La ribellione, la violenza, la deriva politica. Il fascino spaventoso delle curve italiane in un romanzo della scrittice livornese Elisa Davoglio. «Onore ai diffidati», l’immersione di una donna nel ventre del tifo
Atala è un romanzo di François-René de Chateaubriand, il nome di un’eroina, di una donna forte, unica nel suo genere, una donna che odora di bene. Nel romanzo di Elisa Davoglio Onore ai diffidati (Mondadori, 16 euro) Atala diventa altro, un’eroina storta che puzza di male e confusione. «Non è un bel personaggio - dice l’autrice della sua creazione - come del resto la storia che racconto non ha certezze».
La trama è semplice nella sua complessità. Atala è una bella livornese di vent’anni che come tante livornesi ha deciso di lasciare il mare, il porto, i muri coperti dalle scritte dei tifosi amaranto per approdare in una grande metropoli agitata e forse anonima. In una Milano evanescente Atala comincia a perdere i pezzi di sé, si iscrive all’università ma non riesce a studiare molto, ha un gatto ma non riesce (come Audreuy Hepburn in Colazione da Tiffany) a dargli un nome, danza ma non riesce a trovare un baricentro. Trova un ragazzo però: Luca. E su di lui punta tutto. Forse troppo. Quando Luca viene arrestato dalla polizia il mondo di Atala, già precario, precipita. L’accusa è spaccio legato alle tifoserie calcistiche. Ed è così che la ragazza scopre che l’uomo con cui ha condiviso il letto e a cui ha insegnato le cinque posizioni della danza classica è un ultras della mitica Fossa dei leoni e che in fondo non lo conosce veramente. Il libro è quindi un viaggio che facciamo insieme ad Atala nel mondo di Luca, degli Ultras e in generale nelle contraddizioni della nostra società.
reportage sul tifo. Interessava il mio punto di vista femminile. Sono sempre stata una ragazza sportiva. Il calcio mi piace, so cos’è un fuorigioco, ho alle spalle il rigore della danza, il nuoto sincronizzato, ho persino scoccato frecce. Quando ho cercato di contattare dei tifosi mi sono trovata davanti ad un muro. Molta diffidenza. ’Che cavolo vuoi? Vai a quel paese’, mi dicevano. Ero la ficcanaso, quella che chiedeva troppo. Più il muro diventava alto, più volevo capire». Il punto di partenza della Davoglio era l’inquietitudine generata dal male, dalla non chiarezza delle immagini degli scontri domenicali: «facevo come tutti l’equazione ultras uguale violenza. I ragazzi con passamontagna e spranghe mi facevano«Questo libro ha un inizio casuale. La primavera scorsa mi era stato dato il compito di fare un paura, ma mi incuriosivano anche. Non riuscivo ad accontentarmi delle spiegazioni dei media, volevo approfondire la faccenda. Quindi ho deciso consapevolmente che lo strumento reportage non era utile per capire fino in fondo questo mondo. Dovevo usare l’immaginazione, la fantasia, il romanzo. Perché solo così avrei avuto la possibilità di cogliere le sfumature e tutte le contraddizioni. Solo così mi sarei liberata dai pregiudizi moralistici. Il mio obbiettivo era quello di non giudicare, ma di descrivere qualcosa che per il mio Io di prima poteva essere inspiegabile. La mia immersione doveva essere totale, ma senza verdetti».
Elisa Davoglio, 32 anni, conosciuta soprattutto per la raccolta Olio Burning (Perrone, 2006), ha trovato proprio nella sua scrittura morbida, sinuosa, estremamente precisa il suo maggiore alleato. «Agli ultras non ho mai detto bugie. Non mi sono mai finta altro da me. Gli dicevo ’che male può farvi la poesia?’, mi sono fatta conoscere per quella che sono, Elisa Davoglio, poetessa. Poi ho consigliato loro di guardare su internet. Quando scoprivano che non ero la solita giornalista impicciona si aprivano, alcuni mi hanno anche fatto leggere le loro poesie. In generale parlare con gli ultras mi ha fatto capire molto. È un mondo vario. Fatto di tante appartenenze dove convivono il ragazzo ricco con l’ambulante, un mondo fatto di treni, stazioni, trasferte, riti sempre uguali. Dove il gruppo è tutto, è forte, compatto, esaltato, cattivo. Dove ogni personalità è cancellata e dove si ha l’illusione di realizzare un’esistenza. Ho avuto un grande aiuto dal sito www.asromaultras.it e in particolare da Lorenzo Contucci che lo cura. Lorenzo è un avvocato, un ex ultras ed è lui che mi ha fatto capire in termini legali cosa significa una diffida».
