"Buon Natale ai disoccupati, ai padri di famiglia senza lavoro, ai precari lasciati a casa a decine di migliaia, ai detenuti uccisi in carcere senza giustizia, ai lavoratori che passeranno le feste sui tetti per difendere la loro azienda, agli studenti senza un futuro, ai ricercatori senza fondi, ai malati senza assistenza e ai loro familiari che si sostituiscono giorno e notte allo Stato, ai giudici che fanno ancora i giudici, ai giornalisti che fanno ancora i giornalisti, agli insegnanti che fanno ancora gli insegnanti, a coloro che pagano tutte le tasse anche per chi non le ha mai pagate e viene condonato da Tremorti con un miserabile 5%, agli emigrati che vengono derisi a causa del loro Paese, agli emigrati il cui conto corrente è stato svuotato dallo Stato attraverso i conti dormienti, agli emigrati che si fanno passare per greci, francesi, spagnoli per la vergogna, agli italiani che tengono ancora in vita il Paese con la loro testardaggine: operai, impiegati, imprenditori, a chi ha perso il TFR e a chi perderà parte della pensione dall'anno nuovo, alle mamme delle città più inquinate del mondo e ai loro bambini con la tosse cronica, a chi viaggia per lavoro e non sa mai quando e se arriverà, ai morti di Viareggio, dell'Aquila, di Messina: tutti uccisi dall'incuria delle istituzioni e nessuno mai pagherà per loro, ai blogger che hanno prodotto un'informazione mai vista in Italia attraverso la Rete, ai familiari delle vittime di mafia sbeffeggiati da politici cialtroni, a chi ha perso la propria casa perché non è riuscito a pagare la rata del mutuo, alle forze dell'Ordine svilite da ministri che non le rappresentano, a chi ha tenuto la schiena dritta.
Buon Natale ad Antonio Di Pietro, lasciato solo come un bersaglio da un'opposizione che si è venduta da almeno vent'anni, a Travaglio definito "terrorista mediatico" da un vecchio piduista, alla Gabanelli che ci precipita ogni domenica nello sconforto di vivere in un Paese dominato da ladri e farabutti, ai preti che fanno sentire ancora, alta e forte, la voce di Cristo: Ciotti, Gallo, Farinella, Zanotelli, a chi si è messo l'elmetto ed è uscito fuori, armato solo della sua indignazione, a far sentire la sua voce, ai Meet Up che cambiano in silenzio il Paese, ai ragazzi e alle ragazze delle liste civiche che si battono e fanno cose meravigliose, a chi si incazza ogni volta che vede un sopruso e non china la testa e reagisce senza pensare alle conseguenze, ai cittadini delle "agende rosse" e a Salvatore Borsellino che pretendono la verità sulla strage di Capaci, a Greenpeace e a tutti i movimenti che si oppongono alla follia del nucleare, a tutte le organizzazioni di volontariato che sono la vera struttura portante del Paese: senza di loro si fermerebbe in pochi giorni.
Ho forse dimenticato qualcuno e me ne scuso in anticipo." Buon Natale da Beppe Grillo.
25/12/09
Un albero di Natale - Buon Natale da Beppe Grillo
12/12/09
Sher Khan, irregolare sempre in prima fila
di Cinzia Gubbini - ROMA
Sher Khan, irregolare sempre in prima fila
Muore di freddo a piazza Vittorio uno storico leader antirazzista
Un mazzo di fiori e alcuni ceri. E soprattutto i compagni di lotta di Sher Khan, increduli, in questo angolo di piazza Vittorio - tra via Bixio e via Principe Eugenio - dove ieri notte è stato trovato morto «un clochard», come hanno battuto le agenzie di stampa. Ma in poche ore nella Roma antirazzista si è diffusa la notizia: una volta tanto quel «barbone», quel «senza fissa dimora», lo conoscono tutti. Si chiamava Mohammad Muzaffar Alì, detto Sher Khan, e ieri sera il gruppo di persone corse in piazza Vittorio - dove era stata convocata una riunione per decidere cosa fare per rendergli omaggio - non smettevano di ricordare quanto fosse «un infaticabile rompicoglioni».
