28/04/08

Sul filo del tempo - Il racconto della prima staffetta partigiana

A chi le chiedeva di raccontare la sua esperienza nel campo di concentramento, l'ex partigiana triestina Ondina Peteani rispondeva scherzando:<Ah, poveri noi che abbiamo tanto ... soffritto>. L'ironia era un modo per proteggersi da "fango di Auschwitz" che le covava dentro e che infine l'avrebbe soffocata. Nata a Trieste il 26 aprile 1925 e scomparsa in quella stessa città il 3 gennaio 2003, Ondina Peteani è stata, secondo alcuni protagonisti della storia locale, la prima staffetta partigiana d'Italia. A ricostruire la biografia di Ondina (1)- <una vita tra la lotta partigiana, deportazione e impegno sociale> - è Anna Di Gianantonio, autrice di diverse monografie sul lavoro femminile operaio e saggi sulla Resistenza, responsabile dell'Archivio del Consorzio culturale del Monfalconese.

Ondina inizia, giovanissima, l'attività antifascista al cantiere navale di Monfalcone dove lavora come operaia. Il cantiere navale è un luogo di resistenza politica anche negli anni9 di massimo consenso a Mussolini, è facile dunque che si venga chiamati a fare la propria parte e reclutati. In quella zona agiscono nuclei clandestini comunisti e socialisti, nel 1935 gli operai lanciano manifestini contro la guerra coloniale all'Etiopia, nel '37 si alza in cielo un pallone con la scritta "Viva l'Urss. Morte ai criminali fascisti". Dal'36, è attivo un fondo comune, raccolto fra i lavoratori, che serve ad aiutare le famiglie di chi è colpito dalla repressione, si chiama Soccorso rosso.

Ondina partecipa alle riunioni che si tengono nelle case operaie, fa parte di una cellula del Partito comunista e della Brigata Fratelli Fontanot. Fra i suoi compiti c'è quello di portare agli operai di Padova e Udine le copie clandestine dell'Unità. Allora ha 15 anni. Quando è catturata dai nazisti, l'11 febbraio '44, ne ha 19. Da qualche tempo è diventata la partigiana Natalia, raccoglie cibo e armi per il famoso Battaglione triestino, e ha già subito il carcere: nel Friuli Venezia Giulia - ricorda la biografia di Ondina-, la resistenza armata al nazifascismo non prende corpo dopo l'8 settembre, ma esiste già dal 1942. E fin dal maggio 1941, nel quadro dei confini orientali italiani di allora, modificati dall'invasione italo-tedesca della Jugoslavia, tra il Friuli e la Slovenia occupata, icomunisti italiani combattono a fianco dei partigiani sloveni dell'Osvoboldina Fronta che lottano per liberare il loro Paese dal fascismo. In quel febbraio '44, Ondina-Natalia viene prima rinchiusa presso il comando delle SS di Trieste, poi trasferita nel carcere del Coroneo. A fine marzo dello stesso anno, è deportata ad Auschwitz, poi nel campo di Rawensbruck, e in seguito in una fabbrica di produzione bellica nei pressi di Berlino. Nella primavera del '45, nel corso di una marcia forzata che porta a Rawensbruck, fugge con "cinque compagne disperate e pronte a tutto" e raggiunge il piccolo paese di Ronchi solo a luglio, "dopo aver attraversato con treni di fortuna la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Jugoslavia".

E siamo all'immediato dopoguerra. A Trieste, nel Pci di Vittorio Vidali, stalinista di lungo corso, si riflette la rottura tra Tito e Stalin, del giugno '48. La politica divide le amicizie, anche quelle di Ondina. Anna Di Gianantonio racconta l'impegno politico dell'ex partigiana Natalia, prima nel Pci e poi nel Pds, la sua attività di promozione culturale nell'agenzia libraria degli Editori riuniti, luogo d'incontro per politici e intelettuali. Tirare il filo di una vita, cogliendo nell'atto pubblico anche il peso dell'elemento intimo non sempre è facile. Di Gianantonio cerca di farlo con rigore e con tatto, mostrando senza fronzoli l'aspetto di genere nell'impegno di Ondina -benchè lei non si deffinisse femminista. Cerca, la biografa, soprattutto di restituire il senso e la scommessa del comunismo storico novecentesco in quel contesto duro, generoso di frontiera. Come molti suoi coetanei, Ondina Peteani vive un'adolescenza di guerra e di scelte continue e drammatiche: dare la morte o riceverla, subire o ribellarsi, decidere a volte per gli altri. E molti sono gli spunti di riflessione che il libro suggerisce:< E' bello vivere liberi>, dice Ondine poco prima di morire. L'esperienza del lager -per la biografa "un vero spartiacque da cui si diparte un prima e un dopo" nella vita di Ondina -, le ha lasciato delle "pesanti eredità: sterilità, anoressia, depressione e calcificazioni polmonari", a cui ha cercato di reagire lavorando come ostetrica, occupandosi dei bambinidegli altri e poi adottando il figlio Gianni.
Ma il fango di Auschwitz le è comunque rimasto dentro: alla morte del marito, la depressione -sempre tenuta abada di misura- prenderà il sopravvento. Dopo la morte -scrive Anna Di Gianantonio- "il viso non era disteso, ma duro e contratto". Sul polso si leggeva il suo numero di deportata ad Auschwitz: 81672. Come ricorda il figlio Gianni, "quella era la cifra del suo estenuante male".
GERALDINA COLOTTI
(1)Anna Di Gianatonio, E' bello vivere liberi. Ondina Peteani, Una vita tra lotta partigiana, deportazione ed impegno sociale. Introduzione di Don Andrea Gallo, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, 2008, 15 euro (Trieta; e-mail: irsml@irsml.it)

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