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12/03/10

Chi profitta della crisi

Aspettando il Grecale - di Galapagos

Ieri in Grecia, oggi in Italia: milioni di lavoratori stanno scendendo nelle piazze chiedendo una politica economica diversa che faccia pagare la crisi soprattutto a chi con la crisi si è arricchito tanto. Come ci ha fatto sapere ieri la rivista Forbes (edita dal miliardario Steve Forbes) lo scorso anno i miliardari (con patrimonio superiore al miliardo) sono aumentati di oltre il 20%: da 793 a 1001. E tutti insieme posseggono una fortuna di 3.600 miliardi (quasi il doppio del PIL italiano) il 30% in più dell'anno precedente: Per loro la crisi è stata una benedizione.
Ma come è possibile arricchirsi in un anno di crisi nel quale il Pil mondiale è diminuito di quasi il 4%?
Semplice: facendola pagare ai lavoratori, riducendo ulteriormente la loro quota nella distribuzione dei redditi. Al tempo stesso proteggendo le enormi ricchezze depositate nelle banche, evitando di far fallire le banche. E stiamo parlando di "sussidi" per migliaia di dollari. Il tutto in base al principio che il capitale finanziario non può essere fatto fallire perché tutto il sistema economico gli crollerebbe dietro. Forse. Ma il risultato è evidente: decine di milioni di lavoratorihanno perso il posto di lavoro e il tasso di disoccupazione sfiora il 10%: Senza contare, come sostengono le Nazioni Unite, che il livello di povertà sta costringendo alla fame centinaia di milioni di persone. Nei paesi "arretrati", ma anche nel cuore dell'impero. E la crisi morde in profondità senza differenze nei paesi nei quali la flessibilità era massima (Stati Uniti e Spagna, tanto per fare un paio di esempi) e dove le garanzie per i lavoratori "erano" un pò più serie. Come in Italia. Erano, perché ora anche in Italia il lavoratore non ha più protezione: con l'abolizione di fatto dell'articolo "18" il capitale anche da noi ha ripreso il coltello dalla parte del manico, pronto a pugnalare.
La Cgil che oggi scende in piazza (in maniera un pò sfrangiata e dando l'impressione di aver indetto lo sciopero di 4 ore solo per problemi di rapporti interni) ha posto al primo punto proprio lo smantellamento dell'articolo 18. Purtroppolo fa tardivamente: la mobilitazione andava fatta prima che il parlamento approvasse il progetto degli ex (tanto ex) socialiti Brunetta e Sacconi. Lo sciopero è stato proclamato anche per la difesa della democrazia, del potere d'acquisto dei lavoratori e dei pensionati e per la creazione di posti di lavoro. Il governo che due anni fa aveva lanciato l'elemosina della social card, ieri ha fatto di peggio: ha stanziato 300 milioni di euro per incentivare la ripresa dei consumi. Ogni italiano in media potrà ricevere 5 euro, ogni famiglia 15. Statistiche "false", ma che assumono significato quando si scopre che gli incentivi sono destinati anche per l'acquisto di motori per la nautica da diporto. Immaginiamo la fila di cassaintegrati Fiat o dei lavoratori Eutelia o dei piccoli imprenditori che fanno a pugni per gli incentivi!
Ma non è finita: ieri la Bce ci ha detto che la ripresa è lenta e la creazione di nuovi posti di lavoro è rinviata al fututo. Poi ha lanciato un avvertimento ai governi: preparatevi a un "exit Strategy", cioè a ridurre i deficit di bilancio provocati dalla crisi. Visto che il 90% degli aiuti è finito in mani ricche, l'avvertimento potrebbe sembrare buono. ma non è così: quando gli "gnomi" di Francoforte parlano lo fanno a senso unico. Il loro modello sono i provvedimenti greci: il blocco delle pensioni, la riduzione dei salari. In più, privatizzazioni e flessibilità. Il dramma è che molti sono convinti che Menenio Agrippa col suo "apologo" avesse ragione e che un mondo diverso non è possibile: gli schiavi debbono rimanere schiavi e i padroni, padroni per sempre.

03/03/10

PROIBIZIONISMO E CAPITALISMO

Negli ultimi tempi, dopo la ormai famosa intervista rilasciata dal cantante Morgan, i mezzi di comunicazione di massa hanno riportato alla ribalta nazionale il tema della droga. L’impostazione data alla discussione nei salotti televisivi è, come sempre, distorta, mistificante e strumentale. Evidentemente si intende avallare la linea legislativa di segno proibizionista adottata dal governo in carica, ma rispondente ad un orientamento molto diffuso e trasversale agli schieramenti politici parlamentari. Una linea che fa capo ad una legge che reca i nomi degli onorevoli Fini e Giovanardi, il cui intento dichiarato sin dall’inizio è quello di colpevolizzare i tossicomani, giudicati alla stregua di criminali spacciatori, cancellando quindi la “liceità” del consumo personale.

Come argomentano i sostenitori della legislazione vigente, la gravità della situazione sarebbe causata dal “permissivismo” contenuto nell’idea di “modica quantità”, un concetto avvalorato e incoraggiato dall’affermazione della cosiddetta “cultura della droga” riconducibile alle “culture alternative” o “controculture” diffuse ed egemoni negli anni ’60 e ‘70. In effetti questo è il ragionamento, assai rozzo e semplicistico, seguito dai fautori della legge. Invece, è un dato incontestabile che la causa reale dei crimini abitualmente perpetrati nelle aree urbane più degradate, ad esempio i reati commessi dai tossicomani più giovani, risieda nell’esatto contrario del permissivismo, vale a dire in quel regime proibizionista che di fatto determina in modo decisivo l’intera questione. Un regime che la legge Fini/Giovanardi ha reso più crudo, criminalizzando non solo le abitudini di milioni di consumatori di droghe leggere, ma penalizzando anche altri comportamenti, fino a violare e calpestare alcuni diritti sanciti dalla Costituzione.

Le misure draconiane previste dalla legge vigente mirano a reprimere il diritto allo “sballo”, ma non ne eliminano le cause effettive, nella misura in cui le ragioni del disagio e dell’alienazione giovanile nelle droghe sono di natura sociale, esistenziale, psicologica, culturale, ma non certo giuridica. Inoltre, le norme punitive investono solo i piccoli spacciatori, ossia gli abituali consumatori di sostanze narcotiche. Mi permetto di aggiungere che la nozione di "disagio giovanile" è fuorviante in quanto il disagio non è legato ad una condizione anagrafica. E’ invece più corretto parlare di "disagio sociale", benché il malessere investa soprattutto le "categorie" dei giovani e degli anziani, cioè le fasce più indifese della società, più esposte alle avversità, anzitutto materiali, che l'esistenza quotidiana oppone agli esseri umani senza alcuna speranza di superamento.

Tale disegno politico cela una perversa volontà di esasperare il fenomeno della violenza urbana, specialmente di quella minorile. L’esperienza storica ha dimostrato che l’imbarbarimento di una già ferrea disciplina repressiva non fa altro che scatenare l’effetto contrario, generando fenomeni di recrudescenza e l’aumento della rabbia, del malessere e della disperazione. Il problema delle tossicodipendenze non è una questione di ordine pubblico, benché come tale viene considerata, rinunciando ad un’analisi razionale del fenomeno e ad una rigorosa prassi politico-sociale, per abdicare a favore dell’azione poliziesca ed invocare una crescente militarizzazione del territorio.

Tale orientamento, che coincide con lo spirito autoritario e repressivo che non anima solo l’attuale governo, non ha mai debellato o inibito alcuni atteggiamenti considerati "devianti", ma al contrario li ha incentivati ed esasperati. È indubbio che alcune sostanze, come le cosiddette "droghe pesanti", siano letali, per cui chi ne abusa rischia la morte, ma è altrettanto evidente che la pericolosità di tali droghe, proprio in quanto proibite, rischia di essere accentuata. Del resto, qualsiasi comportamento che produca effetti nocivi per la salute psicofisica delle persone (si pensi all’abuso di psicofarmaci e superalcolici o all’assunzione abituale di nicotina), nella misura in cui è ridotto ad un problema di ordine pubblico, essendo vietato e perseguito penalmente, potrebbe accrescere il livello della tensione sociale, degenerando in atti criminali condannati alla clandestinità e provocando una crescente e pericolosa spirale di violenza. Tale sistema di legge costituisce un ulteriore segnale che attesta l’involuzione in senso codino e reazionario di una parte notevole della classe dirigente italiana, a cui non corrisponde un pari fenomeno regressivo nella società civile, che in tal modo si discosta e si estrania sempre più dagli ambienti, dagli umori e dai poteri istituzionali del “Palazzo”.

Invece, bisognerebbe affrontare il problema partendo da una riflessione lucida e razionale, libera da condizionamenti di natura emotiva e moralistica. Si tratta di compiere una radicale inversione di rotta rispetto alla linea politica finora seguita. Il problema delle tossicodipendenze non si può fronteggiare usando la forza pubblica o assumendo iniziative di segregazione e colpevolizzazione sociale e morale. Al contrario si deve prendere coscienza della reale natura del problema, dissimulata e mistificata sotto una veste superficiale che viene deformata dalle reazioni più emotive ed irrazionali suscitate dal sistema repressivo vigente. Bisogna rendersi conto della pericolosità sociale delle risposte repressive ed alienanti messe in moto dalla macchina propagandistica del regime proibizionista, che è storicamente e politicamente fallito.

Bisogna rendersi conto che in una società che ormai è diventata di massa, in cui prevalgono tendenze e comportamenti consumistici di massa, è inevitabile che anche il consumo di quelle sostanze definite “droghe” si affermi come abitudine diffusa, anzitutto per un effetto di emulazione e omologazione culturale, cioè in virtù di uno strumento di persuasione assai efficace, comunemente detto “moda”.

