in prima pagina il New York Times di domenica. È un grido d'allarme che riflette l'ansia con cui finanzieri e industriali - o, più pudicamente, «i mercati» - monitorizzano gli effetti politici e sociali della recessione in atto.
La domanda è: quanto è giustificato questo allarme dalle proteste in corso, e quanto invece riflette il timore per quanto deve ancora avvenire? Abbiamo ancora negli occhi l'imponente corteo della Cgil di venerdì scorso a Roma. E certo, il riepilogo offerto dalla Reuters delle proteste scoppiate in giro per l'Europa non può non colpirci.
Particolarmente inquieti sono i nostri vicini greci, a giudicare non solo dai blocchi stradali organizzati a gennaio dagli agricoltori (ancora in questo mese la polizia ha represso manifestazioni contadine a Creta), ma soprattutto dalle insurrezioni studentesche di dicembre, alimentate tanto dall'ottusa repressione governativa quanto dall'altissimo tasso di disoccupazione giovanile.
Né sono più tranquilli i nostri vicini occidentali: a gennaio più di 2,5 milioni di francesi sono scesi in piazza per protestare contro la (non) risposta alla crisi data dal presidente Nicholas Sarkozy. Ma forse è sfuggito a molti che le proteste più violente si sono scatenate non sul territorio metropolitano francese, ma in quella parte di Francia che è situata nei Carabi, nell'isola di Guadalupe, paralizzata per tre settimane da uno sciopero generale contro l'alto costo della vita: i protestanti hanno bloccato strade, supermercati, pompe di benzina.
Il malcontento serpeggia anche in Germania, come è dimostrato dal recente sciopero del settore pubblico e dagli avvisi di sciopero depositati nelle ferrovie (e a Lufthansa).
Gli italiani hanno poi seguito con inquietudine le azioni degli operai inglesi che protestavano contro l'azienda francese Total che aveva assunto lavoratori italiani e portoghesi per ampliare una propria raffineria nel Lincolnshire: per la prima volta da anni è emerso qui un protezionismo non mercantile, ma salariale, un «protezionismo operaio». Per quanto il tasso di disoccupazione in Gran Bretagna (del 6,1%) sia ancora tra i più bassi in Europa, il suo aumento rappresenta una brusca inversione di tendenza rispetto al boom degli anni (1997-2007). E nella City la situazione è ancora peggiore, visti i licenziamenti a raffica del settore finanziario: martedì scorso i bancari hanno dimostrato di fronte a Whitehall.
Interessante è il caso dell'Islanda: questa piccolissima nazione (286.000 abitanti) era assurta a perno della finanza mondiale, un ruolo spropositato con le sue risorse. Il crollo dell'autunno scorso ne ha fatto esplodere la bolla speculativa, e a gennaio l'isola dei ghiacci è stata scossa da manifestazioni, alcune insolitamente violente, tanto che il primo ministro Geir Haarde si è dovuto dimettere, sostituito da una coalizione di centrosinistra.
