Il vero scandalo quindi, secondo me, è che quella coltre di falsità sia stata ideata e costruita a tavolino pezzo per pezzo, strato su strato, con la precisa intenzione di trascurare i fatti. E, per giunta, non in nome della salvaguardia degli interessi del popolo, ma soltanto per salvare le apparenze.
La politica, nel mio pensiero, è l’ambito in cui le persone agiscono insieme ed è - o almeno dovrebbe essere – l’unico campo in cui gli uomini possono essere veramente liberi, perché la libertà deriva direttamente dall’azione. Ma l’azione ha notevoli affinità con la menzogna, perché entrambe presuppongono una relativa libertà dalle circostanze nelle quali viviamo, e scaturiscono dalla stessa facoltà, l’immaginazione. Una caratteristica dell’azione umana è la capacità di dare sempre inizio a qualcosa di nuovo, ma ciò non significa che si cominci ogni volta ab ovo (dall'inizio), creando ex nihilo (Dal nulla non proviene nulla ). Per fare posto all’azione, qualcosa che prima era presente deve essere rimosso o distrutto, e le cose mutano rispetto a come erano prima. Un tale cambiamento sarebbe impossibile se non fossimo in grado di astrarci mentalmente dal luogo in cui ci troviamo e di immaginare che le cose potrebbero essere diverse da come in effetti sono.
Dunque, tra azione politica e menzogna si prospettano delle connessioni che sembrano confermare tale compatibilità. La menzogna può apparire addirittura utile alla politica: infatti, se dallo scontro tra verità e politica emerge la naturale antipoliticità della prima, la menzogna, negando la verità, non fa che facilitare l’agire politico eliminando un ostacolo fastidioso. Del resto, nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista. Non posso quindi che constatare come l’origine della menzogna, nella politica come nella vita, stia nel carattere contingente dei fatti, nella loro intrinseca fragilità, che permette di negarli proprio grazie all’immaginazione. Per cui le verità fattuali non sono necessariamente vere nel senso in cui è necessario che due più due faccia quattro. I fatti possono essere deformati da testimoni infedeli, o manipolati allo scopo di affermare qualche interesse. Si può ingannare e si può finire con l'auto ingannarsi ingannando. Questo succede ora ai problem solver, gli esperti – tecnici governativi, che a poco a poco hanno messo in piedi questo processo irreversibile di educazione alla sottomissione popolare, vivendo in un mondo defattualizzato, sì, ma sono talmente sicuri di se stessi che le loro certezze non hanno bisogno dell’autoinganno per resistere ai frequenti errori di giudizio. Infatti, più che giudicare, come dovrebbero fare gli esseri umani, procedono basandosi esclusivamente sui calcoli, ragionando come computer. Manipolano le informazioni fornite dal lavoro di intelligence sul 'campo' come fossero mere opinioni, perché la sola verità in cui credono è quella razionale delle probabilità, dei numeri e delle percentuali, e – ormai incapaci di distinguere il vero dal falso - trattano le loro teorie e le loro ipotesi come se fossero realtà, sostituendo, attraverso la menzogna sistematica, un vero e proprio mondo fittizio a quello reale. Ovviamente, però, la logica matematica è del tutto inutile per risolvere davvero i problemi in questione.
Intravedo dietro questo processo di falsificazione l’ombra del totalitarismo, con la sua costitutiva tecnica di rimozione dei dati di fatto ritenuti scomodi. Un totalitarismo senza dubbio ben diverso da quelli di matrice nazista, fascista o stalinista che molti hanno già analizzato, ma che anche in una democrazia moderna e avanzata potrebbe ancora riprendere corpo dalle ceneri del dominio totale, da quelle ceneri che non sono state spazzate via completamente dalla scena politica con la sconfitta storica dei regimi degli anni Trenta.
