28/01/10

Lavoro SCHIAVO - di Antonio Onorati

Non è vero che nelle campagne del sud dove le mafie prendono a fucilate gli immigrati lo stato è assente. Al contrario, è l'imposizione delle politiche agricole che determina la crisi attuale
La rivolta dei braccianti di questi giorni, continua ad essere inquadrata come un problema d'ordine pubblico dovuto all'assenza dello Stato. Ma questo non corrisponde assolutamente a quello che succede. Lo Stato, anzi gli Stati, ci sono e portano tutta intera la responsabilità. Quella - semplice da comprendere - come la costruzione di un quadro giuridico che finisce per facilitare la totale disarticolazione del mercato del lavoro e la sua facile gestione da parte di gruppi criminali. Ma una responsabilità ben più grave è quella che deriva all'Italia ed all'Unione Europea, dall'aver costruito e rafforzato con denari pubblici un modello agricolo ed agro-alimentare che, pretesamene vocato ad affermarsi sul mercato mondiale e lanciato nella competizione globale con l'illusione della sua concorrenzialità, si ritrova ad un passo dalla sua implosione sotto le mazzate delle diverse crisi che si sono accumulate nel tempo recente e, ancora più gravemente, demolito proprio dal suo interno dalle logiche che lo hanno guidato e lo guidano ancora: l'idea, sbagliata, che aranci, clementine, pomodori, zucchine, latte, pesche o mele potessero essere prodotte «con profitto» in modo industriale da un numero sempre più ristretto di aziende agricole, comunque sempre più dipendenti da fattori esterni, siano essi l'energia, i pesticidi o i concimi a monte o l'industria agroalimentare e la GDO a valle. I prezzi a ritroso, imposti prima di tutto agli impoveriti consumatori dalle grandi catene commerciali e via via fino alle aziende agricole (non necessariamente la catena è lunga, non c'è molta differenza dal prezzo pagato dalla GDO e dall'intermediario grossista del paese), che, producendo con un prezzo imposto, possono tagliare l'unico costo che controllano, quello della forza lavoro. E questo vale se nei campi c'è solo il contadino, suo figlio o sua moglie o il bracciante irregolare.
Ecco l'agricoltura italiana: da 1,6 milioni di occupati nel 1992 a 850.000 nel 2009. Tra il 2000 ed il 2007 abbiamo perso il 22% delle aziende agricole, ma solo poco più de 2% della superficie agricola, infatti è aumentato il numero di tutte le aziende con una superficie maggiore di 30 ettari, cioè chi è restato si è ingrandito «per vincere la concorrenza». Sempre nello stesso periodo il reddito lordo standard (una misura estimativa) delle aziende con una superficie superiore a100 ettari è aumentato del 60%. E questo da anche l'idea perché le varie mafie investono soldi in agricoltura, non solo per riciclare o approfittare dei premi comunitari ma anche perché oltre una certa dimensione comunque - se puoi tagliare i costi di produzione, cioè i costi del lavoro - ci si guadagna bene.