Ma dove l'impatto si è rivelato più duro e il risveglio più amaro, è stato nei paesi neofiti, appena convertiti al capitalismo. In Bulgaria, dopo che il mese scorso una sommossa aveva già sconvolto Sofia, la settimana scorsa sono stati i poliziotti a protestare per ottenere un aumento salariale, mentre i contadini bulgari bloccavano l'unico ponte sul Danubio che collega con la Romania. In Montenegro, gli operai di un'impresa di alluminio di proprietà russa hanno chiesto a Podgorica la riapertura della fabbrica chiusa per la crisi, appoggiati dai coltivatori di tabacco e dai siderurgici di Niksic. Inverno caldo anche nelle repubbliche baltiche: a gennaio in Lituania la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro dimostranti che tiravano pietre contro il parlamento (80 arresti e 20 feriti), mentre anche nella vicina Lettonia 10.000 manifestanti affrontavano la polizia per protestare contro gli annunciati tagli salariali. Anche i contadini hanno lanciato una serie di azioni sfociate il 3 febbraio con le dimissioni del ministro dell'agricoltura lettone.
La lista può continuare: la protesta a Banja Luka dei metallurgici bosniaci della fabbrica di alluminio Birac; la sequela di proteste che dal mese scorso scoppiano un po' in tutte le città russe e la persistente agitazione degli importatori di auto usate a Vladivostok (vedi articolo accanto).
Insomma, sembrerebbe davvero che la brace sta covando sotto una lunga cenere, che la recessione stia scuotendo inerzie decennali. Ma è davvero così? Per il momento è troppo presto per dirlo. Anzi, a scorrere le passate cronache degli scioperi nei vari paesi, si potrebbe persino sostenere che per il momento il livello di conflittualità non è più alto del solito: scioperi e proteste scoppiano ogni mese in qualche parte d'Europa e del mondo.
Quel che è radicalmente cambiato è il livello di attenzione prestato dalle classi dirigenti alle azioni salariali. L'impressione è che i «decisori» (per usare il brutto termine coniato dagli eurocrati) si stiano impaurendo per le conseguenze di una crisi di cui non avevano misurato l'ampiezza. Come è noto, i «mercati» hanno un'idiosincrasia per la piena occupazione, quando la forza lavoro ha più margini di contrattazione e dispone di leve più forti, tant'è che a ogni aumento della disoccupazione le borse registravano storicamente un rialzo. Ma una cosa è l'occupazione «non-piena», altra cosa è il dilagare della disoccupazione di massa che si delinea all'orizzonte. Tanto più che continuano a piombare pessime notizie, come il crollo dell'economia giapponese il cui Pil è sceso del 12% in un solo anno, il calo peggiore dalla seconda guerra mondiale. O come i 20 milioni di immigrati nelle città che in Cina hanno dovuto riprendere la via delle campagne perché licenziati. Nell'ansia con cui trepidano gli organi di stampa del gran capitale s'intralegge anche un altro timore: quello di aver esagerato, di aver tirato troppo la corda (quella dello sfruttamento), di aver tanto lesinato sulle retribuzioni da distruggere ogni domanda al consumo.

