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25/02/10

PETIZIONE POPOLARE: NON ABBIAMO BISOGNO DEL NUCLEARE

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Al Presidente della Repubblica,
Al Presidente del Senato,
Al Presidente della Camera Deputati,
Al Presidente del Consiglio,
Ai Parlamentari tutti

Noi cittadini e cittadine italiane, visto il “Piano Triennale per lo Sviluppo”, approvato dal Consiglio dei Ministri, che lancia “il ritorno all’energia nucleare”, facciamo presente che:

a. Il popolo italiano ha votato a larghissima maggioranza, con i 3 referendum del 1987, l'uscita definitiva dell'Italia dall'avventura nucleare, come hanno deciso anche Austria e Polonia (che non hanno avviato le loro centrali già costruite), Danimarca, Grecia, Norvegia e Irlanda (che hanno rinunciato alla loro costruzione), Germania, Belgio, Olanda, Spagna e Svezia (che hanno deciso di non costruire più centrali nucleari nel loro territorio, puntando sulle energie rinnovabili).

b. Il nucleare non ci libera dalla dipendenza dall'estero: l’uranio è una fonte esauribile; per far funzionare le centrali dovremmo importarlo e il suo prezzo sta salendo ancora più rapidamente del petrolio: dal 2001 al 2007 si è moltiplicato per dieci.

c. Non esiste il nucleare “sicuro” e “pulito”: i reattori di “quarta generazione” sono previsti tra 25-35 anni (dopo il 2030, attorno al 2040); intanto il governo vuole costruire centrali di “terza generazione” che non hanno risolto né il problema della sicurezza ( non c'è solo Cernobyl, ma decine di incidenti gravissimi come quelli che hanno provocato 7 morti nelle centrali giapponesi tra il 1995 e il 2005) né di come smaltire le scorie che restano radioattive per centinaia e migliaia di anni.

d. La strada maestra sono le energie rinnovabili: Germania, Spagna, Austria, Grecia, Danimarca e tanti altri stati, europei e non, si stanno liberando dalla schiavitù del petrolio investendo grandi risorse sull'energia solare termica, fotovoltaica e a concentrazione, sull’energia eolica e sul risparmio e razionalizzazione degli attuali consumi. In Italia basterebbe coprire di pannelli fotovoltaici solo lo 0,1% (un millesimo) del territorio nazionale (utilizzando un decimo di tetti, pensiline, barriere autostradali ecc.) per soddisfare il 20% del fabbisogno nazionale di energia elettrica.

e. Il nucleare è fuori mercato, vive grazie a sovvenzioni statali e militari: Le stime Usa per i nuovi impianti danno il costo del kWh nucleare a 6.3 cent, addirittura il 20% in più dei 5,5 cent del gas o 5,6 del carbone (anche questi, peraltro, dannosi per la salute e l’ambiente). Per questo negli Usa, nonostante gli enormi incentivi stanziati da Bush, nessun privato ci investe dal 1976. L'unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia, perchè quello stato carica sul proprio bilancio (dei contribuenti) smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale (che costa quasi come la costruzione). Gli altri 8 stati che, nel mondo, investono nel nucleare, lo fanno, quasi tutti, per produrre anche materia prima per le bombe: Cina, India, Russia, Pakistan, Giappone, Argentina, Romania e l'Iran, attualmente nel mirino degli Usa, perchè non è suo alleato.

Perciò chiediamo ai massimi rappresentanti di Stato e Parlamento di non tradire la volontà popolare e non imboccare, con i nostri soldi, questo costosissimo vicolo cieco.

I firmatari sono informati, ai sensi dell’art. 13 decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [Codice in materia di protezione dei dati personali], che promotrice della petizione è la lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE con sede nazionale in Ferrara, Piazzale Stazione 15 , e che possono esercitare i diritti di cui all´art. 7 del codice della privacy scrivendo al responsabile del trattamento dati personali dott.ssa Benini Monia. I dati personali verranno trattati per le sole finalità della presente petizione.

16/02/10

Bavaglio alle Regioni per le centrali nucleari

di Salvatore Giannella

Addio alle fonti rinnovabili: tutti i soldi andranno lì. Giro d’affari gigantesco al quale Comuni e Province con l’acqua alla gola non rinunceranno anche se “denuclearizzate”

Può aver compiuto un passo falso, ieri 10 febbraio, il governo di centrodestra che si riempie ogni giorno a parole di federalismo e di sovranità popolare e poi vara un decreto nucleare centralista, vago e contro la maggioranza del popolo italiano, incluso quel “popolo delle partite Iva” che è alla base del suo successo elettorale. Si tratta di un decreto che:

  1. mette un bavaglio alle Regioni in cui saranno imposti i siti nucleari;
  2. tace sui nomi delle Regioni destinate ad accogliere i siti e le scorie radioattive per secoli, per paura di vedere influenzati negativamente i risultati delle elezioni regionali. Paura legittima, visto che gli italiani, non solo con il referendum del 1987, ma anche dopo, si sono dichiarati contrari e visto che il nucleare al nostro Paese non conviene sotto nessun aspetto perché è una tecnologia vecchia, dannosa per l’ambiente e la salute e insostenibile dal punto di vista economico. Per questo Greenpeace ha aperto una petizione. In soli tre giorni, già 12mila cittadini hanno firmato per chiedere ai loro candidati alle regionali di schierarsi contro il nucleare sul sito www.nuclearlifestyle.it ;
  3. non dice nulla su quante centrali sono programmate, quanta energia c’è da aspettarsi e a quali costi. L’Italia, avverte una nota di Greenpeace, usa le cifre che Enel presenta alle conferenze stampa invece di informarsi su quelle che il costruttore francese presenta alle gare d’appalto: negli Emirati Arabi il gruppo guidato dalla francese Areva ha offerto 4 reattori EPR come al nostro orizzonte a un costo di 6,5 miliardi di euro l’uno mentre in Italia la propaganda parla di 4 miliardi;
  4. sorvola sui sistemi di sicurezza collegati alle centrali (su questa specifica voce le agenzie di sicurezza di tre paesi, Francia inclusa, hanno pubblicamente dichiarato non sicuro il sistema di emergenza dell’EPR lo scorso ottobre).

Si tratta di un decreto che, in assenza di un piano con dati certi e non propagandistici, può far aumentare il senso di demotivazione della maggioranza degli italiani. Di quell’altra Italia che, invece, spesso in un totale silenzio mediatico (a differenza del clamore mediatico pro-atomo) ha detto sì al cambiamento nel settore energetico investendo, in linea con gli altri paesi industrializzati come la Germania, risorse e intelligenze verso il risparmio e una maggiore efficienza energetica e verso le fonti rinnovabili di energia.

