18/07/10

PENA di MORTE: Mumia Abu-Jamal -«Obama ferma l'esecuzione contro la voce dei senza voce»

PENA DI MORTE
LA STORIA
Scelse il nome swahili Mumia al liceo, sotto l'influenza di un insegnante d'origine kenyota a cui aggiunse Abu-Jamal alla nascita del suo primo figlio, Jamal. Scrittore e giornalista, Mumia è soprannominato «la voce dei senza-voce» per la sua critica della corruzione della polizia e dei dirigenti politici locali. Il 9 dicembre 1981 Mumia Abu-Jamal fu gravemente ferito nel corso di una sparatoria nel quartiere sud della città, dove aveva appena portato un cliente. Arrestato, fu accusato dell'omicidio di un poliziotto, Daniel Faulkner, ucciso in quella sparatoria. Malgrado i suoi dinieghi e l'assenza di suoi precedenti giudiziari, un'inchiesta molto discussa portò all'imputazione di Mumia e alla sua comparizione davanti al tribunale di giustizia della Pennsylvania. Nel luglio 1982 fu condannato alla pena di morte nonostante diverse contraddizioni nelle prove a suo carico e violazioni dei suoi diritti. Nel giugno 1999 un vecchio sicario, Arnold Beverly, ha confessato a uno degli avvocati di Mumia di aver ucciso il poliziotto Faulkner, in un quadro di collusioni tra polizia e mafia, questa confessione non è stata tuttavia tenuta in considerazione. Intorno al processo e alla condanna di Mumia si è creata una mobilitazione internazionale, Mumia è diventato un simbolo della lotta contro la pena di morte. L'8 ottobre del 2003 sono stati respinti gli ultimi ricorsi, rimandando la questione a livello federale, dove la sua pena avrebbe potuto essere commutata in ergastolo.

di Mumia Abu-Jamal
Lezioni dimenticate
Dal Vietnam all'Afghanistan, l'impero Usa scorda le sconfitte e prova a perpetuare il suo dominio militare
Sono passate generazioni dalla guerra del Vietnam, il conflitto che potrebbe essere ribattezzato «La guerra che la maggior parte degli americani vorrebbe dimenticare». Per molti si tratta di un conflitto da non ricordare, in parte proprio perché gli Stati Uniti l'hanno perso. E in quel periodo una sconfitta bellica Usa rappresentava un evento inimmaginabile: come poteva un piccolo paese del terzo mondo sconfiggere una super-potenza mondiale? Il suo segreto era semplice: i vietnamiti si rifiutarono di perdere.
Anni fa, l'ex segretario della difesa Robert McNamara era un avvoltoio in guerra: sosteneva la necessità di sganciare tonnellate di bombe sui nazionalisti che cercavano di riunificare il paese. Anni dopo, ormai sceso dal trono esaltante del potere, McNamara denunciò il fervore distruttivo di quegli anni di guerra imperialista.
Nel documentario «La nebbia della guerra», McNamara, parlando della carneficina della seconda guerra mondiale, disse: «Abbiamo bruciato vivi 100.000 giapponesi a Tokyo». E aggiunse: «Il generale Curtis Lemay ammise che quello che stava facendo sarebbe stato ricordato per sempre, se avesse perso. Ma cos'è che ti rende immortale se perdi e mortale se vinci?».
La guerra in Vietnam è stata una guerra imperialista, creata e sostenuta dalle bugie. Suona familiare?
Un impero intraprende una guerra per salvarsi la faccia ed estendere la propria influenza. Non c'entrano la democrazia da esportare, il terrorismo da debellare, il buon governo, e neanche il controllo del narcotraffico. Questi sono solo pretesti, utilizzati dalla propaganda per mascherare i reali motivi che stanno dietro alla decisione d'intraprendere una guerra. C'entrano il potere e le sfere di influenza globale, basta.
Oggi, l'Afghanistan è un paese impegnato nella produzione e nel traffico di droga: una cosa che i temuti taleban non tollererebbero. Dopo oltre otto anni di campagne militari, la situazione del paese asiatico è quanto di più lontano si può avere dalla democrazia. E sia l'Iraq che l'Afghanistan hanno governi saliti al potere attraverso imbrogli elettorali.
Tutto ciò merita le vite, la salute fisica e mentale delle persone che amiamo?
Traduzione di Alessandra Potenza

L'APPELLO
«Obama ferma l'esecuzione contro la voce dei senza voce»

«Obama, ferma l'esecuzione». Noi sottoscritti Le chiediamo di pronunciarsi contro la pena di morte per Mumia Abu-Jamal e per tutti quelli che nel mondo devono affrontare un'esecuzione. Questa forma di punizione finale è inammissibile in una società civilizzata e pregiudica la dignità umana (Onu- Moratoria Pena di Morte, Ris. 62/149, 18/12/2007). Mumia Abu-Jamal, famoso giornalista e scrittore afro-americano, è nel braccio della morte da quasi trent'anni. (...) Le chiediamo, come leader morale sulla scena mondiale, di richiedere una moratoria globale sulla pena di morte (...). Mumia Abu-Jamal è diventato un simbolo globale, la «Voce dei senza voce», nella lotta contro la pena capitale e contro gli abusi dei diritti umani. Più di 20.000 persone nel mondo stanno aspettando l'esecuzione, e oltre 3.000 di loro si trovano nei bracci della morte negli Stati Uniti. Il processo di Mumia Abu-Jamal del 1982 fu caratterizzato da irregolarità e razzismo, ed ebbe luogo a Philadelphia, città con una lunga storia di corruzione della polizia e di discriminazioni. Secondo Amnesty International (già Nobel per la pace), «molti aspetti del caso chiaramente non hanno rispettato le norme internazionali che salvaguardano i processi. La concessione di un nuovo processo a Mumia Abu-Jamal servirebbe gli interessi della giustizia. Il nuovo processo dovrà conformarsi alle norme internazionali della giustizia e non potrà consentire una nuova imposizione della pena di morte».
Per firmare l'appello in sostegno di Mumia Abu-Jamal: http://mumialegal.org

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