[fonte: di Marco d'Eramo IL MANIFESTO INTERNAZIONALE 17.02.2009]

13/02/09

No ai licenziamenti! Un anno e mezzo fa: i lavoratori della Terim:

18/lug/2007 No ai licenziamenti! Alla Terim, un'industria di tre stabilimenti nella provincia modenese, sono state avviate le procedure di licenziamento per circa 300 dipendenti, in quanto la direzione dell'azienda vuole delocalizzare la produzione all'estero. Per questo motivo gli operai e i sindacati stanno lottando per mantenere il proprio posto di lavoro e il sito produttivo. Nel servizio sono raccolte le testimonianze di alcuni lavoratori durante una giornata di picchetto.


TERIM MODENA DI NUOVO IN LOTTA 23-1-2009...

«Farò della Sardegna il più grande giardino d'Europa»

Berlusconi, una partita in prima persona
Questione nazionale
«Farò della Sardegna il più grande giardino d'Europa». Di promesse, in questa campagna elettorale, Silvio Berlusconi ne ha fatte tante. Ma quella di trasformare l'isola in una gigantesca propaggine del parco di Villa Certosa, la sua dimora in Costa Smeralda, rende meglio di tutte le altre lo spirito proprietario con il quale il Cavaliere affronta il duello diretto con Renato Soru. Proprietario innanzitutto, il leader del centrodestra, del Partito della libertà, al quale ha imposto un candidato debole, Ugo Cappellacci, figlio di uno dei suoi commercialisti, perché la partita deve essere giocata da lui in prima persona. I sondaggi, da sempre bussola neanche tanto nascosta delle scelte del capo del governo, davano l'Obama di Sanluri (come chiamano spregiativamente il governatore uscente quelli del centrodestra) vincente contro tutti i possibili leader locali del Pdl. E allora l'unico modo per farcela era quello di scendere in campo in prima persona. Da quando la campagna elettorale è cominciata Berlusconi ha trascorso in Sardegna quasi tutti i week end. Compreso l'ultimo, in piena crisi istituzionale per lo scontro con il capo dello stato sul caso di Eluana Englaro.
Ma non è soltanto per scelta del Cavaliere che le elezioni regionali in Sardegna (si vota questa domenica e il prossimo lunedì) hanno finito per assumere una connotazione nazionale. Il fatto è che Renato Soru, nel marasma politico del Pd, ha finito per diventare un leader non solo locale. S'è dimesso perché una parte (la metà) del suo partito non voleva che fossero estesi alle zone interne dell'isola i vincoli di tutela ambientale già imposti sulle coste, in un momento in cui in Abruzzo e a Napoli Veltroni doveva fare i conti con la scarsa trasparenza di comportamento di alcuni leader locali del Pd e le devastanti iniziative della magistratura. È così che l'Obama di Sanluri, con i suoi modi bruschi, con il suo vellutino etnico indossato quasi per sfida al posto di giacca e cravatta, con la sua crociata moralizzatrice contro i comitati d'affari trasversali che puntano alla cementificazione delle coste, è diventato pasto appetibile per i media nazionali. Non s'era mai visto un candidato alla carica di presidente in una regione (neppure centrale) finire sulle reti televisive pubbliche e private in programmi di grande audience, intervistato più come personaggio a tutto tondo che come candidato alla carica di governatore della Sardegna. Per non dire delle pagine intere dedicategli sui quotidiani a maggiore diffusione, con annesse ipotesi di una sua possibile scalata ai vertici del Pd autorizzate dall'intervista all'Espresso in cui l'ex presidente di Tiscali rivalutava l'esperienza dell'Ulivo prodiano e diceva che senza una solida alleanza con ciò che si muove a sinistra del Pd non è possibile né vincere né governare.
In Sardegna la sfida è diventata allora tra un Berlusconi sicuro di poter far vincere qualunque candidato del centrodestra solo con il ricorso alla sua capacità di trascinamento dell'elettorato e un Soru che i sostenitori dentro il Pd dipingono come il vero uomo nuovo, il leader che ha dimostrato che «riformismo» non è una parola vuota, come ha detto qualche giorno fa il capogruppo alla Camera Antonello Soro. E in queste settimane il confronto è andato avanti senza esclusioni di colpi. Berlusconi ha accusato il suo avversario di essere un «fallito»: come imprenditore perché anche Tiscali con la crisi è in difficoltà, e come politico perché, secondo il Cavaliere, la Sardegna durante gli ultimi anni si è drammaticamente impoverita. Il governatore uscente replica dicendo che non s'era mai visto un capo del governo impegnarsi in prima persona in elezioni amministrative e che il leader del Pdl non conosce i veri problemi dell'isola, sulla quale sbarca con atteggiamenti da colonizzatore. Berlusconi, aggiunge Soru, si fa scudo del lodo Alfano per insultare e per mentire impunemente e usa a suo vantaggio l'arma dei tg Rai, che dedicano ai blitz sardi del Cavaliere uno spazio spropositato.
Sullo sfondo di tutto ciò i problemi di una regione dove le conseguenze della crisi economica cominciano a farsi sentire in maniera pesante. A Portovesme, il polo metallurgico per la lavorazione dell'alluminio, di proprietà dei russi della Rusal, rischia la chiusura, con 400 possibili licenziamenti. Ma va male anche al petrolchimico di Porto Torres, anello debole della filiera produttiva Eni. Per non parlare dell'agricoltura, con migliaia di agricoltori indebitati sino al collo con le banche. Contenuti che restano, appunto, sullo sfondo. Prevale altro: la partita elettorale si gioca tutta sul terreno della sfida mediatica tra i leader.
di Costantino Cossu - CAGLIARI
[fonte: Il Manifesto 10/02/09]