Il mondo del calcio nel romanzo della Davoglio esce fuori come un mondo contorto, violento, pericoloso. Un calcio in continua mutazione genetica, corrotto dai soldi e dai procuratori. Ma l’autrice invece ha voluto iniziare la sua danza letteraria con un’immagine sana dello sport: «ho inserito nelle prime battute la figura di Rossano Giampaglia. Lui ha allenato l’Under 21, da giovane ha fatto il centrocampista, accompagnava la nazionale maggiore, era amico fraterno di Marcello Lippi. Ha assaggiato la serie A con la Sampdoria e poi militato in B e C. Per noi era e rimane soprattutto un livornese. Un uomo che aveva scelto una carriera in tono minore per stare vicino alla sua gente, al suo mare. Si è arreso alla leucemia, ma il suo sorriso è molto caro a noi triglie livornesi. Atala lo incontra per caso in un maneggio, Atala che dice qualcosa di casuale sul calcio, Giampaglia che le chiede ’sei mai andata allo stadio?’ e poi la porta a vedere la partita. Ecco questo è successo a me Elisa ed è l’unico episodio autobiografico di questo romanzo. Mi serviva l’energia di quel sorriso per descrivere il dopo, il gorgo in cui si infila il mio personaggio».
Questa Livorno «dove si nasce tifosi come si nasce comunisti», questa città sana, incompresa, dove le ragazze all’esame di maturità «portano i sandali e hanno i segni dei lacci del costume dietro le spalle», questa Livorno è il motore di tutto. A Livorno essere di sinistra è nel dna, si nasce veramente comunisti: «anche Atala in fondo lo è, ma non ne ha consapevolezza» ed è questa Livorno che scorre nel sangue della Davoglio che trasforma Onore ai diffidati in un libro sulla politica, un libro che riflette il presente.
«La vicenda è ambientata a Milano perché mi interessava parlare della Fossa dei Leoni. Con lei è nata nel 1968 la storia della tifoseria Milanista. Gruppo apartitico, misto, tosto. La Fossa si è sciolta dopo un lungo conflitto strisciante che aveva preso a pretesto il furto di uno striscione ad opera di ultras juventini. La Fossa venne accusata di aver chiesto l’intermediazione della Digos. Un fatto inaccettabile per le regole degli ultras. Per protesta, perché presa di mira, la Fossa si è dovuta sciogliere. Però parlando con gli ultras la fossa rimane l’Eden, l’ideale. Oggi c’è una pericolosa deriva verso l’estremismo di destra soprattutto, ma anche di sinistra. La politica entra nello stadio di prepotenza, perché il calcio è stato svuotato dei suoi valori. Troppe partite, troppa tv, troppi soldi. Non a caso Luca, il taciturno, è una della Fossa. È leale Luca, la sua estrema onestà è qualcosa che potrebbe portare alle estreme conseguenze. Ha questa tendenza al martirio che non può esprimere. Ha gambe forti e delicate insieme. Ma come gli antichi brigatisti potrebbe premere un grilletto da un momento all’altro ed uccidere per integrità. Fa una tesi sull’eversione nera e rossa degli anni ’70, ha un eskimo, un motorino scassato. Sono una zecca certa, dice di se stesso, una zecca di una sinistra non più di moda. È uno che sarebbe pronto ad affrontare quello che c’era prima, gli scontri, la targa da terrorista, ma sa che adesso è tutto diverso, sa che la rivoluzione non tornerà, perché non solo è proibito farla, ma anche pensarla. Luca è un personaggio positivo, estremamente buono, ma anche estremamente pericoloso».