In questo ragionamento occupa una posizione centrale il tema della mercificazione del “tempo libero”. La società borghese ha imposto da tempo un’ideologia distorta e mistificante del “tempo libero”, inteso falsamente come una frazione della vita quotidiana libera da impegni di lavoro e di studio, quindi di impegno e lotta politica, da destinare agli svaghi, ai divertimenti, agli “sballi”, alle vacanze, cioè ai consumi economici. Tale mistificazione ideologica è funzionale ad un processo di mercificazione e privatizzazione del “tempo libero” che è un ulteriore momento di alienazione dell’individuo nella fruizione passiva e consumistica di prodotti offerti dall’industria del “tempo libero” e del “divertimento” quali il sesso, la musica, lo sport e le droghe.

Le periodiche campagne mediatiche sulla criminalità e l’ordine pubblico sono ingannevoli e strumentali. Anzitutto si evita accuratamente di analizzare le origini della criminalità comune e di confrontarla con la criminalità delle classi dominanti (guerre, mafia, omicidi bianchi, bancarotta, evasione fiscale, ecc.) che non è mai menzionata dai media ufficiali. Per gli organi di informazione l’unica criminalità esistente è quella dei proletari, degli emarginati, dei migranti. Le classi dominanti mantengono il sistema con la violenza, mediante il monopolio e l’esercizio della forza pubblica, riversando la loro violenza sul proletariato, in particolare sul proletariato giovanile più marginale. Ci troviamo di fronte ad una cinica e perversa opera di criminalizzazione della vita quotidiana, che si avvale di molteplici strumenti economici, sociali, politici, legislativi, tra cui figura anche il regime proibizionista vigente in materia di alcune droghe.

Sul piano economico e politico una sostanza come l’eroina è funzionale ad un sistema retto sul dominio e sulla criminalità di classe. Dal punto di vista economico, benché l’eroinomane non costituisca una forza-lavoro intesa secondo i canoni tradizionali, tuttavia egli, ridotto ad essere uno schiavo della sostanza, un maniaco dipendente, pronto a rubare, spacciare, alimentare il mercato nero, produce reddito illegale in quanto forza-lavoro, come, se non meglio di un lavoratore normale, pretendendo in cambio nessun salario e nessun contratto sindacale. Sul versante politico, gli assuntori di eroina non solo cessano di opporsi attivamente al sistema, ma offrono un terreno fertile per la repressione e la provocazione contro i movimenti giovanili di lotta e di protesta.

Oggi è sempre più impercettibile il confine tra legalità e illegalità, tra economia legale e illegale, tra la cosiddetta “mafia capitalista”, inserita nei circuiti finanziari istituzionali, e la criminalità mafiosa convenzionalmente intesa. Il delitto è assunto al livello della legge e della norma su scala globale. Quella che prima si poteva considerare come una “devianza dalla norma” si è tramutata nel suo esatto contrario, poiché la devianza si è imposta come norma, intendendo per “devianza” soprattutto il delitto, a cominciare dai peggiori crimini commessi dal sistema economico capitalistico a livello planetario.

Concludo avanzando, se possibile, una semplice proposta di buon senso. Sgombrando il campo da ogni luogo comune, come la tesi che equipara le "droghe leggere" a quelle "pesanti", il problema delle tossicodipendenze appare per quello che in effetti è: una questione di ordine educativo e socio-culturale, da un lato, e una grave emergenza sanitaria, dall’altro. Pertanto, credo sia necessario perseguire una triplice finalità:

- promuovere una campagna di controinformazione e sensibilizzazione preventiva per abbattere lo stato di ignoranza che genera pregiudizi e allarmismo sociale;

- avviare alcune iniziative sui territori per metterli in condizione di fronteggiare l’emergenza sanitaria che presuppone l’esistenza di presidi di pronto intervento;

- realizzare una serie di misure e progetti socio-educativi in grado di far fronte al degrado esistente soprattutto in alcune aree sociali metropolitane.

[fonte: http://www.arcoiris.tv articolo di Lucio Garofalo]

01/03/10

RACCONTI DI ORDINARI STERMINI

Il dolore DELLA CARNE
Oggetto spesso di sospetto e di ironia, i vegetariani trovano ora in Jonathan Safran Foer un autorevole e appassionato portavoce. Con il suo ultimo libro, «Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?», lo scrittore statunitense, sulla scia di Isaac Bashevis Singer e di J.M. Coetzee, denuncia gli orrori delle multinazionali dell'allevamento e del macello
Alla vigilia del vertice sul cambiamento climatico di Copenhagen, lo scorso dicembre, Paul McCartney si presentò al Parlamento Europeo. In quell'occasione pronunciò un discorso in favore della riduzione del consumo di carne, ricordando il fatto ben documentato che l'allevamento su scala industriale è tra le prime cause di emissioni di gas serra e riscaldamento globale. Mezzo mondo reagì però con le sopracciglia alzate all'apparizione di Sir Paul, quando non con aperto scherno; fuori dal parlamento, un gruppo della lobby degli allevatori organizzava un barbecue a cielo aperto, con hamburger e salsicce, rispondendo con sarcasmo al discorso del baronetto.
Ora, se da un lato si può comprendere l'ostilità verso l'ennesimo miliardario famoso che pretende di impartire lezioni di etica, dall'altro questo episodio appare un esempio della reazione più comune a un tema, come il vegetarianesimo, semplice e pacato eppure a quanto pare disturbante. Come ogni vegetariano sa per esperienza, pochi argomenti suscitano un tale misto di incomprensione, sospetto, ironia qualunquista, quanto la scelta di non consumare carne. Tra le classiche obiezioni mosse a chi non mangia cibi di provenienza animale, due sono molto radicate, una legata alla tradizione culturale (l'uomo alleva animali dal tempo dei tempi), l'altra alla tradizione naturale (gli animali vengono mangiati da altri animali). Obiezioni che potevano forse avere qualche presa fino a un secolo fa, quando ancora l'allevamento si basava su metodi tradizionali e su una figura di allevatore che conosceva e rispettava i suoi animali. Oggi, mangiare carne significa quasi sempre consumare i prodotti dell'allevamento e del macello industriali, gigantesche multinazionali che gestiscono nascita e morte di miliardi e miliardi di esseri viventi. Un sistema scientificamente organizzato sul dolore, la tortura, la manipolazione genetica, la reclusione in spazi sovraffollati fino alla morte per soffocamento, i metodi di uccisione più orrorifici.

Un'eterna Treblinka
Pare che Adolf Hitler soffrisse di stomaco nervoso e flatulenza. Quando il dittatore scoprì che ridurre la carne rendeva meno puzzolenti le sue emissioni intestinali, provò a privilegiare i consumi vegetali. In realtà, nonostante la leggenda che fosse vegetariano, Hitler non abbandonò mai le adorate salsicce bavaresi e altri piatti di carne, e con i vegetariani veri fu sempre feroce. Mise al bando le associazioni vegetariane in Germania e più tardi nei territori occupati; il pacifista e vegetariano tedesco Edgar Kupfer-Koberwitz dovette rifugiarsi a Parigi e poi in Italia, dove fu infine arrestato dalla Gestapo e spedito a Dachau.
Tutte vicende che venivano ricordate in un saggio di qualche anno fa, Un'eterna Treblinka di Charles Patterson (in Italia pubblicato da Editori Riuniti, pp. 320, euro 16). Oltre a occuparsi delle abitudini alimentari del Führer, Patterson analizza la genesi del modello di sterminio nei lager nazisti, arrivando a suggerire che questo modello avesse una forma di origine comune, e numerose affinità tecnico-operative, con il sistema industriale di allevamento e macello americano.

Catena di montaggio
Se un simile confronto potrà sembrare ad alcuni fuori luogo, va ricordato che il primo a farlo era stato in realtà Isaac Bashevis Singer: fu infatti l'autore della Famiglia Moskat a suggerire che «per gli animali, si tratta di un'eterna Treblinka», richiamando il fantasma del famigerato campo di sterminio. D'altro canto, l'efficiente macchina del macello animale aveva già ispirato altre imprese. Henry Ford, l'industriale delle automobili, confessò che era stata la visita a un mattatoio di Chicago a suggerirgli l'idea per un sistema di lavoro basato sulla catena di montaggio. Nei macelli si trattava di smembrare cadaveri animali nel minor tempo possibile; nelle fabbriche, si sarebbe trattato di assemblare automobili in un tempo altrettanto veloce.
La tendenza a liquidare il vegetarianesimo come faccenda per anime belle o per intellettuali saputelli potrebbe quasi trovare conferma, a un primo superficiale sguardo, di fronte a un testo appena uscito in Italia: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? di Jonathan Safran Foer (Guanda, pp. 368, euro 18). Ecco un giovane e famoso scrittore americano, con casetta in un bel quartiere di Brooklyn, che alla nascita del primo figlio si lascia prendere da angosce borghesi su cosa sia giusto dargli da mangiare, e si mette a scrivere un'inchiesta-riflessione sul più controverso dei cibi: la carne. Potrebbe suonare così la storia del libro. Se non fosse che Foer è uno scrittore autentico, ovvero mosso da un senso di piena necessità e capace di immergersi nel tema con una profondità stilistico-letteraria che corrisponde a una profondità di analisi filosofica, di risonanza metaforica, di coinvolgimento emotivo.
Frutto di tre anni di lavoro, impeccabilmente documentato, abbastanza ironico da evitare i toni della lezioncina e abbastanza drammatico da provocare brividi di abissale disagio, il libro ha suscitato rumore negli Stati Uniti, un misto di commenti entusiasti e molto ostili. Anche qui, vari recensori hanno preferito alzare un muro di scetticismo, trattando il libro come l'ennesimo caso di scontro tra i castelli in aria dei vegetariani e il realismo dei carnivori, i quali invece sarebbero impegnati a pensare a questioni più serie. Con notevole disonestà critica, la giornalista letteraria più bizzosa d'America, Michiko Kakutani del «New York Times», liquidava il libro chiedendo perché Foer non si dedicasse a cause migliori.