La situazione in Calabria, Puglia ma anche nelle piane del Lazio o nelle stalle della Lombardia o del Veneto si ripropone, con livelli d'abuso diversi ma attraverso gli stessi meccanismi, in Andalusia per le fragole (con il «contratación en origen») o in Francia, nelle Bouche du Rhone ( i contratti «OMI»). Meccanismi simili perché simile è il modello agricolo: un'agricoltura industriale risultato di mezzo secolo di politiche pubbliche. Politiche imposte oggi alla Romania, paese membro dell'Unione Europea dove un'agricoltura familiare di piccolissima scala, che è riuscita ad attraversare l'era Ceausescu viene quasi annientata dall'applicazione della PAC provocando l'esodo dalle campagne verso le serre spagnole o di Latina (Mircea Vasilescu, 2006). Politiche imposte ai paesi africani dove l'Unione Europea stessa dice: «Occorre liberalizzare i mercati agricoli sulla base di una liberalizzazione reciproca» (UE, 2007) ma poi mette tutti sull'avviso che ad esempio «L'avvenire delle esportazioni nordafricane di prodotti agricoli è compromesso...». Infatti aumentano le importazioni alimentari dei paesi africani. Quelle dell'Africa francofona in 10 anni sono aumentate di oltre l' 80% ma la quota dell'Africa negli scambi mondiali in venti anni è scesa dal 2% al 1,6% del totale. E giusto per avere un'idea di come funziona: il latte importato costa intorno ai 200 FCFA in Senegal, ma il costo di produzione locale di un litro di latte non scende mai sotto i 400 FCFA. Certo che anche in questi paesi le elite dominanti approfittano della liberalizzazione, ad esempio in Tunisia il 2% delle aziende agricole controlla più del 60% delle terre coltivate e fertili. In Marocco in 20 anni il numero totale delle aziende agricole è diminuito del 22% ma nello stesso periodo il numero delle grandi aziende è aumentato del 10% circa. E la Banca Mondiale stessa, all'origine dei duri processi di liberalizzazione e industrializzazione delle agricolture , deve riconoscere «L'agricoltura contadina, di autoconsumo ed approvvigionamento del commercio di prossimità saranno toccati duramente della rottura del tessuto sociale e delle attività economiche degli spazi rurali dove loro completano sia il reddito necessario alla famiglia che i ciclo produttivo...» (Banque Mondiale, 2002). Saranno questi deportati economici a finire nei campi di pomodori e clementine, nelle serre dove si coltivano fragole ed insalata senza terra, con le flebo di chimica.
In questi paesi le politiche pubbliche imposte nell'ultimo quarto di secolo hanno prodotto il crescente processo di privatizzazione della terra e la difficoltà di mantenerne il controllo da parte dei piccoli contadini, la predazione delle risorse naturali fondamentali per l'agricoltura (acqua, foreste, fertilità, biodiversità,), taglio egli investimenti pubblici per l'agricoltura familiare e smantellamento delle protezioni del mercato interno agroalimentare, riduzione delle rese e della produzione agricole, distruzione dell'economia rurale con esodo e rottura del tessuto sociale del paese stesso, conquista del mercato interno alimentare da parte della GDO multinazionale ed il conseguente crollo dei redditi familiari rurali. Quindi siamo di fronte ad un problema globale e nazionale di politica agricola ed alimentare di cui gli Stati portano tutta intera la responsabilità. Da parte loro le organizzazioni agricole, come il Cordinamento Europeo della Via Campesina (CEVC), chiedono che la «Unione europea garantisca il rispetto da parte degli Stati delle condizioni di lavoro della manodopera agricola, in particolare stagionale, anche negando agli Stati che non rispettano gli obblighi minimi in materia di lavoro salariato stagionale agricolo i fondi di supporto all'agricoltura».