La novità del 2009 è stato il salto impressionante della crescita degli impianti di fonti rinnovabili installati in Italia. Sono 5.991 i Comuni dove è in funzione almeno un impianto, erano 3.190 solo un anno prima, nel 2008; in pratica le fonti pulite che fino al 1998 interessavano con l’idroelettrico e la geotermia una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nel 79% dei Comuni. Un’ottima notizia che arriva dalla quarta edizione del rapporto “Comuni rinnovabili 2009” di Legambiente, che elabora i dati ottenuti attraverso un questionario rivolto ai Comuni, incrociando le risposte con studi e rapporti di Gse, Enea, Fiper, Anev oltre che di Regioni, Enti locali e aziende. La crescita interessa tutte le fonti: solare fotovoltaico, solare termico, mini idroelettrico, geotermia, impianti da biomasse magari collegati a reti di teleriscaldamento.

Il Belpaese, insomma, è pieno di buone pratiche replicabili che mostrano la ricetta per un futuro più pulito, sostenibile, «capace di far risparmiare soldi alle famiglie e alle amministrazioni che sappiano investire in innovazione», spiega il rapporto di Legambiente curato dal responsabile del settore Energie Edoardo Zanchini, «aumentando significativamente i livelli di comfort abitativi e qualità della vita».

Questi Comuni stanno dando forma a un nuovo modello di generazione distribuita che cambia profondamente il modo di guardare all’energia e al rapporto con il territorio. È un’Italia dove operano, giorno dopo giorno, tanti amministratori e professionisti, tanti artigiani e tecnici, tante piccole e medie imprese come quelle che ho incontrato nell’ultimo anno e che si vede sfilare nelle fiere come le recenti ‘Made’ di Milano e ‘CasaClima’ di Bolzano: tanti italiani che si occupano di progettare, dirigere, costruire, collaudare in quella nascente “economia verde” (uno dei pochi settori che sta vedendo crescere fatturati e lavoratori, quasi tutti di quel “popolo a partita Iva” che generalmente vota centrodestra). Essi hanno avuto e avranno un ruolo di straordinaria importanza nell’evoluzione del risparmio energetico e delle fonti di energia rinnovabile.

Senza una consapevolezza dell’opinione pubblica, da una parte l’inerzia, la disinformazione e i soliti affari continueranno a dominare le scelte e le decisioni nei palazzi del potere, che punteranno sulla vaghezza del piano nucleare per imporlo a un paese che in maggioranza non lo vuole. Dall’altra parte, però, senza un incoraggiamento che premi l’esperienza dei Comuni virtuosi, i risultati dell’operato di questi amministratori ed esperti, scienziati e professionisti che hanno puntato sulle energie giuste, sarebbero inferiori alle potenzialità. Per questo è da auspicare che ognuno di noi possa trovare il tempo per mandare un “bravo” a chi è impegnato, grazie all’energia più pulita, a far respirare aria più buona ai cittadini e a farli risparmiare sulla bolletta.

Sarebbe bello che ci si segni sull’agenda di andare a trovare questi Comuni virtuosi, dal paese pioniere di Varese Ligure all’aostana La Thuile, dal blocco dei Comuni altoatesini (Dobbiaco e Vipiteno, Brunico e Prato allo Stelvio in testa) fino al borgo toscano di Scansano e giù in Salento e al suo capoluogo Lecce, sempre più caratterizzato da un ricamo di pietre e di energie. I nomi di tutti questi Comuni virtuosi sono sui siti www.fonti-rinnovabili.it oppure www.legambiente.it. Vale la pena di andare a ricaricare le energie in città che all’energia sostenibile dedicano intelligenza e risorse. Buon viaggio!

Salvatore Giannella, giornalista professionista dal 1974, è nato in Puglia nel 1949. Vive e lavora a Milano dal 1975. Studi classici, laurea in lettere moderne. È sposato, ha due figli e due nipoti. Diventa pubblicista collaborando con il settimanale «Oggi». Dopo aver partecipato a Genova all’esperimento di un giornale in cooperativa, «Il lunedì», nel 1975 è chiamato all’«Europeo» da Tommaso Giglio, e diventa direttore del settimanale dieci anni dopo, dopo la pausa di un anno (1984) nella direzione di "Genius", il mensile scientifico dell'Espresso. Nel 1986 viene scelto da Giorgio Mondadori per dirigere «Airone», il primo e più diffuso mensile di natura e civiltà. Lascia «Airone» nel 1994 e crea l’Editoriale Delfi, struttura specializzata in progetti ed eventi, servizi e realizzazioni per l’editoria e per l’economia dei turismi. Nel 1999 scrive il libro "L’Arca dell’Arte", in collaborazione con lo storico pesarese Pier Damiano Mandelli, per raccontare la storia del soprintendente delle Marche che, nel corso della seconda guerra mondiale, diede rifugio e salvezza nel Montefeltro a migliaia di opere d’arte. Allo stesso argomento dedica la sceneggiatura del film-documentario per Rai Educational "La lista di Pasquale Rotondi" che vince il premio della Presidenza della Repubblica all’Art Doc Film Festival di Roma 2005, come «miglior film dedicato all’arte italiana». Per la stessa Rai Educational scrive la sceneggiatura del film "Odissea negli abissi" dedicato a Vassilj Arkhipov, il capitano della marina sovietica che durante la crisi dei missili a Cuba con il suo NO al lancio di un missile atomico dal sottomarino assediato evitò lo scoppio della terza guerra mondiale. Dal 1997 è tra le principali firme di «Oggi» (Gruppo Rizzoli - Corriere della Sera) per i temi della cultura e delle scienze. Tra i riconoscimenti ricevuti, il premio Zanotti Bianco (1978) e, dieci anni dopo, il premio dei Club Unesco. Nel 2007 ha ricevuto a Rimini la medaglia d’oro del comitato scientifico internazionale del Centro Pio Manzù, presieduto da Mikhail Gorbaciov, «per aver alimentato la mente degli italiani chiarendo preoccupazioni, scovando personaggi e scavando nella storia e nelle storie, creando sostegni con racconti carichi di realtà e di favola». Paulo Coelho lo ha salutato come «cronista della luce». Ama Italo Calvino dal quale ha raccolto l’invito a illuminare «personaggi e mondi che tenebre non sono e a dar loro forza». Nel 2008 esce da Chiarelettere (www.chiarelettere.it) "Voglia di cambiare", il diario di viaggio nell'Europa eccellente che ha risolto problemi che i nostri politici non risolvono da decenni. Nel 2009 ha pubblicato, per Allemandi editore, “I Nicola”, storie straordinarie di restauri d’arte nella storia di una famiglia che, oltre a dare lavoro a metà del paese in cui opera (Aramengo, tra Torino e Asti) ha il merito di aver cancellato la triste fama di quel borgo dove i severi giudici sabaudi spedivano al confino i falliti (da qui la dizione popolare “andare a ramengo”, cioè fallire, andare in malora). Oggi ad Aramengo vanno i capolavori dell’arte, da Giotto a Picasso, per ritrovare colori e salute. È in uscita per metà marzo un libro antologico da lui curato per festeggiare i 90 anni del grande poeta e sceneggiatore Tonino Guerra: "La valle del Kamasutra" (Bompiani).