Paludi tossiche
«La carne solleva rilevanti questioni filosofiche ed è un'industria da più di centoquaranta miliardi di dollari all'anno, che occupa quasi un terzo delle terre emerse del pianeta, condiziona gli ecosistemi marini e potrebbe anche determinare il clima futuro sulla Terra», ricorda con asciuttezza Foer nel suo libro. E più avanti: «Quanto distruttiva dev'essere una preferenza culinaria prima di farci decidere di mangiare dell'altro?». L'industria dell'allevamento sostiene che il suo obiettivo è sfamare il mondo, ma è difficile vedere come un sistema che consuma colossali risorse agricole, e fa nascere animali dalla genetica così compromessa da non potersi più riprodurre per via naturale, possa avere a cuore le sorti del mondo. A essere alimentata sembra piuttosto l'ossessione che ci fa consumare una quantità insensata di proteine animali, molte più di quante l'umanità abbia mai consumato in precedenza.
Tra le tante immagini efficaci che emergono dal libro c'è quella delle paludi tossiche accanto ai grandi allevamenti americani. Ora, immaginiamo pozzi neri all'aria aperta grandi come campi da calcio, destinati a raccogliere gli escrementi degli animali: gli scarichi di queste paludi finiscono spesso in contatto con fiumi e falde acquifere, con effetti terrificanti. Quando sono sul punto di traboccare, talvolta la soluzione è quella di spruzzarli letteralmente in aria, «un geyser di merda che spande un aerosol di feci, creando vortici gassosi capaci di provocare gravi danni neurologici. Le comunità che vivono nei pressi di questi allevamenti intensivi lamentano problemi di epistassi persistenti, otalgie, diarree croniche e bruciori ai polmoni».
Quando Foer si introduce, una notte, in un allevamento di tacchini in compagnia di una giovane attivista, a prima vista i pulcini ammassati nel capannone gli paiono tutti uguali. Stanno lì, storditi, sotto le impassibili luci artificiali. Solo quando i suoi occhi si abituano a distinguere in quella massa di animali, si accorge della quantità sconcertante di pulcini deformi, disidratati, coperti di sangue e di piaghe, e di quelli che giacciono già morti.
La casistica del dolore nell'industria della carne è sterminata e documentata da migliaia di confessioni di lavoratori, materiali video girati in segreto, statistiche di enti governativi. Si va dai milioni di polli che finiscono vivi nelle vasche di scottatura ai bovini che, per la stessa incuria nella catena di lavoro, finiscono scuoiati mentre sono ancora coscienti. Ci sono animali storditi apposta in modo blando, in modo che il cuore stia ancora pompando quando vengono sgozzati e il dissanguamento sia più veloce. Quantità impressionanti di volatili con fratture alle ossa per le procedure con cui vengono trasportati. Becchi tagliati, code mozzate, denti tranciati, maialini castrati, il tutto senza anestesia. Reclusione e assenza di movimento che provocano problemi ossei, deformità e pazzia, animali che si strofinano contro le sbarre fino a coprirsi di piaghe infette.
Ci sono poi le sevizie praticate da lavoratori frustrati e sottopagati: maiali gettati ad annegare nelle paludi dei liquami, scrofe gravide bastonate, volatili schiacciati sotto i piedi e sbattuti contro il muro, sigarette spente addosso agli animali, percosse con martelli, pungoli elettrici nell'ano, il tutto nell'indifferenza dei superiori. Non casi isolati ma fenomeni così estesi da costituire la norma.
Senza contare il bombardamento di antibiotici, ormoni e altre medicine per sostituire la totale assenza di ambiente naturale; le manipolazioni genetiche che fanno nascere animali-mostri, incapaci di sopravvivere oltre la propria adolescenza, sempre più deformi e vittime di sofferenze congenite. Nascere nel dolore, vivere nel dolore, morire nel dolore: l'organizzazione sistematica e su larga scala di una simile quantità di dolore non ha precedenti storici. Certo, non si tratta di dolore umano. Ma vogliamo ancora negare, contro ogni evidenza scientifica e di buon senso, che gli animali possano provare sensazioni e avere una vita emotiva?

Gli utilizzatori finali
Mentre il libro di Foer fornisce dati relativi soprattutto alla situazione americana, la realtà europea sembra fornire ufficialmente qualche tutela in più agli animali. Ma è facile comprendere che ovunque miliardi di esseri viventi vengono trattati come oggetti, elementi di una catena di montaggio-smontaggio, prigionieri di un processo tecnico che non li riconosce come viventi, si apre lo spazio per l'atrocità. Dall'altra parte ci sono i consumatori, utilizzatori finali di questa atrocità, felici di non farsi troppe domande su cosa ci sia dietro la carne plastificata, anonima e a poco prezzo che trovano al supermercato.
Come dice a Foer un allevatore tradizionale, che tenta di combattere i sistemi dell'allevamento industriale: «Gli animali hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto in qualunque momento a un prezzo irrisorio». Mentre la nonna di Foer, ebrea scappata attraverso l'Europa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ricorda al nipote che è assai pericoloso mangiare senza riconoscere il proprio cibo. Pur ridotta alla fame lei rifiutò, per tradizione kosher, di mangiare maiale: «Se niente importa, non c'è più niente da salvare».

di Marco Mancassola

15/09/09

Tranquilli, ci pensa Scajola, col nucleare pulito!

di Guglielmo Ragozzino
NUCLEARE
E Scajola da Bari insiste sul futuro atomico dell'Italia
Le scorie nucleari delle centrali atomiche narrate dal ministro Claudio Scajola, a Bari, durante l'inaugurazione della 73ma Fiera del Levante dove finiranno? Quanti navigli sarà necessario affondare per farle sparire, secondo l'uso nazionale, nei fondali italiani? Chissà se il mare di Bari sarà ritenuto degno di nota da parte degli specialisti nel disbrigo di scorie pericolose che in un nebuloso futuro, tra una trentina di anni, saranno incaricati della bisogna?
Imperterrito, Scajola, il ministro delle attività produttive, ha fatto il panegirico del nucleare all'italiana, assicurando i presenti e gli amici della Confindustria che tutto è in marcia, secondo le intenzioni del presidente del Consiglio, oggi assente giustificato. A ben vedere, il ministro non ha detto molto. Certo ha definito il referendum del 1987 che pose fine al nucleare in Italia, «scelta scellerata». Si è mai chiesto il ministro dove saremmo con il nucleare in funzione? Per ritornare al motivo di esordio: quante navi di scorie radioattive sarebbero state affondate lungo le coste italiane? Ora il ministro afferma che se ci fosse modo sarebbe ben lieto di averne una centrale sotto casa, nel Ponente ligure. Peccato che il Ponente non abbia spazio, così stetto tra mare e montagna per via della georgrafia «scellerata», per usare la sua parola. «Se no andrei a fare i comizi».
Nei giorni scorsi si sono fatti alcuni nomi di località possibili per eventuali centrali atomiche. L'onorevole Ileana Argentin, candidata alla segreteria regionale del partito democratico per la mozione Marino, ha ripetuto l'elenco di dieci siti, compreso Montalto di Castro e ha chiesto al presidente del Lazio di convocare un consiglio regionale straordinario e votare una «ferma opposizione a questa ipotesi». Scajola assicura che non c'è niente di deciso e gli allarmismi sono fuori luogo. E così il ministro fa affermazioni al tempo stesso preoccupanti e poco veritiere.
Prima di tutto, i tempi sono molto stretti. A fine mese scade il termine delle regioni per intervenire in ordine alla legge nucleare che è di fine luglio. Dopo, è fatta. Le Regioni non si sono ancora fatte sentire su questo punto. Dopo le ferie, il letargo. Le orgnizzazioni ambientaliste hanno l'intenzione di scuotere tale letargo. Inoltre il fatto che non ci sia nulla di deciso corrisponde all'intenzione di mettere le Regioni fuori gioco e inoltre di non perdere voti locali prima del voto di marzo per le regionali.
Ma vi sono altri due aspetti su cui riflettere. Scajola dice: «Stiamo parlando di un gruppo di dodici reattori raggruppabili in tre-quattro centrali». Un luogo con quattro centrali da 1.600 mw, oltre che far venire in mente, con un brivido, Cernobil o la gigantesca centrale nucleare giapponese di Kashiwazaki-Kariwa, spesso chiusa per incendi, fughe di gas, terremoti, ricorda anche Montalto di Castro. Il ministro pensa di installarvi tre o quattro reattori, visto che lo spazio c'è? Infine. Che non vi sia progetto, nel senso di qualcosa di ragionevole e studiato approfonditamente è vero. Qualche volta anche Scajola dice la verità. Ma questo non può che dare più preoccupazioni su quello che fa (o non fa) l'Enel che non sembra avere programmi, idee, tecnici per un'avventura tanto ardua.