La mobilitazione e la solidarietà continua. Prossimo appuntamento del Coordinamento Europeo della Via Campesina a Torino dal 29 al 31 gennaio, un incontro di lavoro, facilitato da Associazione Rurale Italiana, per licenziare la piattaforma europea sul lavoro schiavo in agricoltura.

26/01/10

I penitenziari sono in uno stato d'illegalità

di Rita Bernardini
APPELLO CARCERI
Il manifesto ha ragione I penitenziari sono in uno stato d'illegalità
Avete ragione da vendere quando, con il vostro appello rivendicate il diritto/dovere dei mezzi di informazione di accedere nei luoghi di detenzione per informare i cittadini di quanto accade nei penitenziari italiani. Vi dirò di più: sono convinta che se le carceri divenissero istituzioni «trasparenti» quali noi tutti le vogliamo, nel giro di poco tempo sarebbe definitivamente rimosso lo stato di illegalità in cui oggi è costretta a vivere tutta la comunità penitenziaria: detenuti, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, personale sanitario e amministrativo.
La stessa iniziativa del «ferragosto in carcere», che ha portato 165 parlamentari a visitare i 205 istituti penitenziari italiani, sono convinta che abbia aperto una breccia nel muro di omertà e di opacità che purtroppo contraddistingue le nostre galere. Molti deputati, senatori e consiglieri regionali hanno varcato per la prima volta i 205 portoni blindati dove sono ristretti in condizioni indecenti di sovraffollamento e di degrado civile e umano ben sessantaseimila persone. Molti di loro hanno continuato a farlo dando seguito a quella «prima volta» responsabilizzandosi rispetto a quei luoghi e a chi ci vive (e ci muore) dentro. Luoghi ch sono il termometro del grado di civiltà di un Paese e che proprio per questo i rappresentanti del popolo dovrebbero seguire con particolare dedizione per rimuovere le sacche di illegalità, sia con interventi diretti, sia approntando nuove e riformatrici proposte di legge.
Non vorrei essere troppo ottimista, ma rilevo che questa cresciuta consapevolezza, aiutata da siti online come Ristretti Orizzonti o Innocenti evasioni, sta portando un numero sempre maggiore di vittime di abusi e di ingiustizie a trovare il coraggio di parlare: la famiglia di Stefano Cucchi e quel che rimane, ahinoi, della famiglia di Aldo Bianzino sono la punta di un iceberg che sta via via emergendo con tutta l'imponenza delle tante denunce di morti sospette che fino a poco tempo fa erano destinate a finire nel dimenticatoio.
Per comprendere quanto mi stia a cuore (e stia a cuore dei radicali) l'appello lanciato dal Manifesto e da Antigone che ho sottoscritto di slancio appena ne sono venuta a conoscenza, vi invito a dare un'occhiata alla proposta di legge redatta in collaborazione con l'Associazione Il Detenuto Ignoto che la delegazione radicale nel Gruppo parlamentare del Pd alla Camera ha depositato lo scorso anno sull'Istituzione dell'Anagrafe digitale pubblica delle carceri.
Cosa chiediamo? Che il Ministero della Giustizia metta online, aggiornandoli costantemente, i dati riguardanti ciascun istituto: dai bilanci gestionali alle informazioni sulla struttura; dalle informazioni relative agli interventi di edilizia penitenziaria con particolare riguardo alla trasparenza negli appalti (compensi, amministratori, estremi dei contratti d'appalto, consulenze eccetera) ai curriculum e compensi dei quadri dirigenti operanti all'interno degli istituti; dal numero e grado degli agenti in servizio, al numero di educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, personale infermieristico, tutti dati da confrontare con le piante organiche previste; dal regolamento penitenziario alle informazioni relative al calcolo delle spese di sopravitto; dalla capienza regolamentare e numero dei detenuti presenti nell'istituto alla mappa dettagliata dei detenuti e della loro composizione indicizzata per tipologie di reato, nazionalità, stato del provvedimento, permanenza residua e passata, sesso, religione ecc..
Vorremmo anche sapere il numero dei reclusi dichiarati assolti in seguito a carcerazione preventiva, il numero dei detenuti aventi diritto al voto; quanti lavorano e quanti sono fuori della regione di residenza; l'elenco dei progetti e dei corsi professionali svolti nell'istituto, gli enti referenti, il numero e tipologia dei partecipanti. E ancora, l'incidenza di patologie anche psichiche, il numero dei tossicodipendenti, dei sieropositivi e dei malati di Aids nonché degli affetti da altre malattie quali epatiti, tubercolosi, scabbia; gli atti di autolesionismo il numero e le modalità dei decessi.
Chiediamo troppo? Non credo, se solo pensiamo che lo Stato spende 6 miliardi e mezzo di Euro per tenere nel modo che conosciamo le patrie galere. Un rendiconto costante di come questa spesa immensa si consumi nella direzione o meno di quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione è doveroso tanto quanto è giusto ed opportuno che i giornalisti entrino negli istituti per documentarne la realtà quotidiana.
* deputata radicale Gruppo Pd

20/01/10

Silvio, quanto ci costi di Primo Di Nicola

Conti fuori controllo, 1.400 dipendenti di troppo, milioni buttati per gli show del Cavaliere, segretarie pagate come direttori. Ecco come Berlusconi ha trasformato la presidenza del Consiglio in una reggia