15/09/09

Tranquilli, ci pensa Scajola, col nucleare pulito!

di Guglielmo Ragozzino
NUCLEARE
E Scajola da Bari insiste sul futuro atomico dell'Italia
Le scorie nucleari delle centrali atomiche narrate dal ministro Claudio Scajola, a Bari, durante l'inaugurazione della 73ma Fiera del Levante dove finiranno? Quanti navigli sarà necessario affondare per farle sparire, secondo l'uso nazionale, nei fondali italiani? Chissà se il mare di Bari sarà ritenuto degno di nota da parte degli specialisti nel disbrigo di scorie pericolose che in un nebuloso futuro, tra una trentina di anni, saranno incaricati della bisogna?
Imperterrito, Scajola, il ministro delle attività produttive, ha fatto il panegirico del nucleare all'italiana, assicurando i presenti e gli amici della Confindustria che tutto è in marcia, secondo le intenzioni del presidente del Consiglio, oggi assente giustificato. A ben vedere, il ministro non ha detto molto. Certo ha definito il referendum del 1987 che pose fine al nucleare in Italia, «scelta scellerata». Si è mai chiesto il ministro dove saremmo con il nucleare in funzione? Per ritornare al motivo di esordio: quante navi di scorie radioattive sarebbero state affondate lungo le coste italiane? Ora il ministro afferma che se ci fosse modo sarebbe ben lieto di averne una centrale sotto casa, nel Ponente ligure. Peccato che il Ponente non abbia spazio, così stetto tra mare e montagna per via della georgrafia «scellerata», per usare la sua parola. «Se no andrei a fare i comizi».
Nei giorni scorsi si sono fatti alcuni nomi di località possibili per eventuali centrali atomiche. L'onorevole Ileana Argentin, candidata alla segreteria regionale del partito democratico per la mozione Marino, ha ripetuto l'elenco di dieci siti, compreso Montalto di Castro e ha chiesto al presidente del Lazio di convocare un consiglio regionale straordinario e votare una «ferma opposizione a questa ipotesi». Scajola assicura che non c'è niente di deciso e gli allarmismi sono fuori luogo. E così il ministro fa affermazioni al tempo stesso preoccupanti e poco veritiere.
Prima di tutto, i tempi sono molto stretti. A fine mese scade il termine delle regioni per intervenire in ordine alla legge nucleare che è di fine luglio. Dopo, è fatta. Le Regioni non si sono ancora fatte sentire su questo punto. Dopo le ferie, il letargo. Le orgnizzazioni ambientaliste hanno l'intenzione di scuotere tale letargo. Inoltre il fatto che non ci sia nulla di deciso corrisponde all'intenzione di mettere le Regioni fuori gioco e inoltre di non perdere voti locali prima del voto di marzo per le regionali.
Ma vi sono altri due aspetti su cui riflettere. Scajola dice: «Stiamo parlando di un gruppo di dodici reattori raggruppabili in tre-quattro centrali». Un luogo con quattro centrali da 1.600 mw, oltre che far venire in mente, con un brivido, Cernobil o la gigantesca centrale nucleare giapponese di Kashiwazaki-Kariwa, spesso chiusa per incendi, fughe di gas, terremoti, ricorda anche Montalto di Castro. Il ministro pensa di installarvi tre o quattro reattori, visto che lo spazio c'è? Infine. Che non vi sia progetto, nel senso di qualcosa di ragionevole e studiato approfonditamente è vero. Qualche volta anche Scajola dice la verità. Ma questo non può che dare più preoccupazioni su quello che fa (o non fa) l'Enel che non sembra avere programmi, idee, tecnici per un'avventura tanto ardua.