MENTRE.....INVECE, ANCHE e NON SOLO!!!
di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)
LA SCOPERTA
Un fantasma che riemerge dal passato
Erano voci, quasi leggende, o fantasmi, come ha raccontato al manifesto il Procuratore di Paola Bruno Giordano, che da cinque mesi si era messo con ostinazione alla caccia della nave fantasma, della prima nave dei veleni ritrovata. Poi, piano piano, le ombre che i sonar della Copernaut Franca - la nave messa a disposizione dall'assessore all'ambiente Silvestro Greco - hanno preso una forma, divenendo sempre più definite, contornate. I primi dati arrivati sul tavolo della Procura riguardavano le misure, enormi: 110-120 metri di lunghezza per 20 metri di larghezza. Dati che, insieme alla posizione del relitto, confermavano il racconto fatto da Francesco Fonti, il pentito di 'ndrangheta che nel 2006 aveva confessato di aver fatto parte di una organizzazione pagata per far saltare in aria e inabissare ben tre navi con scorie tossiche e radioattive. Poi nel primo pomeriggio di ieri dal ponte della Copernaut Franca è partito il segnale, la comunicazione che il robot Rav aveva filmato un lungo scafo di una nave mercantile, con un largo squarcio a prua e un oggetto - che sembra un bidone - schiacciato sul fianco. Il procuratore Bruno Giordano era quasi emozionato al telefono. Non ama i teoremi e ne fa un vanto investigativo. Tanti anni di Dda e inchieste sui peggiori omicidi di 'ndrangheta hanno rafforzato il suo piglio di giudice con i piedi per terra, concreto, abituato a parlare solo sui fatti incontrovertibili. Ed era quella immagine, quel filmato che aspettava per avere la certezza definitiva di aver colto il bersaglio.
La conferma ufficiale del ritrovamento del relitto riapre la pagina più oscura del traffico di veleni che l'Italia ha esportato, nascosto, interrato e inabissato per almeno un decennio. I tanti depistaggi, le morti di giornalisti, come Ilaria Alpi - che in Somalia inseguiva i fantasmi dei traffici di armi e rifiuti - e di investigatori, come il capitano di corvetta Natale De Grazia - che pagò con una morte mai spiegata la sua ostinata ricerca della verità - non sono alla fine riusciti a nascondere il corpo del delitto, lo scafo di una delle navi dei veleni.
Ora rimane da stabilire con certezza il nome della nave, il carico, l'armatore e chi organizzò quell'ultimo viaggio. Il primo dato certo è che il naufragio non esiste sui registri delle Capitanerie di porto. Per lo stato al largo di Cetraro non è mai affondato alcun vascello mercantile. E come nei migliori gialli gli investigatori dovranno dare ora un nome al cadavere. Il punto di partenza per riaprire e analizzare diciassette anni di fascicoli archiviati è la dichiarazione del pentito Francesco Fonti. Fu lui per primo - ascoltato dalla Dda calabrese nel 2006 - a raccontare di tre navi che la 'ndrangheta ha fatto affondare nelle acque calabresi. Una di queste era «la Cunski, che si spostò in acque internazionali - ricorda Fonti - in corrispondenza di Cetraro». Ovvero nel luogo dove il Rav calato dalla nave Copernaut Franca ha filmato il relitto.
Riscontri nel registro navale
Fino ad oggi il racconto del collaboratore di giustizia era stato ritenuto inaffidabile. Ma gli elementi di riscontro che il manifesto è in oggi in grado di ricostruire sono tanti. La Cunski era una nave da cargo registrata nel 1956, con bandiera britannica. Da allora ha cambiato nome quattro volte: è uscita dai cantieri come Lottinge, nel 1974 diventa Samantha M., nel 1975 Cunski e poco prima di affondare - nel 1991 - viene rinominata Shahinaz.
Sul registro navale la "Lottinge-Samantha-Cunski-Shahinaz" risulta rottamata sulla spiaggia di Alang, in India, nel distretto di Bhavnagar, il 23 gennaio del 1992. Il luogo indicato come destinazione finale è particolare. Alang è un gigantesco cimitero di navi cargo, dove centinaia di uomini, donne e bambini smontano con mezzi di fortuna i relitti portati qui dagli armatori. Impossibile, cioè, avere un riscontro certo dell'avvenuto smantellamento, a parte i supporti solo cartacei.
I dati della Cunski - presenti sul registro navale - sono incredibilmente corrispondenti con il profilo disegnato dal sonar. La lunghezza della nave è di 116,3 metri, misura compatibile con il dato raccolto di 110-120 metri. Ed anche la data della presunta rottamazione - gennaio del 1992 - combacia con il racconto del collaboratore, almeno nel caso della Cunski.
La storia delle navi dei veleni era iniziata ad essere conosciuta - e denunciata - tra il 1987 e il 1988. In quegli anni diverse navi partivano dai porti italiani dirette verso le coste africane e latino-americane. È il caso della Lynx, che venne respinta dal governo venezuelano dopo la verifica del carico. Ed è il caso delle navi affondate nella costa calabrese.
La via libanese
Nel 1988 in Libano le autorità ricevono una denuncia di un enorme carico di rifiuti tossici venuti dall'Italia un anno prima. Fu considerato il principale scandalo ambientale degli anni '80, tanto da servire come stimolo per la definizione della convenzione di Basilea del 1989 che proibisce l'esportazione incontrollata dei rifiuti. Il carico, che era stato organizzato dalla società di Opera, vicino Milano, Jelly Wax, diretta da Giorgio Pent era composto - secondo un report di Greenpeace dell'11 maggio 1995 - da 15.800 barili e 20 container, con pesticidi, esplosivi, solventi, farmaci scaduti e metalli pesanti. La Jelly Wax era una vera esperta in questo tipo di affari ed aveva organizzato nello stesso anno il viaggio della Lynx, facendo da intermediario con decine di industrie chimiche del nord Italia. Un modo per ridurre oltremodo i costi di smaltimento, spedendo carichi pericolosi verso paesi che si pensava li accettassero senza andare per il sottile.
L'operazione libanese del 1988 in realtà non andò in porto. Il governo italiano venne chiamato dalle autorità locali e di fatto costretto a riprendersi il carico indesiderato. Il 23 agosto arriva a Beirut una delegazione di esperti, guidata da Cesarina Ferruzzi - rappresentante all'epoca della società Mont.eco del gruppo Montedison, ed oggi presidente della Anida, associazione di Confindustria delle imprese di servizi ambientali - per organizzare il viaggio di ritorno delle scorie portate in Libano. Dopo pochi giorni attracca nel porto di Beirut «il mercantile jugoslavo Cunski - raccontò ai giornalisti Cesarina Ferruzzi - con a bordo materiali e attrezzature per la bonifica». Fu dunque la Cunski una delle navi coinvolte nel recupero delle scorie.
Nel recupero, però, risultarono coinvolte anche altre navi, secondo gli studi effettuati da Greenpeace: la Jolly Rosso - poi arenatasi al largo di Amantea - e le altre due navi citate dal collaboratore Francesco Fonti, la Voriais Sporadais e la Yvonne.
Le accuse di Greenpeace vennero smentite dal governo italiano nel 1995. Per l'allora ambasciatore italiano Carlo Calia, l'unica nave coinvolta era la Jolly Rosso. Ma sembrano oggi esistere altri indizi che rafforzerebbero l'ipotesi del coinvolgimento delle altre navi. Un documento dell'assemblea generale delle Nazioni unite del 18 luglio 1989 riporta, ad esempio, una denuncia venuta dalle autorità egiziane sull'affondamento della nave "Yvon" nel mediterraneo, dopo aver lasciato il porto libanese con un carico di rifiuti. Lo stesso coinvolgimento della Cunski nell'operazione di bonifica era stato affermato - come già detto - dagli esperti italiani giunti a Beirut nell'agosto del 1988.
Anni di depistaggi
È difficile dunque oggi ricostruire con assoluta certezza quello che è stato un vero e proprio giallo internazionale, che ha coinvolto il nostro paese per un intero decennio. L'Italia venne additata dalle organizzazioni ecologiste - come il Wwf e Greenpeace - come un paese canaglia dal punto di vista ambientale.
L'anno della svolta fu probabilmente il 1989, quando venne firmato l'accordo per bloccare i trasporti internazionali di rifiuti. Probabilmente la via degli affondamenti delle navi nel mediterraneo - per poter occultare le scorie tossiche e radioattive - si aprì dopo questo accordo, che rendeva difficile e rischioso lo sbarco dei rifiuti nei paesi africani. L'organizzazione delle navi a perdere, l'occultamento del carico - magari falsificando le carte di bordo - la manomissione dei registri navali per nascondere gli affondamenti e la fitta attività di disinformazione e di depistaggio dovevano avere necessariamente l'appoggio di una rete di complicità di alto livello.
[fonte: IL MANIFESTO del 13/09/09]

17/05/09

Italia: Repubblica Televisiva, una NON Repubblica!


Ed eccoci al primo videopost. Da oggi proverò ad analizzare in modo critico le notizie di attualità e smontare le mistificazioni che sono dietro alla comunicazione manipolata. Un appuntamento periodico - questo - che affiancherà i servizi giornalistici, le video inchieste, le interviste pubblicate su You Tube e su Streamit.it , la nuova web tv in alta definizione. Avranno due sigle diverse. E diversi saranno gli approcci. Nel primo videopost pongo l'attenzione su due recenti notizie: una intervista di Roberto Mazzotta rilasciata al Corriere della Sera, in cui afferma che l'Italia è una Repubblica gestita con le tv, ed il rapporto di Freedon House 2009 che fa retrocedere l'Italia a paese parzialmente libero per quanto riguarda la libertà di stampa. Sono due notizie allarmanti che portano ad un'unica conclusione: la Repubblica Televisiva è gestita dallo stesso potere politico che inneggia alla libertà. Ripeto: libertà.

• aderisci a vogliamolawebtv.it - il sito che ho creato per dare voce e volto agli italiani stufi della tv omologata, malata, diseducativa. E sperare nello sviluppo delle Web Tv: libere, senza frequenze, senza concessioni televisive, più attente ai grandi temi sociali.
Vai in "aderisci" e compila il form con la tua opinione. In ottobre uscirà un libro inchiesta e pubblicheremo i vostri pareri.

08/04/09

Altro terremoto, altro scandalo...

Forse i terremoti non sono prevedibili, ma i furti, gli inganni e lo sfruttamento dei disastri ecologici o naturali, quelli si.
Ora potete guardare bene la mappa di pericolosità sismica nella nostra bell'Italia, guardatela bene (ingranditela) e poi intraprendete un viaggio di meditazione su quel che ci viene detto, promesso, garantito dai nostri politici, ma prima vi voglio ricordare la cronologia storica delle tragedie sismiche che ha stravolto la vita di molti in Italia:

Lista di terremoti italiani


puoi leggere anche qui

fatto?
bene, ora provate a pensare a:
  • progetto della costruzione del ponte ad arcata unica sullo stretto di Messina
  • progetto per la costruzione delle centrali nucleari
  • il decreto legge che ridisegna le regole dell'edilizia privata
  • ..e alla PREVENZIONE PORCA PUTTANA!!!