Alto, grosso, come tanti immigrati dall'Asia non aveva mai imparato a parlare bene l'italiano. Rimbomba nelle orecchie la sua voce possente: «Noi vo-glia-mo permesso di soggiorno». Era lo slogan scandito fino al parossismo nelle grandi manifestazioni antirazziste degli anni '90. In quei primi movimenti di massa che vedevano le comunità immigrate organizzarsi per chiedere un documento. Sher Khan c'era sempre. Aveva iniziato alla Pantanella, insieme a don Luigi Di Liegro e Dino Frisullo. Aveva fondato al prima associazione degli immigrati asiatici, la «Union asian workers association». «Un gran rompiscatole, che ti telefonava alle ore più impensate dicendo "corri, c'è tanti ragazzi qui che dormono al freddo, bisogna fare qualcosa", ed era capace di non mollare la presa finché non ti mettevi in moto», lo ricorda Alessia Montuori di Senzaconfine.
A Roma era arrivato nel 1988 dal Pakistan, dalla città di Dera Ghaji Khan dove ora si cercherà di rimandare il suo corpo facendo una raccolta fondi. Ad aspettarlo sono rimasti solo alcuni fratelli. Giovedì prossimo, invece, ci sarà una commemorazione e forse anche un corteo. A lui sarebbe piaciuto. Per Sher Khan fare politica, organizzarsi, fare gruppo e contestare era un modo di vita. «Uno splendido caratteraccio, che ti costringeva a mollare ogni impegno per fare le cose, con ogni mezzo necessario», per dirla con il responsabile immigrazione di Rifondazione, Stefano Galieni. L'esatto contrario del «modello immigrato» a cui aspirano le leggi italiane: Sher Khan era il tipico soggetto che in tanti avrebbero volentieri cacciato a calci fuori dall'Italia. Un improduttivo, uno con cui non era facile ragionare, uno che non ha mai fatto niente per piacere. E, in parte, ce l'hanno fatta. È stato un lavoro facile: a Sher Khan è stata data la caccia. Non a lui in particolare, ovviamente. Ma ogni nuova barriera edificata a suon di legge per rendere impossibile una vita dignitosa a chi non si normalizza, gli ha tolto un pezzetto d'aria. Il suo lavoro era un'occupazione informale, ma preziosa: accompagnava gli immigrati in questura, si occupava di seguire le loro pastoie burocratiche, e in cambio chiedeva dei soldi. Mai abbastanza - a differenza di altri - per diventare ricco. Infatti non ha mai avuto una casa. Sher Khan ha sempre vissuto dove capitava. Fino alla fine di settembre abitava nell'occupazione della Cartiera, quella che è stata sgomberata dal sindaco Gianni Alemanno insieme all'occupazione dell'ospedale Regina Elena. Centinaia di persone per strada perché secondo il sindaco di Roma non si possono più tollerare illegalità. Sempre per lo stesso motivo - e cioè perché non si possono tollerare le illegalità - Sher Khan ha passato il mese di ottobre nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria: non aveva un permesso di soggiorno. Ora si scopre che a giorni ne avrebbe ottenuto uno per motivi umanitari: glielo avrebbe rilasciato la questura di Roma, dove alla fine era approdata la sua antica richiesta di asilo politico. Un permesso che non avrebbe risolto la sua situazione se non per poco tempo: quel tipo di documento dura un anno, ed è difficilissimo da rinnovare. Presto, sarebbe tornato ad essere un clandestino. Il primo permesso lo aveva ottenuto tanti anni fa con la sanatoria delle legge Martelli. Poi, siccome uno straniero per vivere in Italia deve avere un regolare contratto di lavoro e una casa con tutti i crismi, ha finito per perderlo. Cosa dovessero identificare a Ponte Galeria - visto che il soggetto era ben conosciuto dalla questura romana - non si capisce bene, ovviamente. Né dove avrebbero voluto espellerlo, visto che Sher Khan viveva da ventidue anni in Italia. Infatti, a rinviarlo in patria non ci ha pensato nessuno: ha semplicemente fatto un ennesimo soggiorno nelle patrie galere per stranieri per poi tornare sui marciapiedi di Piazza Vittorio. Forse, un po' più depresso. Una persona che lo ha incontrato proprio martedì dice di aver raccolto le sue lamentele: «Non sto tanto bene», avrebbe detto. Certamente non abbastanza per vivere in strada.