09/02/09

La lotta dei lavoratori della Terex-Comedil: intervista al delegato Fiom Ambrogio Casati

La Comedil, azienda che assembla gru per cantieri a Cusano Milanino (Mi), è oggetto di una dura lotta dei lavoratori per mantenere il proprio posto di lavoro e impedire la chiusura dello stabilimento. I 49 operai della fabbrica hanno sfidato la proprietà piantando una tenda permanente davanti ai cancelli dell’azienda per impedire l’ingresso ai camion che dovrebbero portare via le gru terminate.
Abbiamo intervistato Ambrogio Casati, delegato Fiom, che ci ha raccontato la storia sindacale degli ultimi anni dell’azienda e quali decisioni i lavoratori stanno mettendo in campo per lottare contro la chiusura.
Cominciamo dall’inizio. Quali sono le tradizioni sindacali della fabbrica?
Per quasi 20 anni abbiamo sempre ottenuto ottimi contratti interni. Nel 2003 siamo riusciti a firmare un precontratto con un aumento superiore alla media nazionale, attraverso ben 3 giorni di fila di sciopero, picchetti davanti ai cancelli e 12 ore consecutive di trattativa. Riuscimmo a fare assumere anche due lavoratori interinali. Anche sul terreno degli straordinari abbiamo sempre siglato dei buoni accordi, mediamente superiori a quelli ottenuti a livello nazionale.
Per molto tempo siamo riusciti a superare i periodi di cassa integrazione e questa è una cosa importante, soprattutto se si pensa che lo stabilimento di Cusano è una filiale: la sede centrale è a Pordenone, dove si producono gru per cantieri di taglia e modello differente da quelle che produciamo qui.
Le prime avvisaglie della crisi si sono manifestate nel 2007: nella sede centrale di Pordenone c’erano molte più commesse e la direzione voleva aprire qui la cassa integrazione. Abbiamo sempre fatto molti sacrifici per mantenere i livelli produttivi dell’azienda: trovammo un accordo per cui, pur di evitare la cassa integrazione per questa sede, avremmo mandato quattro lavoratori su a Pordenone per colmare le mancanze di manodopera e colmare la produzione.
Il 19 dicembre del 2007 l’azienda ci comunicò l’intenzione di non riconfermare 4 lavoratori interinali e uno a tempo determinato: i padroni avevano ben studiato la mossa perchè avevano comunicato i licenziamenti il giorno della consegna del contratto interno. Tale decisione fu comunicata ai lavoratori il giorno seguente. Votammo e cominciammo uno sciopero ad oltranza: nella riunione di fine giornata approvammo la proposta di reintegro di tutti i licenziati non appena fosse ripartita la produzione, da sottoporre all’azienda. Ma i padroni fecero una chiusura totale nei confronti della nostra proposta e ci dissero che con 100 gru invendute in magazzino non avrebbero assunto proprio nessuno. Il ricatto era evidente: usare la crisi per strapparci un contratto interno più morbido.
Due dei cinque lavoratori hanno fatto causa al giudice che ha dato loro ragione: ora devono decidere se essere reintegrati.
Come è scoppiata la lotta attuale?
Per tutto il periodo successivo, ossia dall’inizio del 2008, i padroni continuavano ad assicurarci che non avrebbero mai fatto uso della cassa integrazione fino a dicembre 2008. In realtà stavano solo prendendo tempo, utilizzando questa tattica per otto lunghi mesi.