Grazie Beppe!

Vi consiglio di guardare anche:
  1. Abruzzo: mancato allarme e tragedia - Marco Travaglio

  2. Beppe Grillo al Parlamento Europeo (1 aprile 2009)

  3. CENSURATO DALLE TV ITALIANE!GUARDALO TUTTO,ILLUMINANTE!1/5

Non si può continuare a rimandare, nemmeno delegare ai soliti politici
la programmazione del nostro futuro.

22/03/09

Diciamola tutta 07 - Questa crisi è un vantaggio per molti, bisogna saperne approfittare


Nelle TV via cavo, in questi giorni si sprecano le interviste alle persone che girano per negozi. Molti sembrano contenti perchè "dicono" questa crisi ha fatto abbassare i prezzi e quindi "finalmente" si compra bene. Alcuni di voi si sono sentiti presi per il culo da queste interviste, le hanno considerate un offesa senza ritegno a chi non arriva a fine mese, a chi è rimasto senza lavoro, e a quelli (tantissimi) che non possono permettersi nemmeno di fare la spesa al supermercato. Per questo, ci sono arrivate in redazione centinaia di segnalazioni. Niente paura. Anche noi andremo a verificare se le persone sono contente perchè si sono abbassati i prezzi, magari se troviamo un pulloverino color porta chiusa in "super offerta" lo prendiamo eh!

Visita il sito: http://www.diciamolatutta.tv

14/03/09

Ho fatto un lungo sogno... e sono andato a rubare!


… dove si scopriva che "Il disegno di legge del senatore Franco Orsi "

serviva soprattutto per tenersi buoni i cacciatori ed anzi aumentare il numero (ottime guardie padane), ed incentivare la vendita di armi, favorendo quegli imprenditori che avevano “donato” il voto; un flash del sogno dove entro in armeria: per armarmi anch'io? No!! per acquistare dei costosissimi giubbetti antiproiettile per me e per i miei cani, sì, perché a noi ci garba tantissimo andare a camminare e giocare nei campi, all'aria aperta. Alla cassa la sorpresa quando consegno fiducioso il bancomat: non ho soldi! Sì perché sono già tre o quattro mesi che sono in cassa integrazione, ma non hanno ancora versato i soldi sul conto; ok niente giubbetti cari amici cani, vuol dire che ce ne staremo barricati in casa! Anzi ora devo vedere se trovo qualche lavoretto in nero, così, per poter sopravvivere, faccio un paio di telefonate e vedrete che combino... cazzo non ho credito sul cellulare! L'auto? Siii ! E la benza? .. intanto con senso di sconfitta me ne torno a casa, oh! Ma quanta posta! 4 bollette, tre solleciti di pagamenti e... LO SFRATTO! È chiaro, me l'aspettavo, se non lavoro, come faccio a pagar l'affitto?

Ed il sogno cambia episodio:

sono dentro un cartone, impaurito, i miei cani abbaiamo impauriti anche loro, la barba incolta e lurida mi prude, ma dove sono? Che ci faccio lì in un cartone sotto un ponte? Perché ho paura? Vedo quel SUV nero, scendono dei ragazzi con dei bastoni! I cani urlano! Io sono impietrito, qui finisce male, non ho nemmeno la forza di scappare, ma per mia fortuna se la prendono con quel ragazzo che poco prima m'ha regalato una sigaretta, un cinque euro ed un sacchetto di pane vecchio, ma buono, quel caro ragazzo che non ha fatto nulla di male, dai modi gentili, anche un po' effeminato, ma per me non fa differenza, perché è una brava persona, che ci aiuta a tirar avanti donandoci quel che può ed ora è a terra e non riesce a parare tutti quei colpi inferti con inaudita violenza da quei ragazzi senza volto, vestiti di nero ed io che non riesco a fare nulla e penso, poi toccherà a me?

Toccherà a me ma nel sogno mi salvo, perché l'episodio cambia, ma il sollievo dura poco, ora sono in corteo insieme a tanti operai, studenti, vecchi, bambini, ci sono famiglie al completo, tutti uniti per protestare, bandiere colorate di pace e rosse di protesta, i cori, i tamburi, gli striscioni, ora ve ne leggo qualcuno... ma non faccio in tempo perché c'è la carica della polizia! Ma che fate? E' un corteo di protesta popolare, non vedete? Non capite? Siamo gente come voi e lo facciamo anche per voi! Anche voi siete scontenti e sottopagati... ma non riesco a finire il pensiero che mi trovo davanti un agente in assetto antisommossa che mi prende per il collo della giacca e prima di colpirmi, mi dice: “mi dispiace Marco” e giù!

Ora sono sveglio, non ho nemmeno sentito il colpo, ma ora sento l'angoscia! Anche questa è violenza, come è violenza quotidiana sentire e leggere di quante famiglie si riducono alla fame per aver perso il lavoro prima e poi la casa e la dignità. La sofferenza di pensare a quale futuro dei figli, dei nipoti e mi viene da pensare che questa situazione non è molto chiara a tutti, ma solo ad una minoranza e ora c'è anche la maggioranza che vuole infierire col colpo finale: vuole costruire le centrali nucleari!!!! Sicuramente sarà un business molto proficuo per le loro tasche in cambio della forse così non più lenta autodistruzione del pianeta; e poi perché autodistruzione? Io non lo voglio, allora questo è assassinio! Stanno assassinando la democrazia ed il pianeta! Che ore sono? Quasi le dieci? Ora penso che molti di questi Signori che allegramente decidono per la nostra morte e per quella dei loro figli, per la morte della dignità della gente onesta, ora, si stanno avviando con la famiglia riunita dentro il SUV, alla Santa Messa,

amen

Solidarietà ai compagni della Comedil-Terex: guardate bene questo video, per capire bene come stanno andando le cose: questa è la realtà e non quella che ci viene propinquata ogni strafottuto giorno sui giornali e televisione di regime! SVEGLIA CAZZO!!! SVEGLIATETEVI TUTTI!!!




06/03/09

I° Incontro Nazionale delle Liste Civiche dei Comuni a 5 Stelle

L'8 marzo, presso il Saschall di Firenze, via Fabrizio De André, angolo lungarno Aldo Moro, ( visualizza mappa) le Liste Civiche di tutt'Italia e i cittadini sostenitori si incontreranno per discutere i programmi e le iniziative da attuare all'interno deirispettivi Comuni.

Il programma prevede:

ore 9.15 accredito

Introduzione - Beppe Grillo
Politica - Marco Travaglio
Ambiente - Maurizio Pallante
Salute - Patrizia Gentilini, Giuseppe Miseretti, Michelangelo Bolognini
Energia - Marco Boschini
Riciclo - Matteo Incerti
Connettività - Maurizio Gotta (Anti Digital Divide)
Diritti dei cittadini - Sonia Alfano
Acqua - Riccardo Petrella

Break

Presentazione sito Liste Civiche
Interventi delle Liste Civiche e dei Meetup
Conclusioni - Beppe Grillo

[fonte: Blog di Beppe Grillo del 5 marzo 2009 ]

Comuni a Cinque Stelle: CONNETTIVITA'

Una persona senza orecchie e senza bocca. Un mostro uscito da una novella di Stephen King. Questo è il cittadino italiano senza connettività. L'accesso all'informazione attraverso la Rete deve essere gratuito, riconosciuto insieme alla carta di identità. I servizi via Internet devono essere accessibili da Castel Volturno a Pizzo Calabro, dalle periferie romane ai paesi dell'Appennino. La legge Pisanu che limita lo sviluppo dei punti Wi Fi va abolita. La Rete deve diventare come l'aria. Da una panchina di un parco o da un bar. Da un tunnel dell'autostrada o da un treno. Ovunque. La dorsale di accesso alla Rete va separata da chi fornisce i servizi. Deve tornare in mano pubblica, non di Mediaset, e fornire un servizio pubblico. I Comuni devono considerare la copertura della Rete allo stesso livello della rete idrica. Essenziale. Vitale. Per lavorare, per comunicare, per formare comunità, per informarsi. La Rete è trasparenza. Le sedute comunali vanno filmate dal Comune, a cura del Comune, trasmesse in diretta streaming, caricate su YouTube. I Comuni senza la connessione alla Rete o con velocità di accesso limitata sono tagliati fuori. Il vero Digital Divide per il lavoro e per l'informazione è tra il Comune connesso e il Comune disconnesso. La connettività è lavoro, promuove i servizi e le produzioni locali. La connettività è turismo. La connettività è democrazia. I Comuni a Cinque Stelle sono Comuni connessi.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

L'incontro nazionale delle Liste dei Comuni a Cinque Stelle si terrà a Firenze, al Saschall Teatro, domenica 8 marzo 2009.
Le Cinque Stelle corrispondono a cinque aree specifiche: Acqua, Energia, Sviluppo, Ambiente e Trasporti. Oggi pubblico un post sulla CONNETTIVITA ' (SVILUPPO) Inviate le vostre considerazioni nei commenti.
Iscrivetevi all'incontro nazionale dei Comuni a Cinque Stelle dell'otto marzo.