La legge, invece, Sher Khan la conosceva bene. Non le è sfuggito. Aveva precedenti penali, e alcuni anni fa è stato condannato a un anno e otto mesi di galera con un'accusa infamante: tentativo di stupro. Ma quell'episodio che destò scandalo, va raccontato per quello che è stato almeno il giorno della sua morte: Sher Khan toccò il sedere a un'addetta alla sicurezza delle metropolitane con cui litigò perché - ubriaco e senza biglietto - voleva infilarsi sul treno. Chi lo ha conosciuto, e ha conosciuto il suo modo a volte arrogante e machista di relazionarsi, può tranquillamente immaginarlo mentre compie un atto del genere. La condanna - e altri precedenti legati alla sua vita di strada - hanno rappresentato un insormontabile ostacolo all'ottenimento di un permesso di soggiorno. Quello che ha chiesto a gran voce attraversando le strade di Roma per vent'anni. Se n'è andato senza riuscire a metterci le mani sopra. Che maledizione, Sher Khan.
Sher Khan, irregolare sempre in prima fila
Muore di freddo a piazza Vittorio uno storico leader antirazzista
Un mazzo di fiori e alcuni ceri. E soprattutto i compagni di lotta di Sher Khan, increduli, in questo angolo di piazza Vittorio - tra via Bixio e via Principe Eugenio - dove ieri notte è stato trovato morto «un clochard», come hanno battuto le agenzie di stampa. Ma in poche ore nella Roma antirazzista si è diffusa la notizia: una volta tanto quel «barbone», quel «senza fissa dimora», lo conoscono tutti. Si chiamava Mohammad Muzaffar Alì, detto Sher Khan, e ieri sera il gruppo di persone corse in piazza Vittorio - dove era stata convocata una riunione per decidere cosa fare per rendergli omaggio - non smettevano di ricordare quanto fosse «un infaticabile rompicoglioni».
Alto, grosso, come tanti immigrati dall'Asia non aveva mai imparato a parlare bene l'italiano. Rimbomba nelle orecchie la sua voce possente: «Noi vo-glia-mo permesso di soggiorno». Era lo slogan scandito fino al parossismo nelle grandi manifestazioni antirazziste degli anni '90. In quei primi movimenti di massa che vedevano le comunità immigrate organizzarsi per chiedere un documento. Sher Khan c'era sempre. Aveva iniziato alla Pantanella, insieme a don Luigi Di Liegro e Dino Frisullo. Aveva fondato al prima associazione degli immigrati asiatici, la «Union asian workers association». «Un gran rompiscatole, che ti telefonava alle ore più impensate dicendo "corri, c'è tanti ragazzi qui che dormono al freddo, bisogna fare qualcosa", ed era capace di non mollare la presa finché non ti mettevi in moto», lo ricorda Alessia Montuori di Senzaconfine.