Una vera reggia, dove si moltiplicano dipendenti e sprechi. Con oltre un miliardo di euro l'anno bruciato per alimentare una burocrazia di corte che si allarga a dismisura e conta già 1.400 persone più del previsto. Mentre per allestire i set televisivi degli show del sovrano si spendono cinque milioni e si arriva a pagare 250 euro il noleggio di un computer per una sola giornata. E dove ci sono segretarie con la stessa qualifica e retribuzione dei grandi capi. Una follia, impossibile da immaginare nell'Italia normale dove aziende ed enti pubblici tagliano e licenziano a tutto spiano per fare quadrare i conti. Ma non alla presidenza del Consiglio dove il miracolo si ripete nei piani più alti della nomenklatura berlusconiana. Prendete Marinella Brambilla, storica segretaria del Cavaliere che da oltre vent'anni custodisce la sua agenda. E confrontate il suo curriculum con Manlio Strano, autore di saggi su riviste giuridiche e persino del regolamento interno del Consiglio dei ministri, appena nominato dal governo consigliere della Corte dei Conti. Manlio Strano, dopo una lunga trafila al servizio dello Stato, è diventato segretario generale di Palazzo Chigi lo scorso aprile. La sua qualifica? Dirigente generale di prima fascia, il top della carriera pubblica. E indovinate qual è la qualifica della fedelissima Brambilla? Anche lei direttore generale. E la Brambilla non è la sola miracolata. Come lei sono state graziosamente elevate al rango di superdirigenti generali anche Lina Coletta, segretaria di Gianni Letta; Maria Serena Ziliotto, che assiste il sottosegretario alle Politiche per la famiglia Carlo Giovanardi e Patrizia Rossi, che tiene invece l'agenda del sottosegretario allo Sport Rocco Crimi.

Quella delle qualifiche-facili non è la sola anomalia in cui ci si imbatte scandagliando la giungla della presidenza del Consiglio. Ci sono plotoni di alti funzionari senza incarichi operativi che passano il tempo conducendo improbabili studi, mentre si continua a imbarcare nuovi assunti con pingui stipendi e striminziti curriculum. Secondo i dati che "L'espresso" è riuscito a reperire, a palazzo Chigi lavorano ben 4.500 persone, oltre 1.400 in più di quelle previste nella pianta organica, a dimostrazione del fatto che quella dei dipendenti è ormai una spesa fuori controllo.

La corte dei miracoli La corsa dei costi di Palazzo Chigi sembra infatti ormai inarrestabile: 3 miliardi 621 milioni nel 2006; 4 miliardi 280 milioni nel 2007; ancora di più, 4 miliardi 294 milioni, nel 2008. Soldi che se ne vanno per mille rivoli e che finanziano le strutture che sono proliferate sotto il governo Berlusconi tra uffici di diretta collaborazione (23) e dipartimenti retti da sottosegretari e ministri senza portafoglio: i centri di spesa in bilancio sono ben 19. Degli oltre 4 miliardi, più del 70 per cento se ne va per le cosiddette "politiche attive" dei dipartimenti, a cominciare dalla Protezione civile che da sola nel 2008 ha divorato 2.132 milioni. Quello che resta viene inghiottito dal funzionamento dell'apparato, degno di una corte barocca. L'organizzazione di Palazzo Chigi è molto ramificata tra uffici di staff del presidente (consigliere diplomatico, militare, eccetera), quelli sottoposti al segretario generale che assicurano il funzionamento della macchina (bilancio, controllo, voli di Stato, gestione degli immobili) e i dipartimenti retti da sottosegretari e da ben dieci ministri. Senza contare la miriade di comitati e commissioni di cui in molti casi solo con grande sforzi si ravvisa la necessità. È per finanziare questo immenso apparato che le spese hanno toccato la cifra record del 2008, mentre nulla ancora si sa sul rendiconto 2009 che potrebbe segnare un nuovo primato.

Si va in scena Gli italiani conoscono benissimo quanto Berlusconi sia attento alla cura della propria immagine. Non a caso organizza le sue uscite cercando di sfruttarle al meglio a fini televisivi. Quello che i cittadini ignorano è quanto questo costi alle casse di Palazzo Chigi. Per cominciare, il Cavaliere ha reclutato all'interno di una propria struttura ("ufficio del presidente") due personaggi con il compito di curare i suoi "eventi": Mario Catalano, idolo dei cultori del porno soft per essere stato lo scenografo di "Colpo Grosso", il primo spettacolo tv davvero scollacciato degli anni '80, e Roberto Gasparotti, ex teleoperatore Fininvest, cerimoniere dalle maniere forti e dai precedenti poco rassicuranti che come responsabile dell'immagine del premier lo precede preparando il "set" e bonificandolo persino dalle presenze sgradite. Ebbene, Gasparotti ha avuto anche lui la superqualifica di dirigente generale. Mentre per esaudire le esigenze sceniche del premier sta contribuendo non poco a fare impennare le spese. Qualche perla tra le tante. Il 29 settembre, l'Aquila, consegna di qualche centinaio di appartamenti ai terremotati in contrada Bazzano. Per Berlusconi è previsto un rigido programma: arrivo alle 15.30, saluti e discorso, poi consegna delle chiavi a tre famiglie.