CONNETTIVITA'
1. Cittadinanza digitale a ogni residente
2. Favorire l'Introduzione di ripetitori Wimax per l'accesso mobile e diffuso della Rete e, allo stesso tempo, pretendere la diffusione dell'ADSL
3. Diffusione di punti Wi Fi nel territorio del Comune per una massima copertura, in particolare delle aree di maggior frequentazione
4.Servizi comunali disponibili, ogni volta che questo sia possibile, via Internet
5. Consigli comunali pubblici in diretta streaming via Internet
6. Incentivare la creazione di aree di telelavoro
7. Promuovere on line, con il concorso delle diverse aree produttive e di servizi, l'offerta presente nel Comune
8. Punti di accesso alla Rete nei posti pubblici, ad esempio le biblioteche
9. Promuovere corsi di informatizzazione e Internet
10. Dotare le scuole comunali di strutture per l'accesso a Internet (pc, stampanti, ecc.) da parte di studenti e insegnanti

Ps: partecipa al Forum dei Comuni a Cinque Stelle sulla connettività


04/03/09

Morti di Fame/1 [dal Blog di Beppe Grillo]

Qualcuno bussa alla porta. Tu apri e tutto cambia. Il licenziamento è arrivato anche per te. Non fai più parte degli Schiavi Moderni tenuti in vita da uno stipendio miserabile. E neppure dei candidati alle Morti Bianche che però hanno un lavoro. Ora sei un Morto di Fame. Hai diritto alla social card. Uno dei due, forse tre, nuovi milioni di disoccupati del 2009.
Il momento del distacco, dell'uscita dalla fabbrica o dall'azienda è uno stato di trance. Il cervello galleggia, tutto è in discussione. Chi l'ha vissuto o lo vive sa che è come un piccolo infarto. Ti senti perso nel nulla e non sai cosa fare. Il giorno prima i cancelli della fabbrica erano aperti e parlavi con i tuoi compagni di politica o di calcio. L'azienda poi chiude, senza un perchè, senza avvisare nessuno. Ti trovi alle 6 del mattino di fronte ai cancelli con i tuoi colleghi e con i celerini. Poca conversazione, molte manganellate.
Se sei precario non hai protezioni. Se sei dipendente hai la cassa integrazione per qualche mese. Sei fuori dal sistema e questo lo capisci solo adesso. La disoccupazione è contagiosa. Se chiude una società, spesso chiudono anche i suoi fornitori. Se i disoccupati in un una zona aumentano, in quella zona chiudono negozi e supermercati. Il disoccupato, il Morto di Fame moderno, è un virus. Abita in un Paese governato dall'uomo più ricco, dai parlamentari più numerosi e più pagati, dalle pensioni a senatori e deputati dopo due anni e mezzo. In città è circondato da Suv, da evasori fiscali che frodano 250 miliardi di euro all'anno allo Stato, da dipendenti della criminalità organizzata, la prima azienda del Paese per fatturato. Lui non è un politico, un evasore, un criminale, per questo è disoccupato. E' vissuto in un mondo a parte in cui la parola onestà aveva un significato.
Vedo persone dignitose chiedere la carità nelle stazioni o premere le gettoniere dei telefoni nelle metropolitane. Una signora mi ha chiesto qualche euro, non mi ha riconosciuto, non sapeva di parlare con un genovese, belin. Mi ha detto che aveva fame. Non era extracomunitaria, clandestina, zingara, era italiana e senza un lavoro. Era una nuova Morta di Fame.
Il blog riceve ogni giorno storie di nuovi Morti di Fame, su come sono stati licenziati. Ho deciso di raccogliere le testimonianze in un libro che pubblicherò in formato digitale scaricabile gratuitamente dal blog.
Raccontate le vostre storie e lucidate i vostri zoccoli.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

02/03/09

La seconda battaglia contro il NUCLEARE

CultCorner.info condivide e si associa alla SECONDA BATTAGLIA CONTRO IL NUCLEARE: a seguire tutti i contatti e le informazioni e tutto quel che ti serve per spiegare perchè siamo CONTRO: [ fonte: www.jacopofo.com ]

Lanciamo una campagna contro il nucleare in Italia!
Non lasciarti travolgere dalla fessacchiaggine.
Questi sono pericolosi veramente.
Ed è anche una battaglia divertente perchè questa la vinciamo di sicuro.
Abbiamo dalla nostra parte il 70% degli italiani. Voglio poi ridere quando dovranno annunciare DOVE le voglio fare sté quattro centrali francesi che Berlusconi ha fatto l'accordo con Sarkozy e l'Enel.
Alla fine non se ne farà niente e saranno solo soldi buttati.

4 centrali nucleari in Italia. Ma sono francesi...

E ora voglio ridere quando si scopre dove dovranno essere costruite queste 4 centrali.... Le vuoi vicine a casa tua? Ma sono di nuovo tipo... Non ti devi preoccupare... Non ti fidi di Sarkozy?

Berlusconi ha firmato un accordo con Sarkozy per 4 centrali nucleari francesi costruite in Italia. Una follia in collaborazione con Enel.
Saranno pronte fra 20 anni. La crisi energetica sta già scoppiando (solo la crisi economica ci sta dando una boccata d'aria. Non ci serve energia fra 20 anni, Ci serve ora.
Qui di seguito pubblico due approfondimenti sul nucleare con una serie di notizie che i media si guardano bene dal diffondere.
Si tratta di un grande lavoro di ricerca per il quale devo ringraziare Laura Maluccelli, grande amica e straordinaria ricercatrice.
Leggi solo se hai voglia di farti rizzare i capelli in testa.
La storia del nucleare e 100 volte più folle di quel che credi. [fonte]

E DOVE LE FANNO STE' CENTRALI NUCLEARI?
ECCO DOVE LE FANNO!

(ripubblico l'articolo sullo studio lanciato mesi fa da Roggiolani, i disegni sono relativi a quella campagna, clicca per ingrandirli)

Ma gll’italiani sono lenti e aspetteranno per incazzarsi quando vedranno muoversi la macchina nucleare sotto casa loro. Basta un solo discorso per dire quanto progetto questo sia folle. I dati ce li dà Repubblica di qualche giorno fa, in un articolo che finge di essere imparziale e ci presenta il piano della Edison per 5-10 centrali nucleari sparse per il paese. Una vera follia. Vediamo perché. Innanzi tutto se si partisse immediatamente a costruirle entrerebbero in funzione (secondo i tecnici Edison) nel 2019. Se ciò si avverasse sarebbe la prima volta in Italia che un’opera viene realizzata nel tempo previsto. Ma poniamo pure che ci riescano sarebbe una realizzazione tardiva visto che la crisi energetica e gli alti costi del petrolio stroncheranno l’economia italiana entro 5 anni se non si troveranno delle soluzioni. Ma al di là di questo, la spesa prevista da Edison per 10 centrali è di 40 miliardi di euro (ottantamila miliardi di lire) con un costo di 2 mila euro a kilowat. Ma con 2 mila euro a kilowatt posso installare le turbine a acqua di nuova generazione che lavorano spinte dalla alta e dalla bassa marea o dalla corrente dei fiumi. Cioè non hanno bisogno di cascate. Ogni singola turbina produce 1 kilowatt di potenza e ha un diametro di 120 centimetri. Quindi è piccola e può essere installata sul fondo di un corso d’acqua senza interferire con la navigazione. E queste turbine potremmo iniziare a installarle da domani mattina e si ripagherebbero con l’energia prodotta prima che le centrali nucleari possano entrare in funzione. Ma l’articolo di Repubblica ci informa anche che Moody’s, la nota agenzia di rating (cioè quelli che valutano l’affidabilità di un investimento) ha stimato che il prezzo reale di una centrale nucleare arriverebbe a 4 mila euro per ogni kilowatt di potenza, mentre il prezzo attuale di un kilowatt prodotto con l’eolico è intorno ai 3 mila euro. Inoltre bisognerebbe calcolare che nei prossimi anni i prezzi di idrico e eolico continueranno a calare grazie alla massificazione dei sistemi di produzione e alle nuove tecnologie che stanno per arrivare sul mercato. E si calcola che tra 3-4 anni il solare dovrebbe diventare conveniente rispetto al nucleare anche senza finanziamenti pubblici. Infine nel costo del nucleare non è conteggiata la spesa per stoccare per decine di millenni le scorie radioattive che in mano dei terroristi si trasformerebbero in bombe atomiche sporche (composte da esplosivo convenzionale e scorie che vengono sparse nell’atmosfera dalla deflagrazione). Infine, se ci fossero ancora dubbi potremmo aggiungere che l’uranio, che alimeta le centrali nucleari, è agli sgoccioli: nei prossimi anni sarà sempre più raro e più caro. In sintesi oggi costruire centrali nucleari è pericoloso, stupido e soprattutto anti economico. Sinceramente non credo che alla fine riusciranno a farle. Credo però che riusciranno a spendere un mare di soldi nel tentativo di farlo. [fonte]

Vedi qui altre info sulla localizzazione delle centrali. (con mappe e spiegazione dei criteri utilizzati per individuare i possibili siti che Berlusconi sceglierà.