C’è molta riflessione sulla politica di oggi nel romanzo della Davoglio. «Quando Atala va nel quartiere di Luca lo trova abbandonato, con i lampioni rotti. L’italiano quando ha dei problemi pratici è facile abbindolarlo. La destra ha fatto questo. Ha detto al popolo che il problema sono i Rom, gli stranieri e il popolo ha creduto a questa bugia attanagliato dalla paura della povertà. La sinistra non ha colto il disagio, anche perché ormai è lontana dalla gente. Non c’è più lo scontro sociale. Anche i boicottaggi sono all’acqua di rose, si partecipa alle maratone contro il nucleare indossando scarpe Nike. Le sedi dei partiti sono tutte in zone eleganti e in generale la sinistra oggi è pariolina e radical-chic. Vive nelle stesse modalità dell’estrema destra, nello stesso mondo, con gli stessi orizzonti. Forse vanno anche a cena insieme».
Questi orizzonti mischiati tra destra estrema e sinistra poco radicale sono ben descritti dall’autrice. Personaggi strani quelli di Onore ai Diffidati. Nessuno di noi vorrebbe incrociarli per strada, di certo non li vorremmo come amici. Alexhooligan, Azdin, il Pirata sono immersi ognuno nel suo lato oscuro. Amalia è bella, balla da dea, ma desidera una morte che non la deluda. Melissa è un’adolescente Lolita sua malgrado, sedotta da un quarantenne senza scrupoli. E poi c’è Marco. Il classico bravo ragazzo, studia da medico, ha una vita ordinata (troppo?). Però poi tra le pieghe della sua vita perbene, nel suo quartiere perbene, si scopre un’appartenenza a Forza Nuova, un odio estremo verso i migranti, un tifo malato e una furia devastatrice che lo ingoia. Marco, come in fondo Atala la ballerina che non sa ballare veramente, è solo. Fa l’amore sognando lo stupro che un giorno forse farà. Accoltella Marco. Fa male. Ha occhi devastati da un odio che l’autrice non ci vuole totalmente spiegare. Personaggi negativi che la Davoglio non giudica «perché per me è più importante l’uomo o la donna che ci sono dietro. La loro essenza che non mi voglio dimenticare». In questo Elisa Davoglio ci ricorda il Calvino de Il sentiero dei nidi di ragno, nessuno è vero carnefice o vera vittima. Tutti stritolati da un meccanismo che va oltre loro. Fermezza, violenza, estrema onestà di questi belli e dannati del terzo millennio.
La trama è semplice nella sua complessità. Atala è una bella livornese di vent’anni che come tante livornesi ha deciso di lasciare il mare, il porto, i muri coperti dalle scritte dei tifosi amaranto per approdare in una grande metropoli agitata e forse anonima. In una Milano evanescente Atala comincia a perdere i pezzi di sé, si iscrive all’università ma non riesce a studiare molto, ha un gatto ma non riesce (come Audreuy Hepburn in Colazione da Tiffany) a dargli un nome, danza ma non riesce a trovare un baricentro. Trova un ragazzo però: Luca. E su di lui punta tutto. Forse troppo. Quando Luca viene arrestato dalla polizia il mondo di Atala, già precario, precipita. L’accusa è spaccio legato alle tifoserie calcistiche. Ed è così che la ragazza scopre che l’uomo con cui ha condiviso il letto e a cui ha insegnato le cinque posizioni della danza classica è un ultras della mitica Fossa dei leoni e che in fondo non lo conosce veramente. Il libro è quindi un viaggio che facciamo insieme ad Atala nel mondo di Luca, degli Ultras e in generale nelle contraddizioni della nostra società.