MENTRE.....INVECE, ANCHE e NON SOLO!!!
di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)
LA SCOPERTA
Un fantasma che riemerge dal passato
Erano voci, quasi leggende, o fantasmi, come ha raccontato al manifesto il Procuratore di Paola Bruno Giordano, che da cinque mesi si era messo con ostinazione alla caccia della nave fantasma, della prima nave dei veleni ritrovata. Poi, piano piano, le ombre che i sonar della Copernaut Franca - la nave messa a disposizione dall'assessore all'ambiente Silvestro Greco - hanno preso una forma, divenendo sempre più definite, contornate. I primi dati arrivati sul tavolo della Procura riguardavano le misure, enormi: 110-120 metri di lunghezza per 20 metri di larghezza. Dati che, insieme alla posizione del relitto, confermavano il racconto fatto da Francesco Fonti, il pentito di 'ndrangheta che nel 2006 aveva confessato di aver fatto parte di una organizzazione pagata per far saltare in aria e inabissare ben tre navi con scorie tossiche e radioattive. Poi nel primo pomeriggio di ieri dal ponte della Copernaut Franca è partito il segnale, la comunicazione che il robot Rav aveva filmato un lungo scafo di una nave mercantile, con un largo squarcio a prua e un oggetto - che sembra un bidone - schiacciato sul fianco. Il procuratore Bruno Giordano era quasi emozionato al telefono. Non ama i teoremi e ne fa un vanto investigativo. Tanti anni di Dda e inchieste sui peggiori omicidi di 'ndrangheta hanno rafforzato il suo piglio di giudice con i piedi per terra, concreto, abituato a parlare solo sui fatti incontrovertibili. Ed era quella immagine, quel filmato che aspettava per avere la certezza definitiva di aver colto il bersaglio.
La conferma ufficiale del ritrovamento del relitto riapre la pagina più oscura del traffico di veleni che l'Italia ha esportato, nascosto, interrato e inabissato per almeno un decennio. I tanti depistaggi, le morti di giornalisti, come Ilaria Alpi - che in Somalia inseguiva i fantasmi dei traffici di armi e rifiuti - e di investigatori, come il capitano di corvetta Natale De Grazia - che pagò con una morte mai spiegata la sua ostinata ricerca della verità - non sono alla fine riusciti a nascondere il corpo del delitto, lo scafo di una delle navi dei veleni.
Ora rimane da stabilire con certezza il nome della nave, il carico, l'armatore e chi organizzò quell'ultimo viaggio. Il primo dato certo è che il naufragio non esiste sui registri delle Capitanerie di porto. Per lo stato al largo di Cetraro non è mai affondato alcun vascello mercantile. E come nei migliori gialli gli investigatori dovranno dare ora un nome al cadavere. Il punto di partenza per riaprire e analizzare diciassette anni di fascicoli archiviati è la dichiarazione del pentito Francesco Fonti. Fu lui per primo - ascoltato dalla Dda calabrese nel 2006 - a raccontare di tre navi che la 'ndrangheta ha fatto affondare nelle acque calabresi. Una di queste era «la Cunski, che si spostò in acque internazionali - ricorda Fonti - in corrispondenza di Cetraro». Ovvero nel luogo dove il Rav calato dalla nave Copernaut Franca ha filmato il relitto.
Riscontri nel registro navale
Fino ad oggi il racconto del collaboratore di giustizia era stato ritenuto inaffidabile. Ma gli elementi di riscontro che il manifesto è in oggi in grado di ricostruire sono tanti. La Cunski era una nave da cargo registrata nel 1956, con bandiera britannica. Da allora ha cambiato nome quattro volte: è uscita dai cantieri come Lottinge, nel 1974 diventa Samantha M., nel 1975 Cunski e poco prima di affondare - nel 1991 - viene rinominata Shahinaz.
Sul registro navale la "Lottinge-Samantha-Cunski-Shahinaz" risulta rottamata sulla spiaggia di Alang, in India, nel distretto di Bhavnagar, il 23 gennaio del 1992. Il luogo indicato come destinazione finale è particolare. Alang è un gigantesco cimitero di navi cargo, dove centinaia di uomini, donne e bambini smontano con mezzi di fortuna i relitti portati qui dagli armatori. Impossibile, cioè, avere un riscontro certo dell'avvenuto smantellamento, a parte i supporti solo cartacei.
I dati della Cunski - presenti sul registro navale - sono incredibilmente corrispondenti con il profilo disegnato dal sonar. La lunghezza della nave è di 116,3 metri, misura compatibile con il dato raccolto di 110-120 metri. Ed anche la data della presunta rottamazione - gennaio del 1992 - combacia con il racconto del collaboratore, almeno nel caso della Cunski.
La storia delle navi dei veleni era iniziata ad essere conosciuta - e denunciata - tra il 1987 e il 1988. In quegli anni diverse navi partivano dai porti italiani dirette verso le coste africane e latino-americane. È il caso della Lynx, che venne respinta dal governo venezuelano dopo la verifica del carico. Ed è il caso delle navi affondate nella costa calabrese.
La via libanese
Nel 1988 in Libano le autorità ricevono una denuncia di un enorme carico di rifiuti tossici venuti dall'Italia un anno prima. Fu considerato il principale scandalo ambientale degli anni '80, tanto da servire come stimolo per la definizione della convenzione di Basilea del 1989 che proibisce l'esportazione incontrollata dei rifiuti. Il carico, che era stato organizzato dalla società di Opera, vicino Milano, Jelly Wax, diretta da Giorgio Pent era composto - secondo un report di Greenpeace dell'11 maggio 1995 - da 15.800 barili e 20 container, con pesticidi, esplosivi, solventi, farmaci scaduti e metalli pesanti. La Jelly Wax era una vera esperta in questo tipo di affari ed aveva organizzato nello stesso anno il viaggio della Lynx, facendo da intermediario con decine di industrie chimiche del nord Italia. Un modo per ridurre oltremodo i costi di smaltimento, spedendo carichi pericolosi verso paesi che si pensava li accettassero senza andare per il sottile.
L'operazione libanese del 1988 in realtà non andò in porto. Il governo italiano venne chiamato dalle autorità locali e di fatto costretto a riprendersi il carico indesiderato. Il 23 agosto arriva a Beirut una delegazione di esperti, guidata da Cesarina Ferruzzi - rappresentante all'epoca della società Mont.eco del gruppo Montedison, ed oggi presidente della Anida, associazione di Confindustria delle imprese di servizi ambientali - per organizzare il viaggio di ritorno delle scorie portate in Libano. Dopo pochi giorni attracca nel porto di Beirut «il mercantile jugoslavo Cunski - raccontò ai giornalisti Cesarina Ferruzzi - con a bordo materiali e attrezzature per la bonifica». Fu dunque la Cunski una delle navi coinvolte nel recupero delle scorie.
Nel recupero, però, risultarono coinvolte anche altre navi, secondo gli studi effettuati da Greenpeace: la Jolly Rosso - poi arenatasi al largo di Amantea - e le altre due navi citate dal collaboratore Francesco Fonti, la Voriais Sporadais e la Yvonne.
Le accuse di Greenpeace vennero smentite dal governo italiano nel 1995. Per l'allora ambasciatore italiano Carlo Calia, l'unica nave coinvolta era la Jolly Rosso. Ma sembrano oggi esistere altri indizi che rafforzerebbero l'ipotesi del coinvolgimento delle altre navi. Un documento dell'assemblea generale delle Nazioni unite del 18 luglio 1989 riporta, ad esempio, una denuncia venuta dalle autorità egiziane sull'affondamento della nave "Yvon" nel mediterraneo, dopo aver lasciato il porto libanese con un carico di rifiuti. Lo stesso coinvolgimento della Cunski nell'operazione di bonifica era stato affermato - come già detto - dagli esperti italiani giunti a Beirut nell'agosto del 1988.
Anni di depistaggi
È difficile dunque oggi ricostruire con assoluta certezza quello che è stato un vero e proprio giallo internazionale, che ha coinvolto il nostro paese per un intero decennio. L'Italia venne additata dalle organizzazioni ecologiste - come il Wwf e Greenpeace - come un paese canaglia dal punto di vista ambientale.
L'anno della svolta fu probabilmente il 1989, quando venne firmato l'accordo per bloccare i trasporti internazionali di rifiuti. Probabilmente la via degli affondamenti delle navi nel mediterraneo - per poter occultare le scorie tossiche e radioattive - si aprì dopo questo accordo, che rendeva difficile e rischioso lo sbarco dei rifiuti nei paesi africani. L'organizzazione delle navi a perdere, l'occultamento del carico - magari falsificando le carte di bordo - la manomissione dei registri navali per nascondere gli affondamenti e la fitta attività di disinformazione e di depistaggio dovevano avere necessariamente l'appoggio di una rete di complicità di alto livello.
[fonte: IL MANIFESTO del 13/09/09]

08/04/09

Altro terremoto, altro scandalo...

Forse i terremoti non sono prevedibili, ma i furti, gli inganni e lo sfruttamento dei disastri ecologici o naturali, quelli si.
Ora potete guardare bene la mappa di pericolosità sismica nella nostra bell'Italia, guardatela bene (ingranditela) e poi intraprendete un viaggio di meditazione su quel che ci viene detto, promesso, garantito dai nostri politici, ma prima vi voglio ricordare la cronologia storica delle tragedie sismiche che ha stravolto la vita di molti in Italia:

Lista di terremoti italiani


puoi leggere anche qui

fatto?
bene, ora provate a pensare a:
  • progetto della costruzione del ponte ad arcata unica sullo stretto di Messina
  • progetto per la costruzione delle centrali nucleari
  • il decreto legge che ridisegna le regole dell'edilizia privata
  • ..e alla PREVENZIONE PORCA PUTTANA!!!



Grazie Beppe!

Vi consiglio di guardare anche:
  1. Abruzzo: mancato allarme e tragedia - Marco Travaglio

  2. Beppe Grillo al Parlamento Europeo (1 aprile 2009)

  3. CENSURATO DALLE TV ITALIANE!GUARDALO TUTTO,ILLUMINANTE!1/5

Non si può continuare a rimandare, nemmeno delegare ai soliti politici
la programmazione del nostro futuro.

18/03/09

Né petrolio né carbone soltanto il sole può darci energia!

Sì al nucleare innovativo con piccole centrali senza uranio Ma non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie
Rubbia: "Né petrolio né carbone soltanto il sole può darci energia"
di GIOVANNI VALENTINI

GINEVRA - Petrolio alle stelle? Voglia di nucleare? Ritorno al carbone? Fonti rinnovabili? Andiamo a lezione di Energia da un docente d'eccezione come Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica: a Ginevra, dove ha sede il Cern, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Qui, a cavallo della frontiera franco-svizzera, nel più grande laboratorio del mondo, il professore s'è ritirato a studiare e lavorare, dopo l'indegna estromissione dalla presidenza dell'Enea, il nostro ente nazionale per l'energia avviluppato dalle pastoie della burocrazia e della politica romana.