L’azienda in questi anni ha prodotto tantissimo: la direzione, proprietaria delle azioni quotate a Wall Strett, ha fatto affari d’oro senza che un centesimo di queste rendite venisse riversato nelle tasche degli operai. Nonostante la crisi, i padroni continuavano a dirci che volevano mantenere la filiale di Cusano e che l’unico problema sarebbe stato quello di alzare i ritmi di lavoro: volevano che con lo stesso personale arrivassimo a 1000 gru all’anno attraverso l’impiego di un modello di sfruttamento del lavoro maggiore. Per presentarci questo modello toyotista, che loro chiamavano modello Tbs, i padroni americani sono addirittura arrivati fin qui.
In realtà non hanno fatto altro che usarci come cavie: applicare su di noi questi standard produttivi, consapevoli da tempo che avrebbero chiuso l’azienda, per poi svilupparlo da altre parti.
A giugno, con l’azienda che respirava aria di crisi, hanno addirittura cercato di scaricarci in busta paga le loro azioni, ormai senza valore. Che ipocrisia! Quando l’azienda fioriva non ci hanno mai offerto nulla.
Nel mese di ottobre del 2008 la direzione ha gettato la maschera e ha comunicato la volontà di aprire la cassa integrazione: siamo riusciti ad ottenere un buon accordo, attraverso l’apertura di una cassa integrazione a rotazione per 27 dipendenti. Anche questo lo abbiamo fatto pur di mantenere il sito produttivo e tutti i posti di lavoro.
L’accordo prevedeva la cassa integrazione a rotazione fino al 6 febbraio 2009. A dicembre ci hanno convocato all’Assolombarda per comunicarci che avrebbero chiuso lo stabilimento di Cusano e che tutto il lavoro sarebbe stato portato a Pordenone.
Come è stata sviluppata la trattativa?
Fin dall’inizio realizzammo come la crisi fosse stata un pretesto per la direzione che aveva deciso di chiudere la filiale molto tempo prima. Infatti quando fummo convocati per la seconda volta all’Assolombarda non si presentò nemmeno un membro della direzione. Ci ritrovammo a trattare con l’avvocato dei padroni e il funzionario dell’Assolombarda.
Fin dall’inizio abbiamo fatto causa per comportamento antisindacale: la direzione ha violato l’accordo che prevedeva la cassa ordinaria per 13 settimane. Avremo l’udienza il 5 febbraio: in caso di vittoria deve continuare la cassa integrazione e va riaperta successivamente la trattativa .
Il lavoro di certo non ci manca e siamo sicuri che arriveranno ancora ordini.
Devo dire che stiamo ricevendo la solidarietà di molti lavoratori ed anche delle istituzioni: la tenda della Protezione Civile è stata fornita dal comune. Noi prima dormivamo in macchina per preservare le gru finite e quelle da finire: qui infatti assembliamo e non abbiamo grandi macchinari da difendere, ma il valore degli ordini terminati è molto alto ed è la nostra forma di pressione più grande. Non deve uscire nulla da qui.
