TAGLIO BASSO | di Arianna Di Genova
CIVILTÀ IN PEZZI
Lettera aperta al governo in favore della cultura italiana
Contro la manovra, si uniscono Federculture, Fai, Italia Nostra, Wwf, Legambiente, Civita
La manovra di Tremonti che tiene in scacco l'Italia che lavora (quella vera) continua a non far entrare in nessun emendamento la parola «cultura» e a tenerla accuratamente fuori la porta. Parola che persevera nella sua «invisibilità», facendo colare a picco il nostro paese in una recessione di civiltà. Così, dopo il drammatico incontro svoltosi al Maxxi lo scorso 6 luglio, alcune associazioni nazionali - Federculture, Civita, Fai, Italia Nostra, Legambiente e Wwf - hanno deciso di unire le loro firme per inoltrare una lettera aperta al presidente del consiglio Berlusconi, al ministro Sandro Bondi e a Giulio Tremonti, annunciado un allarme rosso.
In gioco, infatti, con i tagli alla spesa e i trasferimenti di beni agli enti locali (peraltro decurtati fino all'osso del loro budget), c'è la sopravvivenza stessa di un'intera fetta di patrimonio, non ultimo quello paesaggistico e ambientale. La tutela si fa impossibile così come la promozione - e meno che mai programmazione - dell'offerta culturale. La mortificazione dai contorni sadici di quel settore, l'unico che potrebbe consegnare l'Italia a una prospettiva futura, invece di farla sprofondare in un buco nero, risulta incomprensibile perché «anti-economica» e nefasta portatrice di una paralisi che bloccherebbe ogni crescita del paese. È quanto sottolineato anche da questo inedito «consorzio» di lavoratori, unanimi nello spedire la «cartolina di sos» al governo, con la speranza di trovare ascolto e di abbattere il muro dell'indifferenza.
Nel testo, le sei associazioni condividono la necessità di individuare gli sprechi di denaro, ma chiedono di salvaguardare le eccellenze e di salvaguardare i livelli dei servizi erogati ai cittadini, facendo leva sulla cultura vista come un tesoro in grado di attirare il capitale privato. «La manovra - scrivono - rischia di mettere in discussione il principio costituzionale di tutela e promozione del nostro patrimonio culturale, artistico e ambientale, sancito dall'articolo 9. La riduzione del 50% delle risorse destinate agli istituti culturali, quasi fossero tutti 'enti inutili', senza l'individuazione di criteri e parametri oggettivi che valutino l'effettiva esistenza di sprechi, decreterà un indiscriminato abbassamento dell'intervento pubblico per la cultura... Non si investe, anzi risultano ulteriormente penalizzate le ricchezze artistiche e l'industria creativa, che sono un volano per l'economia, la competitività locale, l'occupazione». Poi, l'affondo finale: «La recessione culturale è un danno troppo grave, che il paese non può permettersi e i cui effetti negativi si farebbero sentire per molti anni, ben al di là della crisi economica». Messo a punto lo stato delle cose, le associazioni reclamano dunque un'azione coraggiosa che colpisca le inefficienze e valorizzi la qualità delle iniziative; chiedono criteri selettivi e trasparenti e, soprattutto, un severo controllo del governo sui meccanismi del federalismo demaniale. La ricetta sarebbe utile anche per evitare l'emorragia di talenti e l'emigrazione intellettuale che affligge l'Italia da troppi anni.
19/07/10
Lettera aperta al governo in favore della cultura italiana
18/07/10
PENA di MORTE: Mumia Abu-Jamal -«Obama ferma l'esecuzione contro la voce dei senza voce»
LA STORIA
Scelse il nome swahili Mumia al liceo, sotto l'influenza di un insegnante d'origine kenyota a cui aggiunse Abu-Jamal alla nascita del suo primo figlio, Jamal. Scrittore e giornalista, Mumia è soprannominato «la voce dei senza-voce» per la sua critica della corruzione della polizia e dei dirigenti politici locali. Il 9 dicembre 1981 Mumia Abu-Jamal fu gravemente ferito nel corso di una sparatoria nel quartiere sud della città, dove aveva appena portato un cliente. Arrestato, fu accusato dell'omicidio di un poliziotto, Daniel Faulkner, ucciso in quella sparatoria. Malgrado i suoi dinieghi e l'assenza di suoi precedenti giudiziari, un'inchiesta molto discussa portò all'imputazione di Mumia e alla sua comparizione davanti al tribunale di giustizia della Pennsylvania. Nel luglio 1982 fu condannato alla pena di morte nonostante diverse contraddizioni nelle prove a suo carico e violazioni dei suoi diritti. Nel giugno 1999 un vecchio sicario, Arnold Beverly, ha confessato a uno degli avvocati di Mumia di aver ucciso il poliziotto Faulkner, in un quadro di collusioni tra polizia e mafia, questa confessione non è stata tuttavia tenuta in considerazione. Intorno al processo e alla condanna di Mumia si è creata una mobilitazione internazionale, Mumia è diventato un simbolo della lotta contro la pena di morte. L'8 ottobre del 2003 sono stati respinti gli ultimi ricorsi, rimandando la questione a livello federale, dove la sua pena avrebbe potuto essere commutata in ergastolo.