TUTTI I PROBLEMI DEL NUCLEARE:
PERCHE' E' UNA FOLLIA.
(Da "salvare l'ambiente conviene!" Edizioni Nuovi Mondi Media-jacopo fo)

E CI RIPARLANO DI NUCLEARE...
Sono trascorsi oltre 20 anni dal referendum
che, nel 1987, bocciò l’uso del nucleare in Italia.
Nonostante gli anni, le ragioni sollevate dal NO
risultano ancora assai attuali: lo smaltimento
delle scorie, la scarsa quantità di uranio disponibile,
la pericolosità dimostrata da molteplici avvenimenti,
gli astronomici costi che comporta...
I problemi sono rimasti, nessuno è stato risolto.
Ciononostante, nel periodo 1992-2005, dei fondi
per la ricerca e lo sviluppo, l’11% è stato destinato
alle fonti rinnovabili nel loro insieme mentre il
nucleare ha assorbito oltre il 58%.4
62
Come riporta lo studioso Marco Cedolin: secondo
le stime correnti, la quantità di tutto l’uranio
estraibile è nell’ordine dei 3,5 milioni di tonnellate.
Dal momento che il consumo attuale è di 70.000
tonnellate/anno (per coprire solo il 6% della
domanda globale di energia primaria), basteranno
50 anni per esaurire tali scorte (considerando che ci
vogliono almeno 10-12 anni per costru i re una centrale
nucleare). Se ci fosse un “ritorno al nucleare”
l’esaurimento della risorsa sarebbe, però, ancora
più rapido: appena pochi anni.
Gli operatori del mercato dell’uranio sanno benissimo che diventerà tra non molto una merce rara. anche un dato quantomeno strano rispetto
al nucleare: in questi ultimi quattro anni, il prezzo
dell’uranio è salito di circa 20 volte, senza che ci
sia stato alcun aumento della richiesta.
Allo sviluppo dei reattori di IV generazione
(che, secondo i ricercatori, dovrebbe avvenire nel
2030) è affidato il compito di superare questi limiti:
tre delle sei filiere studiate sono reattori veloci
al plutonio e, tra queste, quella più avanti nello
sviluppo è raff reddata con sodio liquido. Il
Superphénix, un reattore veloce al plutonio raffreddato
con sodio liquido, è stato il più grande
fallimento industriale della storia: 13.000 miliardi
di lire per un ventennio (a partire dagli anni
Ottanta), a cui si devono aggiungere 2,1 miliardi
di euro (stimati dalla Corte dei Conti francese per
63
lo smantellamento). Dopo 54 mesi, Superphénix è
stato chiuso nel 1994 per i continui incidenti. I cittadini
italiani non lo sanno ma hanno pagato,
attraverso Enel, il 33% di questa folle spesa.
Le scorie nucleari si possono dividere in diverse
categorie in base al loro stato (solido, liquido o
gassoso), dal potenziale di radioattività in esse
contenuto e dalla durata nel tempo della loro
pericolosità. Sostanzialmente i rifiuti radioattivi si
dividono in tre gruppi:
• le scorie a bassa attività costituite da carta, stracci,
indumenti, guanti, soprascarpe, filtri liquidi.
Un tipico reattore nucleare ne produce annualmente
circa 200 metri cubi (mc);
• le scorie a media attività, costituite dagli scarti di
lavorazione, da liquidi, dalle resine di ioni derivanti
dalle centrali nucleari, dagli impianti di
riprocessamento e dai centri di ricerca. Un tipico
reattore nucleare ne produce circa 100 mc
l’anno;
• le scorie ad alta attività, costituite dal combustibile
nucleare irraggiato e dalle scorie primarie
del riprocessamento, derivanti unicamente dalle
centrali nucleari e dagli impianti di riprocessamento.
Un tipico reattore nucleare ne produce
annualmente circa 30 tonnellate che corrispondono
una volta riprocessate a 4 mc di materiale.
Le scorie a bassa e media attività resteranno
pericolose per centinaia d’anni (circa 300) quelle ad
alta attività, che pur costituendo il 3% del volume
totale rappresentano da sole il 95% della radioattività
complessiva, manterranno la loro carica mortale
per molte migliaia di anni (fino a 250.000 anni).
Periodi lunghissimi, che vanno molto al di là non
solo dell’arco di una vita umana, ma anche della
possibile durata di una “civiltà” e perfino della storia
dell’esistenza umana così per come la conosciamo.
Questi dati dovrebbero bastare da soli a darci
la dimensione dell’incommensurabile grandezza
del problema con il quale ci stiamo confrontando e
dell’assoluta impossibilità della tecnologia scientifica
attuale (e con tutta probabilità anche futura) di
smaltire in qualche maniera l’enorme carico di
materiale radioattivo che anno dopo anno si sta
accumulando (come conseguenza dell’attività delle
oltre 400 centrali nucleari disseminate sul pianeta).
Ogni anno queste centrali, presenti in 31 nazioni,
producono migliaia di tonnellate di scorie.5
Anche nel caso (improbabile) di una perfetta
tenuta delle strutture di stoccaggio per tutto l’arco
di tempo, subentrerebbe comunque l’altissimo
rischio di eventi imponderabili quali guerre, terremoti,
alluvioni e incidenti di vario genere, la cui
possibilità in un periodo così lungo e per come
stanno adesso le cose nel mondo, risulta tutt’altro
che remota.
Le mappe che indicano i depositi esistenti nel
mondo riguardano quasi esclusivamente i rifiuti
nucleari a bassa radioattività e viene spontaneo
domandarsi cosa ne sia stato delle scorie ad alta
radioattività.
In realtà, per custodire i rifiuti nucleari ad alta
radioattività non è stato fatto assolutamente
UN PALAZZO DI PIÙ DI SESSANTA PIANI DI PAURE ATOMICHE
LA MAPPA DEGLI 80.000 METRI CUBI DI SCORIE NUCLEARI IN ITALIA
nulla. O meglio, tutto il gotha della tecnologia
mondiale ha dimostrato di non avere assolutamente
né i mezzi né tanto meno le conoscenze tecnico/
scientifiche per affrontare un problema che
travalica di gran lunga le capacità operative dell’essere
umano, qualunque siano le competenze
tecniche raggiunte. “Rapportarsi con periodi di
tempo il cui ordine è quello delle ere geologiche
significa abbandonare ogni stilla di realismo, per
rifugiarsi fra le pieghe dell’utopia, dell’incoscienza
e della pazzia. Nulla e nessuno potrà mai prevedere
le mutazioni di ogni genere che riguarderanno
il pianeta nei prossimi 100/200.000 anni, né
individuare luoghi o spazi adatti a stipare in sicurezza
le scorie ad alta radioattività in un futuro
tanto lontano”.6
In attesa di una soluzione che mai potrà essere
trovata, le 440 centrali nucleari di cui è costellato
il pianeta lavorano a pieno regime e i rifiuti ad
alta radioattività vengono semplicemente stoccati
in depositi “di fortuna” in attesa di un trasferimento
definitivo che non avverrà mai. Il
Dipartimento dell’Energia (DOE) americano, per
risolvere (in realtà, si tratta piuttosto di “rammendare”)
il problema delle scorie nucleari, impiegherà
dai 70 ai 100 anni, spendendo dai 200 ai
1.000 miliardi di dollari. Con tutta probabilità,
quando il deposito sarà terminato, e cioè non
prima del 2015, la quantità di nuove scorie accumulatesi
nel corso degli anni (al ritmo di 2.300
tonnellate annue) richiederà immediatamente la
costruzione di un nuovo deposito. Inoltre, studi
scientifici effettuati da commissioni non governative
hanno dimostrato che, nel lungo periodo,
sarà impossibile impedire le infiltrazioni delle
acque sotterranee nel deposito.
L’attuale stato di conservazione delle scorie nei
vari paesi è spesso estremamente precario e anche
le più elementari norme di sicurezza non sono
neppure prese in considerazione, costituendo la
potenziale occasione per incidenti di gravità
anche superiore rispetto a quello di Chernobyl.
Questo non avviene solo nei paesi meno sviluppati
e nell’est europeo, ma anche in Europa e
negli Stati Uniti che, dal punto di vista tecnologico,
rappresentano una delle realtà fra le più avanzate
al mondo. Diciamo pure che il problema è
ovunque irrisolvibile, pensate che persino l’uranio
usato nel 1942 da Enrico Fermi è ancora in
attesa di una sistemazione finale.
La “banda dell’atomo” (Berlusconi, Bush,
Sarkozy e compagnia atomica) che, anche in
Italia, sta tentando di riproporsi con la promessa
di energia a buon mercato può solo fingere che i
rifiuti radioattivi non esistano, poiché qualunque
tentativo serio di smaltimento degli stessi, avrebbe
dei costi esorbitanti (a fronte di ben scarsa resa)
e li metterebbe inevitabilmente fuori dai giochi. Il
pericolo più grave, posto nell’immediato, è quello
che alcune organizzazioni (molte delle quali private)
fra quelle che gestiscono le centrali e il loro
contenuto scelgano la strada più semplice e decidano
di far “sparire” le proprie scorie, magari in
fondo al mare o interrandole in vecchie cave e gallerie
in disuso, confidando nel fatto che difficilmente
un simile crimine ecologico verrebbe alla
luce in tempi brevi.
Il rapporto dell’Italia con le proprie scorie
nucleari è esemplificativo. Nel nostro paese tutto
ciò che oggi riguarda il nucleare fa capo alla
Società Gestione Impianti Nucleari S.p.S.
(SOGIN) istituita nel 1999, che ha incorporato
tutte le stru t t u re e le competenze che prima
appartenevano all’Enel nell’ambito del nucleare.
Presidente della SOGIN è il generale Carlo Jean
che, nel febbraio 2003, ha così quantificato i rifiuti
radioattivi presenti in Italia: circa 50.000 metri
cubi (mc) di scorie radioattive a bassa e media
radioattività, circa 8.000 mc di scorie radioattive
ad alta radioattività, 62 tonnellate di combustibile
irraggiato, oltre a ospedali, acciaierie, impianti
petrolchimici e così via che producono circa 500
tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno.

Dal 1989 in poi il cittadino italiano ha iniziato a
pagare, attraverso un’addizionale sulle bollette
Enel, i cosiddetti “oneri nucleari” destinati in un
primo tempo a compensare l’Enel e le altre società
collegate per le perdite conseguenti alla dismissione
delle centrali. Dal 2001 fino al 2021 gli oneri
sono stati destinati alla SOGIN e finalizzati alla
messa in sicurezza degli 80.000 mc di scorie radioattive
frutto dell’attività nucleare. Alla data del
2021 i cittadini avranno pagato attraverso addizionali
sulla bolletta Enel la cifra astronomica di
11 miliardi di euro.