Da qualche mese, Rubbia è stato nominato presidente di una task-force per la promozione e la diffusione delle nuove fonti rinnovabili, "con particolare riferimento - come si legge nel decreto del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio - al solare termodinamico a concentrazione". Un progetto affascinante, a cui il premio Nobel si è dedicato intensamente in questi ultimi anni, che si richiama agli specchi ustori di Archimede per catturare l'energia infinita del sole, come lo specchio concavo usato tuttora per accendere la fiaccola olimpica. E proprio mentre parliamo, arriva da Roma la notizia che il governo uscente, su iniziativa dello stesso ministro dell'Ambiente e d'intesa con quello dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, ha approvato in extremis un piano nazionale per avviare anche in Italia questa rivoluzione energetica.

Prima di rispondere alle domande dell'intervistatore, da buon maestro Rubbia inizia la sua lezione con un prologo introduttivo. E mette subito le carte in tavola, con tanto di dati, grafici e tabelle.

Il primo documento che il professore squaderna preoccupato sul tavolo è un rapporto dell'Energy Watch Group, istituito da un gruppo di parlamentari tedeschi con la partecipazione di scienziati ed economisti, come osservatori indipendenti. Contiene un confronto impietoso con le previsioni elaborate finora dagli esperti della IEA, l'Agenzia internazionale per l'energia. Un "outlook", come si dice in gergo, sull'andamento del prezzo del petrolio e sulla produzione di energia a livello mondiale. Balzano agli occhi i clamorosi scostamenti tra ciò che era stato previsto e la realtà.

Dalla fine degli anni Novanta a oggi, la forbice tra l'outlook della IEA e l'effettiva dinamica del prezzo del petrolio è andata sempre più allargandosi, nonostante tutte le correzioni apportate dall'Agenzia nel corso del tempo. In pratica, dal 2000 in poi, l'oro nero s'è impennato fino a sfondare la quota di cento dollari al barile, mentre sulla carta le previsioni al 2030 continuavano imperterrite a salire progressivamente di circa dieci dollari di anno in anno. "Il messaggio dell'Agenzia - si legge a pagina 71 del rapporto tedesco - lancia un falso segnale agli uomini politici, all'industria e ai consumatori, senza dimenticare i mass media".

Analogo discorso per la produzione mondiale di petrolio. Mentre la IEA prevede che questa possa continuare a crescere da qui al 2025, lo scenario dell'Energy Watch Group annuncia invece un calo in tutte le aree del pianeta: in totale, 40 milioni di barili contro i 120 pronosticati dall'Agenzia. E anche qui, "i risultati per lo scenario peggiore - scrivono i tedeschi - sono molto vicini ai risultati dell'EWG: al momento, guardando allo sviluppo attuale, sembra che questi siano i più realistici". C'è stata, insomma, una ingannevole sottovalutazione dell'andamento del prezzo e c'è una sopravvalutazione altrettanto insidiosa della capacità produttiva.

Passiamo all'uranio, il combustibile per l'energia nucleare. In un altro studio specifico elaborato dall'Energy Watch Group, si documenta che fino all'epoca della "guerra fredda" la domanda e la produzione sono salite in parallelo, per effetto delle riserve accumulate a scopi militari. Dal '90 in poi, invece, la domanda ha continuato a crescere mentre ora la produzione tende a calare per mancanza di materia prima. Anche in questo caso, come dimostra un grafico riassuntivo, le previsioni della IEA sulla produzione di energia nucleare si sono fortemente discostate dalla realtà.

Che cosa significa tutto questo, professor Rubbia? Qual è, dunque, la sua visione sul futuro dell'energia?
"Significa che non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l'uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto anche l'oro, il platino o il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra".

Eppure, dagli Stati Uniti all'Europa e ancora più nei Paesi emergenti, c'è una gran voglia di nucleare. Anzi, una corsa al nucleare. Secondo lei, sbagliano tutti?
"Sa quando è stato costruito l'ultimo reattore in America? Nel 1979, trent'anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l'arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l'uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie".

Ma non si parla ormai di "nucleare sicuro"? Quale è la sua opinione in proposito?
"Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo".

In che cosa consiste?
"Nella possibilità di usare il torio, un elemento largamente disponibile in natura, per alimentare un amplificatore nucleare. Si tratta di un acceleratore, un reattore non critico, che non provoca cioè reazioni a catena. Non produce plutonio. E dal torio, le assicuro, non si tira fuori una bomba. In questo modo, si taglia definitivamente il cordone fra il nucleare militare e quello civile".

Lei sarebbe in grado di progettare un impianto di questo tipo?
"E' già stato fatto e la tecnologia sperimentata con successo su piccola scala. Un prototipo da 500 milioni di euro servirebbe per bruciare le scorie nucleari ad alta attività del nostro Paese, producendo allo stesso tempo una discreta quantità di energia".

Ora c'è anche il cosiddetto "carbone pulito". La Gran Bretagna di Gordon Brown ha riaperto le sue miniere e negli Usa anche Hillary Clinton s'è detta favorevole...
"Questo mi ricorda la storia della botte piena e della moglie ubriaca. Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la salute dell'umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo l'anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro i 22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico, disastroso".

E allora, professor Rubbia, escluso il petrolio, escluso l'uranio ed escluso il carbone, quale può essere a suo avviso l'alternativa?
"Guardi questa foto: è un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200 milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità".

Ma noi, in Italia e in Europa, non abbiamo i deserti...
"E che vuol dire? Noi possiamo sviluppare la tecnologia e costruire impianti di questo genere nelle nostre regioni meridionali o magari in Africa, per trasportare poi l'energia nel nostro Paese. Anche gli antichi romani dicevano che l'uva arrivava da Cartagine. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l'energia necessaria all'intero pianeta. E un'area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1 per cento delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità un terzo dell'Italia, un'area equivalente a 15 centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma".

Il sole, però, non c'è sempre e invece l'energia occorre di giorno e di notte, d'estate e d'inverno.
"D'accordo. E infatti, i nuovi impianti solari termodinamici a concentrazione catturano l'energia e la trattengono in speciali contenitori fino a quando serve. Poi, attraverso uno scambiatore di calore, si produce il vapore che muove le turbine. Né più né meno come una diga che, negli impianti idroelettrici, ferma l'acqua e al momento opportuno la rilascia per alimentare la corrente".

Se è così semplice, perché allora non si fa?
"Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo noi, molto presto lo faranno gli americani, com'è accaduto del resto per il computer vent'anni fa".