A Roma era arrivato nel 1988 dal Pakistan, dalla città di Dera Ghaji Khan dove ora si cercherà di rimandare il suo corpo facendo una raccolta fondi. Ad aspettarlo sono rimasti solo alcuni fratelli. Giovedì prossimo, invece, ci sarà una commemorazione e forse anche un corteo. A lui sarebbe piaciuto. Per Sher Khan fare politica, organizzarsi, fare gruppo e contestare era un modo di vita. «Uno splendido caratteraccio, che ti costringeva a mollare ogni impegno per fare le cose, con ogni mezzo necessario», per dirla con il responsabile immigrazione di Rifondazione, Stefano Galieni. L'esatto contrario del «modello immigrato» a cui aspirano le leggi italiane: Sher Khan era il tipico soggetto che in tanti avrebbero volentieri cacciato a calci fuori dall'Italia. Un improduttivo, uno con cui non era facile ragionare, uno che non ha mai fatto niente per piacere. E, in parte, ce l'hanno fatta. È stato un lavoro facile: a Sher Khan è stata data la caccia. Non a lui in particolare, ovviamente. Ma ogni nuova barriera edificata a suon di legge per rendere impossibile una vita dignitosa a chi non si normalizza, gli ha tolto un pezzetto d'aria. Il suo lavoro era un'occupazione informale, ma preziosa: accompagnava gli immigrati in questura, si occupava di seguire le loro pastoie burocratiche, e in cambio chiedeva dei soldi. Mai abbastanza - a differenza di altri - per diventare ricco. Infatti non ha mai avuto una casa. Sher Khan ha sempre vissuto dove capitava. Fino alla fine di settembre abitava nell'occupazione della Cartiera, quella che è stata sgomberata dal sindaco Gianni Alemanno insieme all'occupazione dell'ospedale Regina Elena. Centinaia di persone per strada perché secondo il sindaco di Roma non si possono più tollerare illegalità. Sempre per lo stesso motivo - e cioè perché non si possono tollerare le illegalità - Sher Khan ha passato il mese di ottobre nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria: non aveva un permesso di soggiorno. Ora si scopre che a giorni ne avrebbe ottenuto uno per motivi umanitari: glielo avrebbe rilasciato la questura di Roma, dove alla fine era approdata la sua antica richiesta di asilo politico. Un permesso che non avrebbe risolto la sua situazione se non per poco tempo: quel tipo di documento dura un anno, ed è difficilissimo da rinnovare. Presto, sarebbe tornato ad essere un clandestino. Il primo permesso lo aveva ottenuto tanti anni fa con la sanatoria delle legge Martelli. Poi, siccome uno straniero per vivere in Italia deve avere un regolare contratto di lavoro e una casa con tutti i crismi, ha finito per perderlo. Cosa dovessero identificare a Ponte Galeria - visto che il soggetto era ben conosciuto dalla questura romana - non si capisce bene, ovviamente. Né dove avrebbero voluto espellerlo, visto che Sher Khan viveva da ventidue anni in Italia. Infatti, a rinviarlo in patria non ci ha pensato nessuno: ha semplicemente fatto un ennesimo soggiorno nelle patrie galere per stranieri per poi tornare sui marciapiedi di Piazza Vittorio. Forse, un po' più depresso. Una persona che lo ha incontrato proprio martedì dice di aver raccolto le sue lamentele: «Non sto tanto bene», avrebbe detto. Certamente non abbastanza per vivere in strada.
La legge, invece, Sher Khan la conosceva bene. Non le è sfuggito. Aveva precedenti penali, e alcuni anni fa è stato condannato a un anno e otto mesi di galera con un'accusa infamante: tentativo di stupro. Ma quell'episodio che destò scandalo, va raccontato per quello che è stato almeno il giorno della sua morte: Sher Khan toccò il sedere a un'addetta alla sicurezza delle metropolitane con cui litigò perché - ubriaco e senza biglietto - voleva infilarsi sul treno. Chi lo ha conosciuto, e ha conosciuto il suo modo a volte arrogante e machista di relazionarsi, può tranquillamente immaginarlo mentre compie un atto del genere. La condanna - e altri precedenti legati alla sua vita di strada - hanno rappresentato un insormontabile ostacolo all'ottenimento di un permesso di soggiorno. Quello che ha chiesto a gran voce attraversando le strade di Roma per vent'anni. Se n'è andato senza riuscire a metterci le mani sopra. Che maledizione, Sher Khan.
[fonte: "Il Manifesto" 10/12/2009]
09/12/09
Un titolo azzeccato: paese di merda - (dal palco del nobday)
di Ascanio Celestini
L'INTERVENTO DAL PALCO
Un titolo azzeccato: paese di merda
L'INTERVENTO DAL PALCO
Un titolo azzeccato: paese di merda
Il leader della sinistra incontra il leader della destra per discutere di regole democratiche. Se davvero gliene importasse qualcosa le rispetterebbero e basta. Invece si incontrano per legittimarsi a vicenda, in un paese dove la politica è delegittimata. Il governo di destra ha fatto la riforma Biagi? e quello di sinistra invece di cambiarla come aveva dichiarato nel programma ha fatto il condono alle aziende che precarizzano il lavoro. Il governo di destra ha fatto le leggi ad personam? E quello di sinistra né le ha modificate né ha risolto il conflitto di interessi. Il governo di destra ha portato l'Italia in guerra? E quello di sinistra ha aumentato i finanziamenti all'eroica impresa militare alla faccia dei pacifisti. Da un governo all'altro non è cambiato nulla. Bene. Sono felice di vivere ancora in un paese di merda. Da dove deriva questa mia felicità? Mi presento: io sono un industriale di merda, produco merda, distribuisco merda, vendo merda all'ingrosso e al dettaglio.
