01/03/09

Più che alla Corte di Strasburgo però, gli italiani, dovrebbero appellarsi a se stessi ....

di Daniela Preziosi
LA POLEMICA
Più che a Strasburgo appelliamoci a noi
E se domani l'alta Corte di Strasburgo condannasse l'Italia perché si tiene alla presidenza del consiglio dei ministri un signore dalla dubbia buona educazione e dal discutibile buon gusto e che soprattutto, come sostengono le parlamentari democratiche Paola Concia e Donata Gottardi, emette «continue e ripetute dichiarazioni di disprezzo sulla vita e la dignità delle donne»?
Sarebbe una vera beffa, per le italiane e gli italiani che appunto se lo tengono e in ogni occasione possibile se lo votano (l'ultima volta è successo in Sardegna due settimane fa). Sarebbe, più che verso Silvio Berlusconi, una sentenza nei confronti della soglia di civiltà di questo paese. Non è un caso che uno dei cavalli di battaglia di Walter Veltroni, il fuggitivo ex segretario del Pd, era convincere che «gli italiani sono migliori del loro governo». Una tesi consolatoria, ma ancora tutta da verificare.
Naturalmente la denuncia di Concia e Gottardi è legittima e, a spanne, più che motivata. Per la stampa democratica è persino desolante essere costretta alla cronaca delle trivialità machiste del premier, che hanno trasformato il nostro paese in una specie di catalogo di barzellette internazionali. Dalle volgarità verso la presidente finlandese, ai limiti del caso diplomatico, al consiglio alla precaria di sposare un miliardario, alla storia del militare per ogni «bella donna» per evitare gli stupri, e giù via scendendo fino alle irripetibili parole nei confronti di Eluana Englaro, Berlusconi incarna la versione untuosa e macchiettistica, ma non per questo meno violenta, del vecchio satiro che considera le donne l'apposita appendice utile a far risultare meglio le proprie qualità, politiche e di incantatore s'intende. Non è un caso che qualche commentatore dei costumi nazionali sostiene che questo gallismo indietrista piace agli elettori, e compiace persino le elettrici, che come cenerentole frustrate si identificano nella fortunata di turno che riceve la galanteria come graziosa testimonianza di esistenza. E rispondendo a questo suo archetipo (e con la perfidia grossolana di chi per vincere deve stravincere) ha scelto come ministra delle pari opportunità una bella donna, bella e bellamente incompetente. Costretta tristemente, da quand'è al suo dicastero, a marcare «a donna» tutte quelle che lamentano i comportamenti del suo premier e imprenditore politico.
Più che alla Corte di Strasburgo però le italiane, ma anche gli italiani, dovrebbero appellarsi a se stessi, interrogarsi sul perché sopportano pazientemente un premier (e già che ci siamo, anche la coordinata ministra, e poi tutti gli altri della partita). Temendo di scoprirne la risposta.



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