reportage sul tifo. Interessava il mio punto di vista femminile. Sono sempre stata una ragazza sportiva. Il calcio mi piace, so cos’è un fuorigioco, ho alle spalle il rigore della danza, il nuoto sincronizzato, ho persino scoccato frecce. Quando ho cercato di contattare dei tifosi mi sono trovata davanti ad un muro. Molta diffidenza. ’Che cavolo vuoi? Vai a quel paese’, mi dicevano. Ero la ficcanaso, quella che chiedeva troppo. Più il muro diventava alto, più volevo capire». Il punto di partenza della Davoglio era l’inquietitudine generata dal male, dalla non chiarezza delle immagini degli scontri domenicali: «facevo come tutti l’equazione ultras uguale violenza. I ragazzi con passamontagna e spranghe mi facevano«Questo libro ha un inizio casuale. La primavera scorsa mi era stato dato il compito di fare un paura, ma mi incuriosivano anche. Non riuscivo ad accontentarmi delle spiegazioni dei media, volevo approfondire la faccenda. Quindi ho deciso consapevolmente che lo strumento reportage non era utile per capire fino in fondo questo mondo. Dovevo usare l’immaginazione, la fantasia, il romanzo. Perché solo così avrei avuto la possibilità di cogliere le sfumature e tutte le contraddizioni. Solo così mi sarei liberata dai pregiudizi moralistici. Il mio obbiettivo era quello di non giudicare, ma di descrivere qualcosa che per il mio Io di prima poteva essere inspiegabile. La mia immersione doveva essere totale, ma senza verdetti».
Elisa Davoglio, 32 anni, conosciuta soprattutto per la raccolta Olio Burning (Perrone, 2006), ha trovato proprio nella sua scrittura morbida, sinuosa, estremamente precisa il suo maggiore alleato. «Agli ultras non ho mai detto bugie. Non mi sono mai finta altro da me. Gli dicevo ’che male può farvi la poesia?’, mi sono fatta conoscere per quella che sono, Elisa Davoglio, poetessa. Poi ho consigliato loro di guardare su internet. Quando scoprivano che non ero la solita giornalista impicciona si aprivano, alcuni mi hanno anche fatto leggere le loro poesie. In generale parlare con gli ultras mi ha fatto capire molto. È un mondo vario. Fatto di tante appartenenze dove convivono il ragazzo ricco con l’ambulante, un mondo fatto di treni, stazioni, trasferte, riti sempre uguali. Dove il gruppo è tutto, è forte, compatto, esaltato, cattivo. Dove ogni personalità è cancellata e dove si ha l’illusione di realizzare un’esistenza. Ho avuto un grande aiuto dal sito www.asromaultras.it e in particolare da Lorenzo Contucci che lo cura. Lorenzo è un avvocato, un ex ultras ed è lui che mi ha fatto capire in termini legali cosa significa una diffida».
Il mondo del calcio nel romanzo della Davoglio esce fuori come un mondo contorto, violento, pericoloso. Un calcio in continua mutazione genetica, corrotto dai soldi e dai procuratori. Ma l’autrice invece ha voluto iniziare la sua danza letteraria con un’immagine sana dello sport: «ho inserito nelle prime battute la figura di Rossano Giampaglia. Lui ha allenato l’Under 21, da giovane ha fatto il centrocampista, accompagnava la nazionale maggiore, era amico fraterno di Marcello Lippi. Ha assaggiato la serie A con la Sampdoria e poi militato in B e C. Per noi era e rimane soprattutto un livornese. Un uomo che aveva scelto una carriera in tono minore per stare vicino alla sua gente, al suo mare. Si è arreso alla leucemia, ma il suo sorriso è molto caro a noi triglie livornesi. Atala lo incontra per caso in un maneggio, Atala che dice qualcosa di casuale sul calcio, Giampaglia che le chiede ’sei mai andata allo stadio?’ e poi la porta a vedere la partita. Ecco questo è successo a me Elisa ed è l’unico episodio autobiografico di questo romanzo. Mi serviva l’energia di quel sorriso per descrivere il dopo, il gorgo in cui si infila il mio personaggio».
Questa Livorno «dove si nasce tifosi come si nasce comunisti», questa città sana, incompresa, dove le ragazze all’esame di maturità «portano i sandali e hanno i segni dei lacci del costume dietro le spalle», questa Livorno è il motore di tutto. A Livorno essere di sinistra è nel dna, si nasce veramente comunisti: «anche Atala in fondo lo è, ma non ne ha consapevolezza» ed è questa Livorno che scorre nel sangue della Davoglio che trasforma Onore ai diffidati in un libro sulla politica, un libro che riflette il presente.