(30 marzo 2008)



03/03/09

Il nucleare non passerà: parola di Beppe

Il nucleare non passerà. La linea del Piave sarà la conoscenza dei cittadini. Infatti, chi conosce il nucleare, i suoi costi, i suoi effetti, gli enormi rischi, lo evita e manda a fanculo chi lo promuove. Il blog ha intervistato alcuni dei più importanti esperti di energia del mondo sul nucleare e sulle energie alternative. Le loro testimonianze saranno raccolte in un dvd dal titolo "No Nuke" disponibile in maggio.
Perchè lo psiconuke vuole il nucleare? Perchè lo vuole "presto" la Marcegaglia degli inceneritori? E' una questione di soldi, dei nostri soldi, delle notre tasse. L'industria del nucleare, in abbandono in tutto il mondo, ha bisogno di enormi investimenti, di aiuti permanenti da parte dello Stato. E' una grande torta che fa impallidire la tassa sulla bolletta dell'energia elettrica usata per gli inceneritori. Se il CIP6 ha succhiato miliardi dalle rinnovabili per darli agli industriali e ai petrolieri, il nucleare regalerà decine di miliardi di euro alla Confindustria e a messieur Sarkozy. L'industria nucleare francese ha bisogno di esportare le sue tecnologie per sopravvivere.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

Lester Brown, da "No Nuke".
"La prima cosa che guardiamo all' Earth Policy Institute dove studiamo diverse forme di energia alternativa è il calcolo economico... La gente chiede: dovremmo convertirci al nucleare, o tornare al nucleare? Credo che negli Stati Uniti nessuno comperi più un reattore nucleare da 29 anni ormai... il costo delle tariffe elettriche di una centrale nucleare dovrebbe comprendere i costi per lo smaltimento delle scorie, il costo di un'assicurazione contro incidenti nucleari, il costo di costruzione e di smantellamento dell'impianto. Negli Stati Uniti abbiamo scoperto che il costo di smantellamento di una centrale è superore al costo di costruzione. Quando consideriamo la totalità dei costi, una centrale nucleare non esce nemmeno dalla scatola di montaggio: semplicemente non è competitiva... Negli Stati Uniti abbiamo 103 centrali nucleari, tutte vecchie di almeno trent'anni. Non esiste ancora una struttura di stoccaggio dei rifiuti permanente. Ma abbiamo investito 90 miliardi di dollari nello sviluppo di una struttura sotto lo Yucca, in Nevada... E' un investimento di un miliardo di dollari a centrale, è straordinariamente costoso... Quello che cercano di fare gli operatori è scaricare i costi sui governi e quindi sulle tasse dei contrbuenti. Perchè sanno che se dovessero inserire i costi nelle bollette dell'elettricità, i consumatori non lo accetterebbero..."

02/03/09

Sei proprio sicuro di volere nuove centrali nucleari?

Roma, Italia "Il nucleare è una fonte costosa, rischiosa e basata su una risorsa, l'uranio, molto limitata. Una scelta scellerata che serve solo a pochi interessi di un settore che il mercato ha già bocciato". Così il direttore di Greenpeace Italia ha commentato l'accordo tra Francia e Italia sul nucleare. Un accordo a tutto vantaggio di Sarkozy, che sta cercando di tenere in piedi l'industria nucleare francese. All'Italia, invece, non offre nessuna garanzia di maggiore indipendenza energetica – tecnologia e combustibile arrivano dall'estero – ed è anzi contro gli obiettivi europei di breve termine.

Il Governo continua, infatti, a parlare di nucleare, mentre ha appena firmato accordi europei vincolanti per giungere a una quota del 35 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili al 2020. Il nucleare sottrarrà risorse allo sviluppo delle rinnovabili, oggi ferme al 16 per cento, e il risultato potrebbe essere una nuova procedura d'infrazione davanti alla corte Europea.

Il nucleare non ha risolto nessuno dei suoi problemi, da quello delle scorie alla sicurezza intrinseca alla proliferazione nucleare. Anche raddoppiando l'attuale numero di reattori - cosa che accelererebbe l'esaurimento delle risorse accertate di Uranio che, ai livelli attuali, non superano i cinquant'anni - il contributo del nucleare alla riduzione delle emissioni sarebbe marginale, non oltre il cinque per cento. Con gli stessi investimenti in maggiore efficienza energetica negli usi finali l'effetto di riduzione delle emissioni sarebbe fino a sette volte superiore.

La lobby nucleare cerca di evitare una crisi legata alla marginalizzazione di questa tecnologia che, nei mercati liberalizzati, come in USA, è sostanzialmente ferma da 30 anni. Gli unici investimenti effettuati, infatti, hanno riguardato il ripotenziamento e la manutenzione dei vecchi impianti.

Per la tecnologia francese EPR, esistono solo due cantieri: uno in Finlandia e uno in Francia, nessun impianto è già in funzione. In Finlandia i costi effettivi a metà della costruzione hanno già superato del 50 per cento il budget. L'autorità di sicurezza nucleare finlandese ha riscontrato 2100 non conformità nel corso della costruzione.

Il Presidente Sarkozy, in assenza di nuovi ordinativi, ha annunciato che la Francia, cioè lo stato, chiederà ad AREVA – società quasi interamente pubblica – di costruire un secondo reattore EPR in Francia. Un'implicita dimostrazione che nucleare e mercato non sono compatibili: a ordinare reattori dovrebbe essere un'azienda non lo stato.

La seconda battaglia contro il NUCLEARE

CultCorner.info condivide e si associa alla SECONDA BATTAGLIA CONTRO IL NUCLEARE: a seguire tutti i contatti e le informazioni e tutto quel che ti serve per spiegare perchè siamo CONTRO: [ fonte: www.jacopofo.com ]

Lanciamo una campagna contro il nucleare in Italia!
Non lasciarti travolgere dalla fessacchiaggine.
Questi sono pericolosi veramente.
Ed è anche una battaglia divertente perchè questa la vinciamo di sicuro.
Abbiamo dalla nostra parte il 70% degli italiani. Voglio poi ridere quando dovranno annunciare DOVE le voglio fare sté quattro centrali francesi che Berlusconi ha fatto l'accordo con Sarkozy e l'Enel.
Alla fine non se ne farà niente e saranno solo soldi buttati.

4 centrali nucleari in Italia. Ma sono francesi...

E ora voglio ridere quando si scopre dove dovranno essere costruite queste 4 centrali.... Le vuoi vicine a casa tua? Ma sono di nuovo tipo... Non ti devi preoccupare... Non ti fidi di Sarkozy?

Berlusconi ha firmato un accordo con Sarkozy per 4 centrali nucleari francesi costruite in Italia. Una follia in collaborazione con Enel.
Saranno pronte fra 20 anni. La crisi energetica sta già scoppiando (solo la crisi economica ci sta dando una boccata d'aria. Non ci serve energia fra 20 anni, Ci serve ora.
Qui di seguito pubblico due approfondimenti sul nucleare con una serie di notizie che i media si guardano bene dal diffondere.
Si tratta di un grande lavoro di ricerca per il quale devo ringraziare Laura Maluccelli, grande amica e straordinaria ricercatrice.
Leggi solo se hai voglia di farti rizzare i capelli in testa.
La storia del nucleare e 100 volte più folle di quel che credi. [fonte]

E DOVE LE FANNO STE' CENTRALI NUCLEARI?
ECCO DOVE LE FANNO!