E’ una lotta dura: qui vi sono anche lavoratori con problemi di salute – qui interviene Mario, 54 anni, che ci spiega come abbia preso per mesi 500€ di stipendio perchè ha formalmente superato la soglia della malattia. L’azienda ha a disposizione il fondo Inps per la patologia ma stanno facendo di tutto per rinviare il problema, come se la malattia fosse un fastidio per loro e una colpa per l’operaio.
Cosa avete intenzione di fare adesso?
Il presidio serve a non fare uscire le gru. Siamo determinati ad andare fino in fondo per riottenere il nostro posto di lavoro: è in gioco il futuro di 45 lavoratori, delle loro famiglie e di una fabbrica all’avanguardia. La nostra lotta è innanzitutto per il mantenimento del posto di lavoro: se non riusciamo a salvare questa fabbrica i padroni devono trovarci un altro posto di lavoro.
Abbiamo ancora molto materiale in azienda e molte gru da terminare: il lavoro non mancherebbe, nè mancherebbero gli ordinativi. Voglio ricordare che questa azienda, nonostante la crisi, ha terminato l’anno in attivo. La direzione sta chiudendo solo perchè ha guadagnato un po’ meno.
Ci è stato comunicato dal comune che l’area avrebbe un interesse commerciale se l’azienda dovesse chiudere. Visto che quest’anno ci saranno le elezioni speriamo davvero che non vinca la destra.
Ci sono altre aziende in crisi nella zona?
La Metalli Preziosi, a Paderno, ha una crisi che si protrae ormai da diversi anni: sembra che ora abbiano trovato un acquirente. Stiamo cercando di coordinarci come aziende in crisi: per adesso noi della Comedil siamo in contatto con i lavoratori della Metalli Preziosi e della Innse. Cerchiamo di tenerci in contatto per le assemblee, per i presidi, anche se non siamo propriamente organizzati: cerchiamo di fare le cose a mano a mano che si sviluppano.
Questa vertenza può diventare un esempio: quali passi si possono fare per rompere l’isolamento di queste aziende in crisi?
Abbiamo cominciato con l’aprire fin da subito una cassa di resistenza. In generale, pensiamo che le istituzioni debbano impegnarsi tanto quanto ci stiamo impegnando noi per salvare la fabbrica. Certo, la Provincia ha avuto un incontro con l’azienda: forse però il problema è stato permettere l’insediamento di questa multinazionale nelle aziende del territorio senza alcuna forma di controllo.
Siamo ancora tutti uniti: stiamo votando democraticamente ogni passo della vertenza, dalle parole d’ordine della trattativa ai turni nella tenda. Stiamo sfruttando tutti i canali di comunicazione a nostra disposizione: dai volantinaggi ai mercati all’apertura di un blog (il blog ha il seguente indirizzo: http://terexusaegetta.blogspot.com). I padroni americani temono moltissimo la cattiva pubblicità, soprattutto in un periodo di forte turbolenza finanziaria. Mercoledì 28 gennaio andremo davanti ai cancelli della fabbrica di Pordenone a far sentire le nostre ragioni.
In fabbrica facciamo tutto noi: non esiste nessun aspetto dell’assemblaggio che non passi dalle nostre mani.
Ma a parte questo, siamo noi che mandiamo avanti ogni aspetto della fabbrica ogni giorno.
Questo aumenta la nostra volontà ad andare avanti tutti insieme per mantenere la fabbrica e il posto di lavoro di ognuno di noi
Lavoratori Terex/Comedil Cusano Milanino



