Il Governo continua, infatti, a parlare di nucleare, mentre ha appena firmato accordi europei vincolanti per giungere a una quota del 35 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili al 2020. Il nucleare sottrarrà risorse allo sviluppo delle rinnovabili, oggi ferme al 16 per cento, e il risultato potrebbe essere una nuova procedura d'infrazione davanti alla corte Europea.
Il nucleare non ha risolto nessuno dei suoi problemi, da quello delle scorie alla sicurezza intrinseca alla proliferazione nucleare. Anche raddoppiando l'attuale numero di reattori - cosa che accelererebbe l'esaurimento delle risorse accertate di Uranio che, ai livelli attuali, non superano i cinquant'anni - il contributo del nucleare alla riduzione delle emissioni sarebbe marginale, non oltre il cinque per cento. Con gli stessi investimenti in maggiore efficienza energetica negli usi finali l'effetto di riduzione delle emissioni sarebbe fino a sette volte superiore.
La lobby nucleare cerca di evitare una crisi legata alla marginalizzazione di questa tecnologia che, nei mercati liberalizzati, come in USA, è sostanzialmente ferma da 30 anni. Gli unici investimenti effettuati, infatti, hanno riguardato il ripotenziamento e la manutenzione dei vecchi impianti.
Per la tecnologia francese EPR, esistono solo due cantieri: uno in Finlandia e uno in Francia, nessun impianto è già in funzione. In Finlandia i costi effettivi a metà della costruzione hanno già superato del 50 per cento il budget. L'autorità di sicurezza nucleare finlandese ha riscontrato 2100 non conformità nel corso della costruzione.
Il Presidente Sarkozy, in assenza di nuovi ordinativi, ha annunciato che la Francia, cioè lo stato, chiederà ad AREVA – società quasi interamente pubblica – di costruire un secondo reattore EPR in Francia. Un'implicita dimostrazione che nucleare e mercato non sono compatibili: a ordinare reattori dovrebbe essere un'azienda non lo stato.
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