(ripubblico l'articolo sullo studio lanciato mesi fa da Roggiolani, i disegni sono relativi a quella campagna, clicca per ingrandirli)

Ma gll’italiani sono lenti e aspetteranno per incazzarsi quando vedranno muoversi la macchina nucleare sotto casa loro. Basta un solo discorso per dire quanto progetto questo sia folle. I dati ce li dà Repubblica di qualche giorno fa, in un articolo che finge di essere imparziale e ci presenta il piano della Edison per 5-10 centrali nucleari sparse per il paese. Una vera follia. Vediamo perché. Innanzi tutto se si partisse immediatamente a costruirle entrerebbero in funzione (secondo i tecnici Edison) nel 2019. Se ciò si avverasse sarebbe la prima volta in Italia che un’opera viene realizzata nel tempo previsto. Ma poniamo pure che ci riescano sarebbe una realizzazione tardiva visto che la crisi energetica e gli alti costi del petrolio stroncheranno l’economia italiana entro 5 anni se non si troveranno delle soluzioni. Ma al di là di questo, la spesa prevista da Edison per 10 centrali è di 40 miliardi di euro (ottantamila miliardi di lire) con un costo di 2 mila euro a kilowat. Ma con 2 mila euro a kilowatt posso installare le turbine a acqua di nuova generazione che lavorano spinte dalla alta e dalla bassa marea o dalla corrente dei fiumi. Cioè non hanno bisogno di cascate. Ogni singola turbina produce 1 kilowatt di potenza e ha un diametro di 120 centimetri. Quindi è piccola e può essere installata sul fondo di un corso d’acqua senza interferire con la navigazione. E queste turbine potremmo iniziare a installarle da domani mattina e si ripagherebbero con l’energia prodotta prima che le centrali nucleari possano entrare in funzione. Ma l’articolo di Repubblica ci informa anche che Moody’s, la nota agenzia di rating (cioè quelli che valutano l’affidabilità di un investimento) ha stimato che il prezzo reale di una centrale nucleare arriverebbe a 4 mila euro per ogni kilowatt di potenza, mentre il prezzo attuale di un kilowatt prodotto con l’eolico è intorno ai 3 mila euro. Inoltre bisognerebbe calcolare che nei prossimi anni i prezzi di idrico e eolico continueranno a calare grazie alla massificazione dei sistemi di produzione e alle nuove tecnologie che stanno per arrivare sul mercato. E si calcola che tra 3-4 anni il solare dovrebbe diventare conveniente rispetto al nucleare anche senza finanziamenti pubblici. Infine nel costo del nucleare non è conteggiata la spesa per stoccare per decine di millenni le scorie radioattive che in mano dei terroristi si trasformerebbero in bombe atomiche sporche (composte da esplosivo convenzionale e scorie che vengono sparse nell’atmosfera dalla deflagrazione). Infine, se ci fossero ancora dubbi potremmo aggiungere che l’uranio, che alimeta le centrali nucleari, è agli sgoccioli: nei prossimi anni sarà sempre più raro e più caro. In sintesi oggi costruire centrali nucleari è pericoloso, stupido e soprattutto anti economico. Sinceramente non credo che alla fine riusciranno a farle. Credo però che riusciranno a spendere un mare di soldi nel tentativo di farlo. [fonte]

Vedi qui altre info sulla localizzazione delle centrali. (con mappe e spiegazione dei criteri utilizzati per individuare i possibili siti che Berlusconi sceglierà.

TUTTI I PROBLEMI DEL NUCLEARE:
PERCHE' E' UNA FOLLIA.
(Da "salvare l'ambiente conviene!" Edizioni Nuovi Mondi Media-jacopo fo)

