di Cinzia Gubbini - ROMA
SICUREZZA - L'iniziativa «Sos diritti» dell'Arci
Un telefono che sventa il razzismo quotidiano
«All'inizio ci hanno chiamato soprattutto persone che ci chiedevano: ma mi devo sposare?». Le preoccupazioni che agitano la società italiana di fronte all'approvazione del pacchetto sicurezza a volte sono difficilmente registrabili. Poi qualcuno, per esempio i ragazzi dell'Arci, pensa che si possa mettere a disposizione un numero telefonico. Nasce così - era febbraio - il numero «S.o.s diritti», una «linea amica» per chi vuole segnalare discriminazioni e atti di razzismo. E si scopre che del pacchetto sicurezza non fanno paura soltanto i medici o i presidi «spia» (anche quelli). Ma soprattutto il divieto di sposarsi con un immigrato senza permesso di soggiorno. Indicatore più che eloquente di quanto la società sia più avanti della politica: l'amore scocca con o senza documenti. «Ne sono arrivate davvero decine di telefonate così. E noi cosa possiamo rispondere? Che se l'evento era già programmato o se almeno si pensa di essere davvero convinti, beh sì..conviene sposarsi subito». Valentina Itri è la coordinatrice del centralino anti-razzismo. Così è stato ribattezzato il numero 800-99-99-77 a cui rispondono tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dalle 9,30 alle 18,30, operatori qualificati. L'iniziativa dell'Arci è nata in concomitanza con la campagna «Apriti agli altri-Non avere paura», che proprio ieri ha visto una raccolta straordinaria di firme a largo Argentina a Roma - presenti il presidente della regione Lazio Marrazzo, quello della provincia Zingaretti e del vicesindaco Cutrufo che rappresentava Alemanno - promossa da associazioni e sindacati. Ma l'iniziazione per il centralino arriva con un fatto concretissimo e soprattutto molto serio: un ragazzo senegalese che viene aggredito in pieno giorno nel mercato di via Sannio. Senza che nessuno muova un dito. Su un giornale legge che esiste questo servizio. E decide di rivolgersi al centralino. Per gli operatori è il battesimo del fuoco: lo incontrano, gli presentano un avvocato, lo assistono e lo confortano nella sua decisione di sporgere denuncia.
E' questa la funzione del centralino. Valentina, Nat, Rosaria e Elvis sono in grado di mettersi immediatamente in contatto con 16 interpreti e con gli avvocati, attraverso telefonate «in conferenza».
Di chiamate fino a oggi ne sono arrivate circa 500. Raccontano un'Italia pericolosa, e un razzismo che si annida dove meno te lo aspetti. Una dottoressa moldava, laureata in Italia, ha dovuto ricorrere al servizio «S.o.s. diritti» per ottenere l'iscrizione all'Ordine dei medici di Vicenza. Gli operatori si sono attaccati al telefono, chiamando a rotazione l'Ordine, il ministero della salute, gli avvocati, inviando e-mail con tutti i riferimenti giuridici che attestavano il diritto della dottoressa ad accedere all'albo. Solo dopo molte insistenze è stata iscritta. Poi c'è la storia di un uomo ruandese, sposato con una donna italiana, che lavorava all'Inps. I colleghi avevano preso l'abitudine di fargli trovare attaccato sul monitor del computer i titoli dei giornali in cui si parlava degli ultimi sbarchi a Lampedusa. Lui ha chiamato il centralino per denunciare la cosa. «Era veramente demoralizzato, offeso, incredulo», racconta Nat. I ragazzi del centralino hanno cercato di incoraggiarlo a fare delle foto per arrivare a una denuncia formale. Ma lui ha preso un'altra strada: se ne è andato. Si è trasferito in Belgio, con la moglie e le due figlie. «Lì - ha detto - le coppie miste sono più normali». Oppure c'è il caso della donna rumena vestita con un abito tradizionale per una festa, che il 10 febbraio a Roma è stata fatta scendere a forza dall'autobus 23. Nessuno ha fatto niente per difenderla.
Episodi di discriminazione che non risparmiano le sedi istituzionali. Arrivano telefonate da tutta Italia per denunciare che i Comuni si rifiutano di concedere la residenza anagrafica. Una cosa illegale. «Noi inviamo tutti i riferimenti giuridici - dice Valentina - e poi telefoniamo agli uffici. Quasi sempre riusciamo a farli iscrivere». Decine sono le chiamate delle persone rinchiuse nei centri di permanenza «e che denunciano condizioni di sovraffollamento e maltrattamenti», racconta Valentina. Voci che nessuno vuole ascoltare. Ma ora basta alzare il telefono.
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