18/03/08

'Il Tibet non siamo noi' di FLAVIA AMABILE da lastampa.it


Tra i cinesi romani fra indifferenza e distacco. 'A noi interessa solo lavorare'

FLAVIA AMABILE

Ieri mi hanno chiesto di fare un giro fra i cinesi di Roma per capire che cosa ne pensavano della strage in corso in Tibet. Di domenica pomeriggio le saracinesche dei loro negozi sono abbassate. Li incontri nelle strade dell’Esquilino a gruppi, in coppia. Ti avvicini, provi a superare le loro diffidenze per chiedere loro che cosa pensano di quello che sta accadendo in Tibet, parli della rivolta dei monaci, dei morti voluti da Pechino.

C’è un negozio di parrucchiere aperto, dentro decine di donne e anche alcuni ragazzi. Una donna si fa tradurre le domande dalla figlia poi sorride ma dice di non voler rispondere, un’altra scuote la testa gentilmente, molti ridono alla semplice idea che qualcuno voglia fare domande così ridicole o soltanto imbarazzanti.

Ma altri sanno bene di che cosa parlano Tg e giornali di tutto il mondo. Lu Jiao ha una ventina d’anni, tiene per mano la figlioletta di tre anni. «I morti in Tibet? No, non è una buona cosa». Qualcuno si gira a guardarla, non è chiaro se disapprovi quello che dice o il fatto stesso di dirlo. Ma intanto Lu Jiao ha parlato, e nessuno la contraddice.

Più avanti un lui e una lei si scambiano timide effusioni all’angolo di un grande magazzino. Lei dice di chiamarsi Yi Ping. In italiano, Ilaria - precisa. Ma non si azzarda a dire nulla di più. E’ lui a rispondere. Di nome fa Li He, e per gli italiani ha scelto Luigi: «Il Tibet non è Cina, non mi piace obbligarli, mandare i soldati, i carri armati». Lei annuisce, convinta. Hanno quarant’anni in due Ilaria e Luigi, Pechino è lontana migliaia di chilometri ma è impossibile far dire loro qualcosa di più. Del tutto impossibile fotografarli.

Il centro dell’Esquilino, il quartiere più multietnico di Roma, sono i giardini. Lì incontri i filippini a gruppi, le ucraine a passeggio senza uomini, i cingalesi seduti sui muretti. I cinesi no, se ne stanno nei loro negozi, anche quelli con le saracinesche abbassate, a giocare a carte o a dadi. Wen Ming ha una quarantina d’anni, esce in fretta da un supermercato semichiuso. Se lo fermi finge di non sapere nulla poi si guarda intorno con l’aria di uno che abbia timore di veder spuntare una spia da un momento all’altro. «Pechino non si sta comportando bene ma gli italiani devono andare alle Olimpiadi. Tutti i Paesi devono andare alle Olimpiadi. Tanti cinesi hanno bisogno di lavorare e le Olimpiadi portano lavoro». Poi però chiude la porta del supermercato e scompare facendoti capire che se cerchi qualcuno con cui parlare non è lì che lo troverai.

Sotto i portici di piazza Vittorio c’è un viavai di persone di ogni angolo di mondo. Cinesi, pochi. E quei pochi non sono lì a bighellonare o perdere tempo come gli altri: sono coppie di fidanzati, donne con figli o amiche, e vanno in posti ben precisi, lo si capisce da come camminano. Mu Jin è una donna di almeno cinquant’anni, una nonna con figlia e nipotini al seguito. Scuote la testa quando capisce che vorremmo parlare di Tibet. «Il Tibet è Tibet, la Cina è un’altra cosa ma a che serve dirlo? Le nostre parole sono inutili. Ci sono Paesi che condannano Pechino? Siamo persone oneste, viviamo in Italia da anni, speriamo che questo non ci rovini il lavoro».

Anche la figlia è d’accordo: «Cosa vuoi che ci importi del Tibet? Siamo qui, cresciamo i nostri piccoli qui, li facciamo studiare nelle vostre scuole. A Pechino decidono quello che vogliono ma a noi interessa soltanto sapere che possiamo continuare a fare i nostri affari, ad acquistare merci in Cina e venderle qui. Se i nostri Paesi litigano per noi la situazione si fa complicata, se invece restano in pace tutto va bene». Ma allora questo vuol dire che l’Italia e gli altri Paesi occidentali devono restare indifferenti a osservare quello che sta accadendo senza intervenire, senza dire nulla? La ragazza dà una scrollata di spalle. «Senza lavoro come possiamo andare avanti? E allora se governo si comporta come si comporta sono fatti suoi. A noi interessa solo continuare a fare affari».

Vignetta ' Il Papa e il Tibet' - Copyright Blog 'Diritto di cronaca'



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