E CI RIPARLANO DI NUCLEARE...
Sono trascorsi oltre 20 anni dal referendum
che, nel 1987, bocciò l’uso del nucleare in Italia.
Nonostante gli anni, le ragioni sollevate dal NO
risultano ancora assai attuali: lo smaltimento
delle scorie, la scarsa quantità di uranio disponibile,
la pericolosità dimostrata da molteplici avvenimenti,
gli astronomici costi che comporta...
I problemi sono rimasti, nessuno è stato risolto.
Ciononostante, nel periodo 1992-2005, dei fondi
per la ricerca e lo sviluppo, l’11% è stato destinato
alle fonti rinnovabili nel loro insieme mentre il
nucleare ha assorbito oltre il 58%.4
62
Come riporta lo studioso Marco Cedolin: secondo
le stime correnti, la quantità di tutto l’uranio
estraibile è nell’ordine dei 3,5 milioni di tonnellate.
Dal momento che il consumo attuale è di 70.000
tonnellate/anno (per coprire solo il 6% della
domanda globale di energia primaria), basteranno
50 anni per esaurire tali scorte (considerando che ci
vogliono almeno 10-12 anni per costru i re una centrale
nucleare). Se ci fosse un “ritorno al nucleare”
l’esaurimento della risorsa sarebbe, però, ancora
più rapido: appena pochi anni.
Gli operatori del mercato dell’uranio sanno benissimo che diventerà tra non molto una merce rara. anche un dato quantomeno strano rispetto
al nucleare: in questi ultimi quattro anni, il prezzo
dell’uranio è salito di circa 20 volte, senza che ci
sia stato alcun aumento della richiesta.
Allo sviluppo dei reattori di IV generazione
(che, secondo i ricercatori, dovrebbe avvenire nel
2030) è affidato il compito di superare questi limiti:
tre delle sei filiere studiate sono reattori veloci
al plutonio e, tra queste, quella più avanti nello
sviluppo è raff reddata con sodio liquido. Il
Superphénix, un reattore veloce al plutonio raffreddato
con sodio liquido, è stato il più grande
fallimento industriale della storia: 13.000 miliardi
di lire per un ventennio (a partire dagli anni
Ottanta), a cui si devono aggiungere 2,1 miliardi
di euro (stimati dalla Corte dei Conti francese per
63
lo smantellamento). Dopo 54 mesi, Superphénix è
stato chiuso nel 1994 per i continui incidenti. I cittadini
italiani non lo sanno ma hanno pagato,
attraverso Enel, il 33% di questa folle spesa.
Le scorie nucleari si possono dividere in diverse
categorie in base al loro stato (solido, liquido o
gassoso), dal potenziale di radioattività in esse
contenuto e dalla durata nel tempo della loro
pericolosità. Sostanzialmente i rifiuti radioattivi si
dividono in tre gruppi:
• le scorie a bassa attività costituite da carta, stracci,
indumenti, guanti, soprascarpe, filtri liquidi.
Un tipico reattore nucleare ne produce annualmente
circa 200 metri cubi (mc);
• le scorie a media attività, costituite dagli scarti di
lavorazione, da liquidi, dalle resine di ioni derivanti
dalle centrali nucleari, dagli impianti di
riprocessamento e dai centri di ricerca. Un tipico
reattore nucleare ne produce circa 100 mc
l’anno;
• le scorie ad alta attività, costituite dal combustibile
nucleare irraggiato e dalle scorie primarie
del riprocessamento, derivanti unicamente dalle
centrali nucleari e dagli impianti di riprocessamento.
Un tipico reattore nucleare ne produce
annualmente circa 30 tonnellate che corrispondono
una volta riprocessate a 4 mc di materiale.
Le scorie a bassa e media attività resteranno
pericolose per centinaia d’anni (circa 300) quelle ad
alta attività, che pur costituendo il 3% del volume
totale rappresentano da sole il 95% della radioattività
complessiva, manterranno la loro carica mortale
per molte migliaia di anni (fino a 250.000 anni).
Periodi lunghissimi, che vanno molto al di là non
solo dell’arco di una vita umana, ma anche della
possibile durata di una “civiltà” e perfino della storia
dell’esistenza umana così per come la conosciamo.
Questi dati dovrebbero bastare da soli a darci
la dimensione dell’incommensurabile grandezza
del problema con il quale ci stiamo confrontando e
dell’assoluta impossibilità della tecnologia scientifica
attuale (e con tutta probabilità anche futura) di
smaltire in qualche maniera l’enorme carico di
materiale radioattivo che anno dopo anno si sta
accumulando (come conseguenza dell’attività delle
oltre 400 centrali nucleari disseminate sul pianeta).
Ogni anno queste centrali, presenti in 31 nazioni,
producono migliaia di tonnellate di scorie.5
Anche nel caso (improbabile) di una perfetta
tenuta delle strutture di stoccaggio per tutto l’arco
di tempo, subentrerebbe comunque l’altissimo
rischio di eventi imponderabili quali guerre, terremoti,
alluvioni e incidenti di vario genere, la cui
possibilità in un periodo così lungo e per come
stanno adesso le cose nel mondo, risulta tutt’altro
che remota.
Le mappe che indicano i depositi esistenti nel
mondo riguardano quasi esclusivamente i rifiuti
nucleari a bassa radioattività e viene spontaneo
domandarsi cosa ne sia stato delle scorie ad alta
radioattività.
In realtà, per custodire i rifiuti nucleari ad alta
radioattività non è stato fatto assolutamente
UN PALAZZO DI PIÙ DI SESSANTA PIANI DI PAURE ATOMICHE
LA MAPPA DEGLI 80.000 METRI CUBI DI SCORIE NUCLEARI IN ITALIA
nulla. O meglio, tutto il gotha della tecnologia
mondiale ha dimostrato di non avere assolutamente
né i mezzi né tanto meno le conoscenze tecnico/
scientifiche per affrontare un problema che
travalica di gran lunga le capacità operative dell’essere
umano, qualunque siano le competenze
tecniche raggiunte. “Rapportarsi con periodi di
tempo il cui ordine è quello delle ere geologiche
significa abbandonare ogni stilla di realismo, per
rifugiarsi fra le pieghe dell’utopia, dell’incoscienza
e della pazzia. Nulla e nessuno potrà mai prevedere
le mutazioni di ogni genere che riguarderanno
il pianeta nei prossimi 100/200.000 anni, né
individuare luoghi o spazi adatti a stipare in sicurezza
le scorie ad alta radioattività in un futuro
tanto lontano”.6
In attesa di una soluzione che mai potrà essere
trovata, le 440 centrali nucleari di cui è costellato
il pianeta lavorano a pieno regime e i rifiuti ad
alta radioattività vengono semplicemente stoccati
in depositi “di fortuna” in attesa di un trasferimento
definitivo che non avverrà mai. Il
Dipartimento dell’Energia (DOE) americano, per
risolvere (in realtà, si tratta piuttosto di “rammendare”)
il problema delle scorie nucleari, impiegherà
dai 70 ai 100 anni, spendendo dai 200 ai
1.000 miliardi di dollari. Con tutta probabilità,
quando il deposito sarà terminato, e cioè non
prima del 2015, la quantità di nuove scorie accumulatesi
nel corso degli anni (al ritmo di 2.300
tonnellate annue) richiederà immediatamente la
costruzione di un nuovo deposito. Inoltre, studi
scientifici effettuati da commissioni non governative
hanno dimostrato che, nel lungo periodo,
sarà impossibile impedire le infiltrazioni delle
acque sotterranee nel deposito.
L’attuale stato di conservazione delle scorie nei
vari paesi è spesso estremamente precario e anche
le più elementari norme di sicurezza non sono
neppure prese in considerazione, costituendo la
potenziale occasione per incidenti di gravità
anche superiore rispetto a quello di Chernobyl.
Questo non avviene solo nei paesi meno sviluppati
e nell’est europeo, ma anche in Europa e
negli Stati Uniti che, dal punto di vista tecnologico,
rappresentano una delle realtà fra le più avanzate
al mondo. Diciamo pure che il problema è
ovunque irrisolvibile, pensate che persino l’uranio
usato nel 1942 da Enrico Fermi è ancora in
attesa di una sistemazione finale.
La “banda dell’atomo” (Berlusconi, Bush,
Sarkozy e compagnia atomica) che, anche in
Italia, sta tentando di riproporsi con la promessa
di energia a buon mercato può solo fingere che i
rifiuti radioattivi non esistano, poiché qualunque
tentativo serio di smaltimento degli stessi, avrebbe
dei costi esorbitanti (a fronte di ben scarsa resa)
e li metterebbe inevitabilmente fuori dai giochi. Il
pericolo più grave, posto nell’immediato, è quello
che alcune organizzazioni (molte delle quali private)
fra quelle che gestiscono le centrali e il loro
contenuto scelgano la strada più semplice e decidano
di far “sparire” le proprie scorie, magari in
fondo al mare o interrandole in vecchie cave e gallerie
in disuso, confidando nel fatto che difficilmente
un simile crimine ecologico verrebbe alla
luce in tempi brevi.
Il rapporto dell’Italia con le proprie scorie
nucleari è esemplificativo. Nel nostro paese tutto
ciò che oggi riguarda il nucleare fa capo alla
Società Gestione Impianti Nucleari S.p.S.
(SOGIN) istituita nel 1999, che ha incorporato
tutte le stru t t u re e le competenze che prima
appartenevano all’Enel nell’ambito del nucleare.
Presidente della SOGIN è il generale Carlo Jean
che, nel febbraio 2003, ha così quantificato i rifiuti
radioattivi presenti in Italia: circa 50.000 metri
cubi (mc) di scorie radioattive a bassa e media
radioattività, circa 8.000 mc di scorie radioattive
ad alta radioattività, 62 tonnellate di combustibile
irraggiato, oltre a ospedali, acciaierie, impianti
petrolchimici e così via che producono circa 500
tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno.

Dal 1989 in poi il cittadino italiano ha iniziato a
pagare, attraverso un’addizionale sulle bollette
Enel, i cosiddetti “oneri nucleari” destinati in un
primo tempo a compensare l’Enel e le altre società
collegate per le perdite conseguenti alla dismissione
delle centrali. Dal 2001 fino al 2021 gli oneri
sono stati destinati alla SOGIN e finalizzati alla
messa in sicurezza degli 80.000 mc di scorie radioattive
frutto dell’attività nucleare. Alla data del
2021 i cittadini avranno pagato attraverso addizionali
sulla bolletta Enel la cifra astronomica di
11 miliardi di euro.

[fonte]