di Mumia Abu-Jamal
Lezioni dimenticate
Dal Vietnam all'Afghanistan, l'impero Usa scorda le sconfitte e prova a perpetuare il suo dominio militare
Sono passate generazioni dalla guerra del Vietnam, il conflitto che potrebbe essere ribattezzato «La guerra che la maggior parte degli americani vorrebbe dimenticare». Per molti si tratta di un conflitto da non ricordare, in parte proprio perché gli Stati Uniti l'hanno perso. E in quel periodo una sconfitta bellica Usa rappresentava un evento inimmaginabile: come poteva un piccolo paese del terzo mondo sconfiggere una super-potenza mondiale? Il suo segreto era semplice: i vietnamiti si rifiutarono di perdere.
Anni fa, l'ex segretario della difesa Robert McNamara era un avvoltoio in guerra: sosteneva la necessità di sganciare tonnellate di bombe sui nazionalisti che cercavano di riunificare il paese. Anni dopo, ormai sceso dal trono esaltante del potere, McNamara denunciò il fervore distruttivo di quegli anni di guerra imperialista.
Nel documentario «La nebbia della guerra», McNamara, parlando della carneficina della seconda guerra mondiale, disse: «Abbiamo bruciato vivi 100.000 giapponesi a Tokyo». E aggiunse: «Il generale Curtis Lemay ammise che quello che stava facendo sarebbe stato ricordato per sempre, se avesse perso. Ma cos'è che ti rende immortale se perdi e mortale se vinci?».
La guerra in Vietnam è stata una guerra imperialista, creata e sostenuta dalle bugie. Suona familiare?
Un impero intraprende una guerra per salvarsi la faccia ed estendere la propria influenza. Non c'entrano la democrazia da esportare, il terrorismo da debellare, il buon governo, e neanche il controllo del narcotraffico. Questi sono solo pretesti, utilizzati dalla propaganda per mascherare i reali motivi che stanno dietro alla decisione d'intraprendere una guerra. C'entrano il potere e le sfere di influenza globale, basta.
Oggi, l'Afghanistan è un paese impegnato nella produzione e nel traffico di droga: una cosa che i temuti taleban non tollererebbero. Dopo oltre otto anni di campagne militari, la situazione del paese asiatico è quanto di più lontano si può avere dalla democrazia. E sia l'Iraq che l'Afghanistan hanno governi saliti al potere attraverso imbrogli elettorali.
Tutto ciò merita le vite, la salute fisica e mentale delle persone che amiamo?
Traduzione di Alessandra Potenza
L'APPELLO
«Obama ferma l'esecuzione contro la voce dei senza voce»
«Obama, ferma l'esecuzione». Noi sottoscritti Le chiediamo di pronunciarsi contro la pena di morte per Mumia Abu-Jamal e per tutti quelli che nel mondo devono affrontare un'esecuzione. Questa forma di punizione finale è inammissibile in una società civilizzata e pregiudica la dignità umana (Onu- Moratoria Pena di Morte, Ris. 62/149, 18/12/2007). Mumia Abu-Jamal, famoso giornalista e scrittore afro-americano, è nel braccio della morte da quasi trent'anni. (...) Le chiediamo, come leader morale sulla scena mondiale, di richiedere una moratoria globale sulla pena di morte (...). Mumia Abu-Jamal è diventato un simbolo globale, la «Voce dei senza voce», nella lotta contro la pena capitale e contro gli abusi dei diritti umani. Più di 20.000 persone nel mondo stanno aspettando l'esecuzione, e oltre 3.000 di loro si trovano nei bracci della morte negli Stati Uniti. Il processo di Mumia Abu-Jamal del 1982 fu caratterizzato da irregolarità e razzismo, ed ebbe luogo a Philadelphia, città con una lunga storia di corruzione della polizia e di discriminazioni. Secondo Amnesty International (già Nobel per la pace), «molti aspetti del caso chiaramente non hanno rispettato le norme internazionali che salvaguardano i processi. La concessione di un nuovo processo a Mumia Abu-Jamal servirebbe gli interessi della giustizia. Il nuovo processo dovrà conformarsi alle norme internazionali della giustizia e non potrà consentire una nuova imposizione della pena di morte».
Per firmare l'appello in sostegno di Mumia Abu-Jamal: http://mumialegal.org