La completa solidarietà di CultCorner.info a tutti gli operai che si trovano nella situazione dei compagni della Comedil Terex e della INNSE (vedi su questo blog Firma la nostra petizione "Giù le mani dalla INNSE" );
non vogliamo far diventare questo blog un bollettino di guerra, anche se è evidente che lo sia, ma informare il più possibile, con la speranza di ri-formare le coscienze...
lotteremo con voi!

08/02/09

Eluana e la fine della democrazia: nuovo fascismo italiano.

[fonte: blog di Beppe Grillo - commento finale dell'autore di questo blog]

Eluana non c'entra. E' un pretesto per sfiduciare la Presidenza della Repubblica. La sua funzione di controllo e di garante della Costituzione. E' un braccio di ferro, forse un braccio di merda. Lo psiconano non vuole più nessuno che lo intralci nella sua marcia di occupazione delle istituzioni. Napolitano non ha firmato il decreto legge. Il Consiglio dei ministri allora lo scavalca con un disegno di legge identico al decreto. Dovremo ricordarci chi lo ha votato. Un giorno potremmo procedere contro di loro per attentato contro lo Stato.
Il disegno di legge verrà proposto al Parlamento dei burattini di Arcore che lo approverà. Il disegno di legge è incostituzionale? Si cambierà la Costituzione! Nessun primo ministro europeo farebbe, direbbe quello che dice, quello che fa questa bombetta a orologeria della democrazia. Eluana potrebbe procreare? Eluana potrebbe sopravvivere per tre, quattro giorni al digiuno forzato come Pannella? Io sono un comico, ma chi pronuncia queste parole è solo un pover'uomo.
Schifani è stato contingentato in una corsa contro il tempo per l'approvazione del disegno di legge al Senato. Il Presidente del Senato agli ordini dello psiconano. Ma non vi rendete conto che è una farsa? Che Eluana è un'informazione di distrazione di massa? Ogni giorno una nuova, pessima notizia. Non è sufficiente difendersi dal crollo dell'economia, occuparsi dei mille problemi quotidiani. Non basta. Ogni giorno che Dio manda in terra dobbiamo difenderci da una nuova legge, un decreto, un emendamento, un esproprio dei nostri diritti civili.
I nostri dipendenti operano senza sosta per mettersi al sicuro dalla magistratura e dalla resa dei conti. E' spossante e anche umiliante per un cittadino vivere in Italia. In tutto il mondo si cerca di fronteggiare la crisi, questi politicanti, ex fascisti, ex leghisti, piduisti a tempo pieno usano la crisi per rafforzare il loro potere ed eliminare gli altri, dalla magistratura, al Parlamento, alla Corte dei conti, alla presidenza della Repubblica.
Hanno fretta, una maledetta fretta. Sentono gli zoccoli dei bisonti, la cascata del Niagara che aspetta l'Italia. non vogliono fare la fine di Ceaucescu, ma neppure quella di Bottino Craxi. Il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato "prospettive tetre" per l'Italia. Tetre, un termine da Dario Argento, da film dell'orrore. Vogliono mettere l'esercito sul ponte del Titanic e fuggire con le scialuppe di salvataggio.
Loro non molleranno mai (ma gli conviene?).Noi neppure.
e questo è quel che ci dice il nostro caro Beppe ed è veramente un peccato che solo pochi possano ascoltarlo o leggerlo perchè è uno dei pochi che lotta contro questa situazione "tipicamente" italiana, di farsi abindolare da chiunque sappia "entrare" in politica, sfruttando l'ignoranza stessa politica degli italiani, politicanti da bar, voto e poi mi sbatto le balle! E' tutto da rifare, ricreando una Vera cultura del rispetto, della dignità e dell'onestà, dell'antimafia, dell'anticrimine, dell'antifascismo, della fratellanza e quindi cominciare col licenziamento di TUTTI i politici e azzeramento totale di tutti i privilegi acquisiti (in mobilità con 120 euro al mese in social card senza PIN come a molti bisognosi è successo, ma che per dignità ed orgoglio se ne sono stati zitti, ma anche per paura!) Non è uno sfogo ma una convinzione!
M.Londero
aka webrond

"Ducj i oms a nassin libars e compagns come dignitât
e dirits...
... cence nissune distinzion par vie di gjernazie, colôr, mascjo o femine, lenghe, religion, di impinion politiche o alcaltri, di çoc nazionâl o sociâl, di ricjece, di nassite ...
...ogni individui al à dirit a la vite, a la libertât

... (dai articui 1, 2, 3, de Declarazion Universâl dai Dirits dal Om, 1948)


02/02/09

Perchè mi cancello da FACEBOOK!

E' un pò che ci ragiono sul senso di FACEBOOK ed oggi, mio primo giorno da cassaintegrato, cercando di dare un senso a questa strana ed ambigua giornata, mi son messo a "ravanare" in rete ed ho trovato siti molto interessanti come quello da cui riporto quanto segue perchè condivido pienamente! Il sito è www.erbaviola.com ; quindi dai, leggete quanto segue e capirete perchè ho deciso di toglire il mio account da Facebook!

Foto di Smilespedia

NON USO FACEBOOK, non accetto inviti su facebook. Facebook non serve a farsi nuovi amici, ma solo a trasferire online la mappatura delle relazioni sociali già esistenti. Solo chi ti conosce ti trova, mentre gli altri restano fuori dalla porta. Come a casa. E quindi?

Io sono per le relazioni sociali solide: non me ne frega una beata fava se hai 300 contatti o 1, ma se mi inviti a bere un té e sei simpatico/a ci vengo, altrimenti no. E puoi anche conoscere tutto il mondo, non ci vengo. Non mi interessa sapere l’elenco dei tuoi prodotti preferiti e dei tuoi libri preferiti però puoi parlarmene davanti a una cioccolata. Di un libro per volta preferibilmente, del perché e del percome.