Il tutto, naturalmente, sotto l'occhio delle telecamere che lo seguono passo passo grazie a un set attrezzatissimo. Attrezzatissimo ma anche molto costoso. Stando ai preventivi della "D and di lighting & truck", di cui "L'espresso" è entrato in possesso, la fornitura comprende tra l'altro telecamere, maxischermi, impianti elettrici e di illuminazione, e persino «tre personal computer completi di pacchetto office» al costo di 1.500 euro, cioè 500 euro a computer. Uno pensa: computer acquistati. Macché: i 1.500 euro sono il costo del noleggio, ben 500 euro a pc per sole 48 ore. Una follia che contribuisce allo scandaloso costo finale dell'"operazione case": oltre 300 mila euro, cifra con la quale si potevano costruire altri sei di quegli appartamenti da 50 metri consegnati quel giorno ai terremotati. E quella abruzzese non è la sola prestazione da vertigine della "D and di". Da mettemettere in bilancio per il 2009 ci sono anche gli oltre 110 mila euro delle attrezzature noleggiate per la cena in onore del Keren Hayesold United Israel appeal (agenzia internazionale che raccoglie fondi per sostenere Israele) a Villa Madama il 3 novembre: 10 mila euro se ne sono andati solo per l'impianto audio di un gruppo musicale, 4 mila per una troupe appositamente attivata per «seguire il presidente durante l'evento» e altri 700 euro per una sola «telecamera fissa su cavalletto da posizionare fronte president». Come pure i costi per l'incontro organizzato sempre a palazzo Madama il 6 maggio con gli industriali de "L'Italia del fare": quella cena, solo di apparecchiature è costata oltre 60 mila euro. Secondo quanto risulta a "L'espresso", dal suo insediamento (maggio 2008) alla fine di ottobre, cioè in 17 mesi, la gestione berlusconiana di questi eventi mediatici è costata quasi 5 milioni di euro: un'enormità a confronto dei 150 mila spesi da Romano Prodi per fronteggiare le stesse esigenze nei 25 mesi del suo ultimo governo. Ma così vanno le cose alla presidenza nella cui gestione finanziaria nessuno riesce a mettere becco.

Miracolo in busta paga Il bilancio di Palazzo Chigi è infatti totalmente autonomo e viene alimentato dal ministero dell'Economia attraverso un apposito fondo. E da questo tesoretto pesca la presidenza per fare fronte anche ai costi dei dipendenti che continuano a crescere anno dopo anno: 202 milioni nel 2005, 229 l'anno successivo, 237 nel 2007, oltre 246 nel 2008. Le ragioni dell'escalation? L'inarrestabile lievitare degli organici che non conosce tregua. All'inizio erano previste 3.063 persone: 368 dirigenti e 2.695 impiegati. Oggi al lavoro ne risultano invece ben 4.542. Con una particolarità: il numero esorbitante dei "comandati", cioè il personale chiamato da altri ministeri o amministrazioni pubbliche, che ormai sono 1.600 unità. La ragione di questa esplosione sta nel fatto che la presidenza, da semplice organo di coordinamento dell'attività di governo si è trasformata in un contenitore di sottosegretariati e ministeri senza portafoglio che hanno comportato l'istituzione di dipartimenti e staff. Risultato? Non potendo nemmeno assumere per concorso per il blocco imposto dalla Finanziaria, la presidenza si è riempita di comandati- raccomandati la cui presenza in molti casi va avanti anche da più di un ventennio. Le professionalità rappresentate sono le più diverse: ci sono persino segretari comunali e un cantoniere reclutato dal Comune di Paliano (Frosinone). Per non parlare poi dei militari e degli agenti di ogni arma e grado: 370 in tutto secondo la presidenza, oltre 500 secondo altri dati avuti da "L'espresso". Quando si parla di potenziare la lotta al crimine, spesso i sindacati più combattivi chiedono il ritorno sulle strade di questi "comandati". Ma l'impresa è difficilissima: l'impiego a palazzo Chigi è infatti molto ambito. Merito dell'"accessorio" che compensa in busta paga la flessibilità degli orari e la reperibilità anche nei giorni festivi: per un funzionario di categoria A consente di aggiungere alla retribuzione media di 3.100 euro fino ad altri mille euro lordi. Così come appetibili sono anche gli stipendi dei dirigenti il cui top - incluse tutte le voci - arriva a riscuotere mediamente 180 mila euro lordi l'anno. Tra le eccezioni, il capo dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso (ma lui è anche sottosegretario) che arriva a 280 mila e il segretario generale Manlio Strano che grazie all'indennità del suo ruolo raggiunge i 297 mila euro lordi.