«La vicenda è ambientata a Milano perché mi interessava parlare della Fossa dei Leoni. Con lei è nata nel 1968 la storia della tifoseria Milanista. Gruppo apartitico, misto, tosto. La Fossa si è sciolta dopo un lungo conflitto strisciante che aveva preso a pretesto il furto di uno striscione ad opera di ultras juventini. La Fossa venne accusata di aver chiesto l’intermediazione della Digos. Un fatto inaccettabile per le regole degli ultras. Per protesta, perché presa di mira, la Fossa si è dovuta sciogliere. Però parlando con gli ultras la fossa rimane l’Eden, l’ideale. Oggi c’è una pericolosa deriva verso l’estremismo di destra soprattutto, ma anche di sinistra. La politica entra nello stadio di prepotenza, perché il calcio è stato svuotato dei suoi valori. Troppe partite, troppa tv, troppi soldi. Non a caso Luca, il taciturno, è una della Fossa. È leale Luca, la sua estrema onestà è qualcosa che potrebbe portare alle estreme conseguenze. Ha questa tendenza al martirio che non può esprimere. Ha gambe forti e delicate insieme. Ma come gli antichi brigatisti potrebbe premere un grilletto da un momento all’altro ed uccidere per integrità. Fa una tesi sull’eversione nera e rossa degli anni ’70, ha un eskimo, un motorino scassato. Sono una zecca certa, dice di se stesso, una zecca di una sinistra non più di moda. È uno che sarebbe pronto ad affrontare quello che c’era prima, gli scontri, la targa da terrorista, ma sa che adesso è tutto diverso, sa che la rivoluzione non tornerà, perché non solo è proibito farla, ma anche pensarla. Luca è un personaggio positivo, estremamente buono, ma anche estremamente pericoloso».
C’è molta riflessione sulla politica di oggi nel romanzo della Davoglio. «Quando Atala va nel quartiere di Luca lo trova abbandonato, con i lampioni rotti. L’italiano quando ha dei problemi pratici è facile abbindolarlo. La destra ha fatto questo. Ha detto al popolo che il problema sono i Rom, gli stranieri e il popolo ha creduto a questa bugia attanagliato dalla paura della povertà. La sinistra non ha colto il disagio, anche perché ormai è lontana dalla gente. Non c’è più lo scontro sociale. Anche i boicottaggi sono all’acqua di rose, si partecipa alle maratone contro il nucleare indossando scarpe Nike. Le sedi dei partiti sono tutte in zone eleganti e in generale la sinistra oggi è pariolina e radical-chic. Vive nelle stesse modalità dell’estrema destra, nello stesso mondo, con gli stessi orizzonti. Forse vanno anche a cena insieme».
Questi orizzonti mischiati tra destra estrema e sinistra poco radicale sono ben descritti dall’autrice. Personaggi strani quelli di Onore ai Diffidati. Nessuno di noi vorrebbe incrociarli per strada, di certo non li vorremmo come amici. Alexhooligan, Azdin, il Pirata sono immersi ognuno nel suo lato oscuro. Amalia è bella, balla da dea, ma desidera una morte che non la deluda. Melissa è un’adolescente Lolita sua malgrado, sedotta da un quarantenne senza scrupoli. E poi c’è Marco. Il classico bravo ragazzo, studia da medico, ha una vita ordinata (troppo?). Però poi tra le pieghe della sua vita perbene, nel suo quartiere perbene, si scopre un’appartenenza a Forza Nuova, un odio estremo verso i migranti, un tifo malato e una furia devastatrice che lo ingoia. Marco, come in fondo Atala la ballerina che non sa ballare veramente, è solo. Fa l’amore sognando lo stupro che un giorno forse farà. Accoltella Marco. Fa male. Ha occhi devastati da un odio che l’autrice non ci vuole totalmente spiegare. Personaggi negativi che la Davoglio non giudica «perché per me è più importante l’uomo o la donna che ci sono dietro. La loro essenza che non mi voglio dimenticare». In questo Elisa Davoglio ci ricorda il Calvino de Il sentiero dei nidi di ragno, nessuno è vero carnefice o vera vittima. Tutti stritolati da un meccanismo che va oltre loro. Fermezza, violenza, estrema onestà di questi belli e dannati del terzo millennio.
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