[fonte]

01/03/09

Più che alla Corte di Strasburgo però, gli italiani, dovrebbero appellarsi a se stessi ....

di Daniela Preziosi
LA POLEMICA
Più che a Strasburgo appelliamoci a noi
E se domani l'alta Corte di Strasburgo condannasse l'Italia perché si tiene alla presidenza del consiglio dei ministri un signore dalla dubbia buona educazione e dal discutibile buon gusto e che soprattutto, come sostengono le parlamentari democratiche Paola Concia e Donata Gottardi, emette «continue e ripetute dichiarazioni di disprezzo sulla vita e la dignità delle donne»?
Sarebbe una vera beffa, per le italiane e gli italiani che appunto se lo tengono e in ogni occasione possibile se lo votano (l'ultima volta è successo in Sardegna due settimane fa). Sarebbe, più che verso Silvio Berlusconi, una sentenza nei confronti della soglia di civiltà di questo paese. Non è un caso che uno dei cavalli di battaglia di Walter Veltroni, il fuggitivo ex segretario del Pd, era convincere che «gli italiani sono migliori del loro governo». Una tesi consolatoria, ma ancora tutta da verificare.
Naturalmente la denuncia di Concia e Gottardi è legittima e, a spanne, più che motivata. Per la stampa democratica è persino desolante essere costretta alla cronaca delle trivialità machiste del premier, che hanno trasformato il nostro paese in una specie di catalogo di barzellette internazionali. Dalle volgarità verso la presidente finlandese, ai limiti del caso diplomatico, al consiglio alla precaria di sposare un miliardario, alla storia del militare per ogni «bella donna» per evitare gli stupri, e giù via scendendo fino alle irripetibili parole nei confronti di Eluana Englaro, Berlusconi incarna la versione untuosa e macchiettistica, ma non per questo meno violenta, del vecchio satiro che considera le donne l'apposita appendice utile a far risultare meglio le proprie qualità, politiche e di incantatore s'intende. Non è un caso che qualche commentatore dei costumi nazionali sostiene che questo gallismo indietrista piace agli elettori, e compiace persino le elettrici, che come cenerentole frustrate si identificano nella fortunata di turno che riceve la galanteria come graziosa testimonianza di esistenza. E rispondendo a questo suo archetipo (e con la perfidia grossolana di chi per vincere deve stravincere) ha scelto come ministra delle pari opportunità una bella donna, bella e bellamente incompetente. Costretta tristemente, da quand'è al suo dicastero, a marcare «a donna» tutte quelle che lamentano i comportamenti del suo premier e imprenditore politico.
Più che alla Corte di Strasburgo però le italiane, ma anche gli italiani, dovrebbero appellarsi a se stessi, interrogarsi sul perché sopportano pazientemente un premier (e già che ci siamo, anche la coordinata ministra, e poi tutti gli altri della partita). Temendo di scoprirne la risposta.



25/02/09

Accordo nucleare tra Sarkozy e Berlusconi! La morte della democrazia e non solo...

E' stato fatto un referendum l' 8-9 novembre 1987, e la maggioranza aveva deciso per il NO alle centrali nucleari! Tutti, compresa la destra votarono per il NO AL NUCLEARE, solo qualcuno delle "fazioni" di centro votarono per! Ed ora? ... se questa la chiamano DEMOCRAZIA!
Ma sono gli interessi del premier che sovrastano ...

Quando invece ci sono sitemi migliori e PULITI per produrre energia PULITA e SALVARE IL MONDO!!!
Vi invito a leggere il POST seguente (
L'Atlante per l'ambiente - Analisi e soluzioni) e quello del 24/06/08 No al Nucleare, Sì all'Energia Pulita.

... e come diceva qualcuno che non mi ricordo chi: Non c'è più il futuro di una volta!

19/02/09

LA RECESSIONE IN ATTO DÀ FUOCO ALLE PROTESTE

La brace SOTTO LA CRISI
Un grido d'allarme si leva per l'ondata di manifestazioni scatenata dagli effetti sociali del terremoto economico in atto. Dai cortei italiani e francesi alle insurrezioni studentesche in Grecia, dall'amaro risveglio nei paesi neofiti del capitalismo in Europa orientale al protezionismo salariale britannico, la conflittualità riesplode, ma quello che è cambiato davvero è la nuova paura dei «decisori»
«La perdita dei posti di lavoro minaccia la stabilità in tutto il mondo» titolava in prima pagina il New York Times di domenica. È un grido d'allarme che riflette l'ansia con cui finanzieri e industriali - o, più pudicamente, «i mercati» - monitorizzano gli effetti politici e sociali della recessione in atto.
La domanda è: quanto è giustificato questo allarme dalle proteste in corso, e quanto invece riflette il timore per quanto deve ancora avvenire? Abbiamo ancora negli occhi l'imponente corteo della Cgil di venerdì scorso a Roma. E certo, il riepilogo offerto dalla Reuters delle proteste scoppiate in giro per l'Europa non può non colpirci.
Particolarmente inquieti sono i nostri vicini greci, a giudicare non solo dai blocchi stradali organizzati a gennaio dagli agricoltori (ancora in questo mese la polizia ha represso manifestazioni contadine a Creta), ma soprattutto dalle insurrezioni studentesche di dicembre, alimentate tanto dall'ottusa repressione governativa quanto dall'altissimo tasso di disoccupazione giovanile.
Né sono più tranquilli i nostri vicini occidentali: a gennaio più di 2,5 milioni di francesi sono scesi in piazza per protestare contro la (non) risposta alla crisi data dal presidente Nicholas Sarkozy. Ma forse è sfuggito a molti che le proteste più violente si sono scatenate non sul territorio metropolitano francese, ma in quella parte di Francia che è situata nei Carabi, nell'isola di Guadalupe, paralizzata per tre settimane da uno sciopero generale contro l'alto costo della vita: i protestanti hanno bloccato strade, supermercati, pompe di benzina.
Il malcontento serpeggia anche in Germania, come è dimostrato dal recente sciopero del settore pubblico e dagli avvisi di sciopero depositati nelle ferrovie (e a Lufthansa).
Gli italiani hanno poi seguito con inquietudine le azioni degli operai inglesi che protestavano contro l'azienda francese Total che aveva assunto lavoratori italiani e portoghesi per ampliare una propria raffineria nel Lincolnshire: per la prima volta da anni è emerso qui un protezionismo non mercantile, ma salariale, un «protezionismo operaio». Per quanto il tasso di disoccupazione in Gran Bretagna (del 6,1%) sia ancora tra i più bassi in Europa, il suo aumento rappresenta una brusca inversione di tendenza rispetto al boom degli anni (1997-2007). E nella City la situazione è ancora peggiore, visti i licenziamenti a raffica del settore finanziario: martedì scorso i bancari hanno dimostrato di fronte a Whitehall.
Interessante è il caso dell'Islanda: questa piccolissima nazione (286.000 abitanti) era assurta a perno della finanza mondiale, un ruolo spropositato con le sue risorse. Il crollo dell'autunno scorso ne ha fatto esplodere la bolla speculativa, e a gennaio l'isola dei ghiacci è stata scossa da manifestazioni, alcune insolitamente violente, tanto che il primo ministro Geir Haarde si è dovuto dimettere, sostituito da una coalizione di centrosinistra.
Ma dove l'impatto si è rivelato più duro e il risveglio più amaro, è stato nei paesi neofiti, appena convertiti al capitalismo. In Bulgaria, dopo che il mese scorso una sommossa aveva già sconvolto Sofia, la settimana scorsa sono stati i poliziotti a protestare per ottenere un aumento salariale, mentre i contadini bulgari bloccavano l'unico ponte sul Danubio che collega con la Romania. In Montenegro, gli operai di un'impresa di alluminio di proprietà russa hanno chiesto a Podgorica la riapertura della fabbrica chiusa per la crisi, appoggiati dai coltivatori di tabacco e dai siderurgici di Niksic. Inverno caldo anche nelle repubbliche baltiche: a gennaio in Lituania la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro dimostranti che tiravano pietre contro il parlamento (80 arresti e 20 feriti), mentre anche nella vicina Lettonia 10.000 manifestanti affrontavano la polizia per protestare contro gli annunciati tagli salariali. Anche i contadini hanno lanciato una serie di azioni sfociate il 3 febbraio con le dimissioni del ministro dell'agricoltura lettone.
La lista può continuare: la protesta a Banja Luka dei metallurgici bosniaci della fabbrica di alluminio Birac; la sequela di proteste che dal mese scorso scoppiano un po' in tutte le città russe e la persistente agitazione degli importatori di auto usate a Vladivostok (vedi articolo accanto).
Insomma, sembrerebbe davvero che la brace sta covando sotto una lunga cenere, che la recessione stia scuotendo inerzie decennali. Ma è davvero così? Per il momento è troppo presto per dirlo. Anzi, a scorrere le passate cronache degli scioperi nei vari paesi, si potrebbe persino sostenere che per il momento il livello di conflittualità non è più alto del solito: scioperi e proteste scoppiano ogni mese in qualche parte d'Europa e del mondo.
Quel che è radicalmente cambiato è il livello di attenzione prestato dalle classi dirigenti alle azioni salariali. L'impressione è che i «decisori» (per usare il brutto termine coniato dagli eurocrati) si stiano impaurendo per le conseguenze di una crisi di cui non avevano misurato l'ampiezza. Come è noto, i «mercati» hanno un'idiosincrasia per la piena occupazione, quando la forza lavoro ha più margini di contrattazione e dispone di leve più forti, tant'è che a ogni aumento della disoccupazione le borse registravano storicamente un rialzo. Ma una cosa è l'occupazione «non-piena», altra cosa è il dilagare della disoccupazione di massa che si delinea all'orizzonte. Tanto più che continuano a piombare pessime notizie, come il crollo dell'economia giapponese il cui Pil è sceso del 12% in un solo anno, il calo peggiore dalla seconda guerra mondiale. O come i 20 milioni di immigrati nelle città che in Cina hanno dovuto riprendere la via delle campagne perché licenziati. Nell'ansia con cui trepidano gli organi di stampa del gran capitale s'intralegge anche un altro timore: quello di aver esagerato, di aver tirato troppo la corda (quella dello sfruttamento), di aver tanto lesinato sulle retribuzioni da distruggere ogni domanda al consumo.

[fonte: di Marco d'Eramo IL MANIFESTO INTERNAZIONALE 17.02.2009]