Mi è bastato osservare quanta merda c'è nel mondo, esso è un elemento presente a ogni livello della nostra società: ci sono presone che vivono in quartieri di merda, abitazioni che lasciano la mattina per andare a fare lavori di merda alle dipendenze di padroni di merda. Per molti la vita stessa è una vita di merda e tutta questa merda è in balia degli eventi. Così io l'ho raccolta e ne ho fatto un prodotto tutelato. Oggi la merda ha un marchio e io sono il padrone. Forse avrete fatto caso che abbiamo già incominciato da tempo a sostituire numerosi oggetti, concetti, realtà con concetti, oggetti, realtà di merda. Vi ricordate come era la scuola qualche anno fa? Be', adesso è diventata una scuola di merda. Vi ricordate come erano gli ospedali? Oggi sono ospedali di merda. Io sono un industriale di merda, io produco merda, io distribuisco merda, vendo merda al dettaglio e all'ingrosso. La merda da me prodotta è ovunque. Tra pochissimo tempo sarà indispensabile come ora è il petrolio e come il petrolio io incomincerò a produrne sempre di meno e ad applicare restrizioni e controlli in maniera da far salire il prezzo: 50 dollari un barile di merda, 60, 70, 80, 100 dollari un barile di merda. Servirà sempre più merda per fare prodotti di merda, da trasportare su strade di merda, con automobili e camion e aeroplani di merda che producono un'aria di merda. Finanzieri e politici di merda gestiranno banche di merda e assicurazioni di merda, con i quali la gente perderà capitali e dignità. Il contribuente affogherà nei propri debiti, sarà con la merda fino al collo. E ciò, tutto ciò accadrà nel sofisticato silenzio della confusione mediatica. Ci sarà un momento che qualcuno dovrà fermarsi, ma non lo farà. Non lo faranno gli intellettuali che parlano un linguaggio di merda, né i giornalisti pagati dagli editori di merda per scrivere su giornali di merda. La merda sarà ovunque e sarà indispensabile per fare ogni cosa. Allora noi chiuderemo il rubinetto. Sarà complicato, perché la merda a differenza del petrolio è inesauribile e prodotta da tutti. Ovviamente la chiesa sarà al nostro fianco: una schiera di sacerdoti, stregoni, dai maggiori monoteismi ai più piccoli animismi e superstizioni di carattere etnico e regionale saranno con noi. Parleranno ai poveri, li convinceranno a usare cinture di stiticità, mutande blindate che occludono l'ano, li convinceranno a non cagare come li hanno convinti a non farsi le pippe. Diranno: chi caga diventa cieco. Col tempo la razza si evolverà e continueranno a cagare soltanto i ricchi. Chi continuerà a detenere il potere della defecazione diventerà la nuova aristocrazia, una classe che avrà nel proprio stesso corpo una zecca inesauribile. Produrrà capitale ogni mattina dopo il caffè e la sigaretta. Saranno i nuovi nobili e come nel passato si distingueranno per una decisa peculiarità naturale e organica. Una volta era il sangue blu, da quel momento sarà la merda. I poveri invece non avranno accesso a questo prezioso capitale, i poveri nasceranno senza culo. Ricordo una vecchia battuta, diceva: la vita è come la scaletta delle galline, corta corta e piena di merda. E allora vi annuncio che anche io ho fondato un nuovo partito e quella scaletta sarà la nostra bandiera, il nostro simbolo. Quelle galline cafone saranno il mio staff elettorale, la futura classe dirigente. Gioite, il futuro è una merda e lo stiamo costruendo per voi.
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