Il mio pensiero corre ora automaticamente alla guerra in Iraq, anche se indubbiamente ci sono differenze notevoli tra come si è mentito a proposito del Vietnam e a proposito dell’Iraq, perché se, a mio avviso, allora, nessuna finzione poteva essere tanto grande da occultare totalmente la realtà, ai nostri giorni abbiamo le prove che è vero l’esatto contrario, e cioè che le finzioni mediatiche hanno realmente efficacia politica. Non era vero che l’Iraq era in possesso di armi di distruzione di massa, come non era vero che Saddam Hussein aveva rapporti con Bin Laden. E se ci vollero anni per mettere completamente a nudo il complesso di menzogne montato ai tempi del Vietnam, nel caso iracheno sono stati sufficienti pochi mesi. Infatti, già nel 2003, Paul Wolfowitz – all’epoca vicesegretario alla Difesa, oggi presidente della Banca Mondiale – ammetteva che l’esistenza delle armi di distruzione di massa, lungi da essere la principale motivazione della guerra, serviva soltanto a mettere d’accordo tutti. Del resto era stato sempre lo stesso Wolfowitz, pochi giorni dopo l’attacco al World Trade Center, a dire a Bush che a quel punto c’erano buone chance di occuparsi dell’Iraq. Non va dimenticato, infatti, che il sostegno dell’opinione pubblica americana alla guerra è stato ottenuto più con il paziente lavoro dell’Ufficio di pianificazione speciale del Pentagono (OSP) che grazie alla chiarezza delle argomentazioni del Presidente. Creato dopo l’11 settembre 2001, questo piccolo gruppo di consiglieri, collegati direttamente a Wolfowitz, aveva il compito di influenzare le decisioni della Casa Bianca nei confronti dell’Iraq e di influenzare per l’appunto l’opinione pubblica. La missione dell’ufficio speciale era quella di fornire a Rumsfeld e Wolfowitz gli elementi di appoggio per sostenere le loro accuse di fronte a Bush. Per raggiungere lo scopo, questi analisti – e qui il parallelismo con i problem solver di cui parlavo prima, è lampante - contraddicevano sistematicamente alcuni servizi segreti americani, i cui esperti si mostravano in privato ben più scettici sull’esistenza del presunto arsenale di Baghdad e sugli eventuali legami del regime con Al Qaida. L’abilità dell’ufficio consisteva nel presentare ipotesi, supposizioni e illazioni come fatti verificati, procedendo secondo il principio che tutto ciò che non è provato potrebbe essere vero.
Il dato più sconcertante è che, anche se le menzogne sulle armi di distruzione di massa sono state svelate, ciò non ha portato alla resa dell’amministrazione Bush. Come mai? Fra le risposte possibili ce n’è anche una di ordine filosofico, particolarmente rilevante ai fini della nostra argomentazione: buona parte dei neoconservatori dell’amministrazione Bush – tra cui lo stesso Wolfowitz - sono allievi di Leo Strauss (1899-1973), filosofo ebreo tedesco vissuto per molti anni in America, discepolo di Nietzsche, Heidegger e Schmitt, ma anche dei filosofi esoterici ebrei. E il fondamentale insegnamento di Strauss è quello che potremmo condensare nel concetto di doppia verità: dal momento che la natura della verità è oscura e sordida, può essere rivelata solo a una élite, mentre la massa deve continuare a credere ai miti e alle illusioni. Questo significa che esiste un pensiero comunicabile a tutti e un altro solo a pochi. Il paladino della civiltà, per raggiungere i suoi scopi superiori, il sapiente – quello che Strauss chiama il filosofo legislatore - deve celare le sue intenzioni di dominio alle orecchie e agli occhi della massa, fingendo di credere anche lui a quei miti e a quelle illusioni. Dall’affermazione della doppia verità alla menzogna, funzionale alla realizzazione di una “missione importante”, di certo il passo è breve.
Alla luce di quanto detto fin qui, l’invito a riflettere in modo critico sugli effetti perversi delle finzioni è quanto mai attuale, e quanto detto fin qui ha il pregio di fornirci una chiave di lettura del presente ancora valida. Qui ora si parla qui di P2, Regime, Mafia...
ah!!!, un "caloroso" applauso ed un "bentornato" (ci mancavi solo tu!) al Signor Licio Gelli, ... sei venuto a dar manforte? bravo! bravi!" (cazz.. ed è tornato pure CoSSiga!)
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