E sai una cosa? Se su Facebook citi tra i tuoi libri preferiti l’Ulisse di Joyce puoi anche pensare di fare la figura dell’intellettuale. Ma davanti a una tazza di té è più difficile, perché o l’hai letto davvero o la figura è grama.

Non ultimo, non me ne frega assolutamente niente di incontrare vecchi compagni di scuola, vecchi colleghi e il cugino australiano: se non ci incontriamo più di nostro, un motivo ci sarà. La Marilù la sento ancora dalle medie e la Francy dall’università, è evidente che non mi serva Facebook.

Questo capitalismo della relazione sociale non mi entusiasma e ancor meno l’idea che qualcuno attinga dai miei poveri averi dopo aver ricostruito online la mia vita sociale. Negli USA si contano già i conti bancari svuotati grazie a questa massimizzazione dei dati personali online.

L’anno scorso sul Guardian, il caro Tom Hodgkinson scriveva:

E’ un sito che incoraggia una competitività inquietante. Oggi sembra che nell’amicizia non conti la qualità, ma solo la quantità: più amici hai, meglio stai. [...]

Facebook è un altro esperimento ipercapitalista. Si possono fare soldi con l’amicizia? E’ possibile creare comunità svincolate dai confini nazionali (e vendergli la Coca-Cola)? Il sito non crea niente di orignale. Non fa niente. Si limita a mediare rapporti già esistenti.

I creatori di Facebook non devono fare quasi niente. Se ne restano seduti mentre tre milioni di “Facebook-dipendenti” caricano spontaneamente dati anagrafici, fotografie e liste dei lori prodotti preferiti. Dopo aver costruito questo immenso database di esseri umani, Facebook non fa altro che rivendere le informazioni agli inserzionisti . [...]

E poi, cari utenti di Facebook, avete letto le dichiarazioni del sito sulla riservatezza dei dati? In sostanza vi dice che la privacy non esiste. Facebook si dichiara a favore della libertà, ma in realtà somiglia ad un regime totalitario, virtuale e ideologicamente orientato, con una popolazione che presto supererà quella britannica.

concludendo:

condivido pienamente, non avrei saputo dirlo meglio. (L’articolo completo, a proposito, lo trovate QUI)

01/02/09

Firma la nostra petizione "Giù le mani dalla INNSE"

su: www.petitiononline.com/INNSE/petition.html

GIU' LE MANI DALL'OFFICINA, L'OFFICINA NON SI TOCCA.
Questo è il nono mese di lotta che come operai e impiegati della INNSE stiamo affrontando, il nostro obiettivo è la difesa del posto di lavoro, la continuità produttiva, il rifiuto della chiusura della fabbrica.
Stiamo facendo in modo che il padrone Genta non si impossessi del macchinario, abbiamo dovuto resistere con un presidio continuo davanti alle portinerie al suo tentativo di entrare e di svuotare l’officina e di vendere i macchinari al miglior offerente.
Questa battaglia non riguarda solo noi, ma tutti quelli che credono che questa forma di resistenza operaia possa essere un possibile punto di partenza per lottare contro i licenziamenti, in una crisi che ne produce migliaia al giorno.
Una battaglia che riguarda tutti quelli credono che la città di Milano non possa finire in mano a speculatori di ogni tipo, immobiliaristi sull’orlo del fallimento, speculatori finanziari bancarottieri di ogni ordine e grado che chiudono le fabbriche senza nessuna opposizione sociale.
Non solo vi chiediamo di firmare questo appello di solidarietà, ma anche di partecipare attivamente ai presidi per impedire a Genta di smantellare una fabbrica che fa parte della storia industriale di Milano.

Raccogliamo per questo le firme di chiunque voglia aderire all’appello.

Milano, 27 gennaio 2009
La R.S.U, gli operai e gli impiegati della INNSE