Questi i compensi più alti. Ma ottima è anche la retribuzione di Antonio Ragusa, ex generale dei carabinieri e dei servizi segreti, che dopo essere stato pensionato è stato riassunto dalla presidenza del Consiglio con un lauto contratto (184 mila euro lordi) come capo del dipartimento per le Risorse strumentali. Così come dalla pensione sono stati riesumati Carlo Sica, ex vicesegretario generale di Palazzo Chigi, titolare di una consulenza da 40 mila euro, e l'ex dirigente Giancarlo Bravi collocato invece alla struttura di missione sui 150 anni dell'Unità d'Italia (139 mila euro).

Così vanno le cose a Palazzo Chigi: molti dirigenti di ruolo non hanno nulla da fare, ma si continua a conferire incarichi agli estranei senza il minimo ritegno. Un andazzo che prevale non solo per i compiti dirigenziali. L'esempio viene proprio da Berlusconi. Il suo "ufficio del presidente", composto da 45 persone, ne ha oltre 20 assunte dall'esterno. A parte la Brambilla, Catalano e Gasparotti, nel conto ci sono pure i due segretari-deputati Sestino Giacomoni e Valentino Valentini (a Palazzo Chigi assicurano che a loro spetta solo un rimborso spese), per non parlare del fotografo personale Livio Anticoli, l'ex ministro Giuliano Urbani (18 mila euro) più una serie di personaggi sconosciuti le cui occupazioni potrebbero sicuramente essere svolte dal personale interno.

Missione continua Stessa musica negli uffici di Letta e di quasi tutti gli altri sottosegretari e ministri senza portafoglio che continuano a elargire incarichi e prebende sfruttando anche la miriade di comitati e commissioni (ne abbiamo contate oltre 60) di cui la presidenza è disseminata.

Una deriva di cui si è accorta anche la Corte dei Conti che, non potendo mettere becco sulla gestione del bilancio autonomo, una stangata alla presidenza l'ha comunque rifilata passando in rassegna le "strutture di missione", un altro sperpero di palazzo Chigi. Dovrebbero essere comitati di durata temporanea per affrontare eventi speciali. Ma ne esistono una trentina, nati in tempi lontanissimi e puntualmente riconfermati.

La struttura di supporto alla delegazione governativa per la realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione è stata varata nel lontano 2002 dal governo Berlusconi, confermata da Prodi nel 2007 e riconfermata di nuovo dal Cavaliere nel 2008, per esempio. Al 2003 risale invece la nascita della struttura dedicata all'e-government, ancora oggi in vita, per non parlare dell'unità strategica per la comunicazione sull'attività del governo battezzata nel 2007 da Prodi (come dirigente generale c'è il giornalista Fabrizio Ravoni). E come giudicare la struttura per il rilancio dell'immagine dell'Italia, l'altra per cogliere le "opportunità delle Regioni in Europa" o quella che istituisce la segreteria tecnica dell'Unità per la semplificazione, un apparato nel quale lavorano 3 dirigenti, 4 impiegati, più 12 esperti assunti all'esterno con contratti di collaborazione? Conclusione della Corte: «Le strutture di missione non sempre presentano i requisiti peculiari dell'istituto, e cioè specialità delle funzioni e temporaneità ». Una politica dalle maniche larghe che fa la gioia dei tanti fortunati che continuano a sbarcare in presidenza con il massimo delle qualifiche.

Tutti generali Maurizio Bosatra per esempio solo poco anni fa conduceva la vita grama di tanti militanti leghisti. Nel 2003 forniva informazioni ai partecipanti dell'assemblea federale della Padania all'ex Palavobis di Milano: oggi lo ritroviamo invece nel cuore dello Stato come direttore generale del ministro Calderoli. Un miracolo toccato pure a Cristina Cappellini che nel 2007 stendeva ancora anonimi documenti per il comitato organizzativo del parlamentino del Nord. Lei, adesso, è addirittura capo del settore legislativo del ministero per le Riforme di Umberto Bossi. Nemmeno i giornalisti possono lamentarsi: quando sbarcano a Palazzo Chigi ottengono spesso il massimo dei gradi. Come Marco Antonio Ventura e Fabrizio De Feo, due penne del "Giornale", impiegati nell'ufficio stampa del portavoce Paolo Bonaiuti; oppure come Fabrizio Carcano, redattore della "Padania" e ora capoufficio stampa di Calderoli, o Raffaele Gorgoni, inviato del Tgr Puglia, approdato al ministero per gli affari regionali del conterraneo Raffaele Fitto. Anch'essi assunti come direttori generali.

Gradi a parte, la presidenza si rivela un approdo ambito anche per molti che non ti aspetti di trovare. Sempre negli uffici del sottosegretario Bonaiuti troviamo come consulenti i deputati Pdl Giorgio Lainati, Piero Testoni e Beatrice Lorenzin. E non solo loro: ci sono pure il giornalista Fabio Vazio, ex ufficio stampa di Fi, l'ex portavoce di Carlo Azeglio Ciampi Paolo Peluffo, che dopo essere sbarcato alla Corte dei Conti riscuote a palazzo Chigi altri 15 mila euro; e il generale della guardia di finanza Fabrizio Lisi (12 mila euro) comandante della scuola dell'Aquila.

Per grazia ricevuta Ma nella corsa all'elargizione degli incarichi che pesano sul bilancio di Palazzo Chigi, come quasi tutti i suoi colleghi ministri senza portafoglio, non si risparmia neanche l'ammazza-fannulloni Brunetta (tra i suoi consulenti i parlamentari Cinzia Bonfrisco, Maurizio Castro e l'ultras berlusconiano Giorgio Stracquadanio). Che ha inserito molti amici nei ranghi della presidenza. Come gli affiliati alla sua associazione Freefoundation. Se chiamate però al numero telefonico del think tank vi risponde il centralino dello studio del commercialista Canio Zampaglione che oltre ad essere presidente dell'associazione è anche presidente del collegio dei revisori dei conti dell'Agenzia per l'innovazione, guarda caso sottoposta all'autorità di Brunetta. Un altro amico Rodolfo Ridolfi, vicepresidente di Freefoundation, risulta invece consulente sempre da Brunetta (45 mila euro il suo compenso). Idem altri due membri come Davide Giacalone, nominato esperto a 40 mila euro, mentre Stefania Profili, che Brunetta aveva avuto come segretaria nella sede nazionale di Forza Italia, con la stessa mansione è stata nominata dirigente generale al ministero. E non è finita. Perché tra le file degli esperti di Brunetta, oltre all'ex ministro Gianni De Michelis (13 mila euro) c'è pure Secondo Amalfitano (26 mila euro), noto solo per essere stato sindaco di Ravello, località nella quale Brunetta ha preso casa.

Anche Mara Carfagna, ministro senza portafoglio alle Pari opportunità, si dà molto da fare per incrementare l'abbuffata degli incarichi. Lei recluta esperti e consulenti con occhio attento a tutti i fronti aperti. Alle giuste amicizie di partito, per cominciare. Ed ecco spuntare a capo dipartimento del suo ministero Isabella Rauti (165 mila euro), moglie del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Ma anche al collegio elettorale campano: Antonio Mauro Russo, segretario organizzativo provinciale del Pdl di Salerno, città natale del ministro, ha una consulenza da 28 mila euro e il compito di curare i collegamenti con il territorio. Infine Federica Mondani reclutata (circa 20 mila euro) come adviser per le materie giuridiche ma, in quanto avvocato del Foro di Roma, messa al lavoro dal ministro per patrocinare alcune cause che gli stanno particolarmente a cuore contro Sabina Guzzanti e il quotidiano "la Repubblica". Altro caso da manuale, infine, quello del ministero del Turismo, regno di Maria Vittoria Brambilla. Giovanissima, Mvb aveva tentato la strada della tv nella trasmissione di Canale 5 "Misteri della notte". A tenerla a battesimo fu il curatore del programma Cesare Medail. Ma l'esordio si rivelò un fiasco. Girata la ruota della fortuna, la Brambilla non ha però dimenticato il suo mentore Medail, ingaggiato come esperto al Turismo (29 mila euro) dopo che lo aveva anche ripescato come direttore della "Tv delle libertà", fallimentare organo dei suoi omonimi circoli.

I quali confezionavano anche un "Giornale delle libertà", nel quale spiccava come consulente editoriale una vecchia gloria del giornalismo come Vittorio Bruno. Naufragati i circoli, la Brambilla ha ripescato anche lui con un compenso di 70 mila euro lordi. Una goccia nel mare magnum delle super spese della presidenza.

17/01/10

La Corte dei Conti frena il Ponte

di Giacomo Russo Spena
Costi, traffico e sicurezza
Il costo preventivato è già lievitato di un miliardo e mezzo. Mentre restano incerte le valutazioni sui flussi di traffico, le garanzie sulla sicurezza e sulla compatibilità ambientale di un'opera ad un'unica campata di oltre 3 km di lunghezza che non ha precedenti al mondo. La Corte dei Conti, in una relazione, solleva dubbi sulla fattibilità del ponte sullo Stretto chiedendo al governo spiegazioni su alcune questioni logistiche ed economiche. La spesa dell'infrastruttura era stimata nel 2003 a 4,7 miliardi di euro mentre ora è indicata in 6,1 miliardi per la felicità della società appaltatrice dei lavori, la "Stretto di Messina spa". In questo lasso tempo è stato aperto solo un cantiere fantasma a Villa San Giovanni, inaugurato lo scorso 24 dicembre, e dal governo sono stati investiti quasi 2 miliardi (470 milioni sbloccati nell'ultima Finanziaria). Inoltre le stime di traffico - sottolineano i magistrati contabili - sono state formulate nel 2001 e «potrebbero verosimilmente non solo essere non più aggiornate ai tempi attuali, ma anche non coerenti con il quadro economico della sopraggiunta congiuntura economica». «Un modello superato», come ammette l'architetto Remo Calzona, uno tra i principali progettisti dell'opera, che insieme ad altri ex tecnici denuncia tre problemi al momento non risolvibili: il pericolo sismico, il sistema idrogeologico e l'eccessiva lunghezza della campata con 32 punti di crisi a rottura di cui 15 insormontabili. Il progetto, infatti, infrange ogni primato sinora esistente (lunghezza dell'impalcato, larghezza della sede stradale e ferroviaria, altezza delle torri e diametro dei cavi): rispetto al ponte più lungo ad unica campata attualmente esistente al mondo, quello giapponese di Akashi-Kaiky che ne ha una unica di 1.991 metri, l'opera sullo Stretto avrebbe una lunghezza superiore del 39,6%, pari a 3.300 metri.
«Rimangono poi irrisolti i problemi di impatto paesaggistico», spiega Alberto Ziparo, docente universitario e noto urbanista, che, come tutti gli ambientalisti, si compiace per la relazione della Corte dei Conti (invitata ad esprimersi sotto la pressione del Wwf) che accoglie le rivendicazioni del movimento contrario all'infrastruttura. «Le vere priorità dell'Italia e del Mezzogiorno sono altre: la messa in sicurezza dei territori, la realizzazione di collegamenti ferroviari efficienti (la maggior parte dei treni al sud viaggia ancora su binario unico) e la realizzazione di una rete idrica per portare l'acqua in città che ancora sono servite da autobotti» affermano all'unisono Bonelli (Verdi), Della Seta (Pd), e Pesacane (Forum Ambientalista). Più cauto nel cantar vittoria Gino Sturniolo dei no-Ponte. «I magistrati ci danno ragione ma il percorso per la costruzione continua - commenta l'attivista - Il governo investirà semplicemente altre risorse per un nuovo progetto».
Ma l'infrastruttura verrà mai realizzata? «Non credo, serve solo per regalare denaro pubblico alle ditte private e come tema da sbandierare nelle campagne elettorali» conclude Sturniolo. Incuriosisce la posizione di Pietro Ciucci. L'amministratore delegato della Stretto di Messina spa prende atto «con soddisfazione» della conclusione dell'indagine avviata dalla Corte dei Conti, confermando «il pieno impegno ad effettuare una costante valutazione di tutti i principali aspetti tecnico-operativi del progetto, con particolare riferimento alla fattibilità tecnica, compatibilità ambientale nonché all'aggiornamento delle stime di traffico». Il restyiling del ponte sembra essere il prossimo passo del governo.
[fonte: "il Manifesto" del 16 gennaio 2010]