04/03/10

Il silenzio che avvelena la democrazia

Siamo stati informati della legge nascosta che alleggerisce le pene a chi inquina e nasconde rifiuti tossici? Pochi giorni dopo ecco l’onda nera nel Po… Cosa è successo dell’inchiesta che indaga sui rifiuti pericolosi trafficati illegalmente dal padre della Marcegaglia, presidente di Confindustria? Informazione spenta e opposizione timida. Svegliamoci

Siamo il malato d’Europa. L’Italia culla del diritto, il Paese di Cesare Beccaria è diventato il paese di Niccolò Ghedini, vede la sua Costituzione fatta a pezzi nei capisaldi: l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il diritto all’informazione libera, la tutela della salute e dell’ambiente. E non è tutto.

Il segno irreversibile di questa crisi non è solo in ciò che macroscopicamente appare nella straordinarietà di un capo del governo, re del conflitto d’interessi, plurinquisito che sfugge sistematicamente ai suoi processi: più drammaticamente la crisi democratica si svela nei silenzi, nei vuoti d’informazione delle tante a volte immense illegalità che vengono quotidianamente perpetrate, e che trovano il complice silenzio dell’informazione ufficiale.

Abbiamo letto anche in questi giorni, ma relegate tra le notizie seminascoste dello stillicidio di suicidi tra lavoratori licenziati ed imprenditori in difficoltà, della crisi e delle sue conseguenze non si parla, perché la crisi economica non esiste, non ci sono le cessazioni d’attività e le delocalizzazioni selvagge, per non compromettere il clima che deve restare comunque positivo intorno al Governo, come un incantesimo, veniamo trastullati da bambini inconsapevoli. Perché disvelare questa crisi significherebbe comprenderne la portata, le incongruenze del vuoto dell’azione di governo, le drammatiche conseguenze per migliaia di lavoratori e di famiglie. I suicidi sono la manifestazione di una società resa sempre più fragile, di persone abbandonate a se stesse ed alla loro disperazione nella solitudine totale.

I telegiornali non hanno potuto nascondere l’immenso danno causato dallo sversamento di migliaia di tonnellate di liquami nel Lambro e nel Po, naturalmente non trascurando di esaltare le prodigiose quasi miracolistiche capacità della Protezione Civile di Bertolaso di curare anche questa ferita; ma non ha trovato alcuno spazio la notizia, non meno grave, del disegno di legge approvato venti giorni fa dal Governo proprio a favore degli inquinatori, attraverso il declassamento delle pene per gli scarichi di materiali inquinanti. Chissà se non sia addirittura stata un’azione preventiva per alleggerire il carico di responsabilità per i delinquenti lombardi, però nessun quotidiano (nemmeno tra quelli vicini al centrosinistra) ha fornito questa informazione.

Penso che questa vera e propria crisi democratica richieda una profonda revisione politica innanzituttto per l’opposizione, finora troppo debole, per non dire del tutto inefficace; non solo perché non è risuscita a rovesciare Berlusconi, soprattutto perché appare, ancora ora, troppo a rimorchio di una concezione del potere politico come censo, forza separata, lontana dalle sensibilità e dalle aspettative del suo stesso elettorato.

La questione morale – in tutto l’arco delle sue variabili: dal malcostume individuale, alla corruzione diffusa, alle collusioni con mafie e massonerie – richiede una mobilitazione delle coscienze, un netto rifiuto di ogni debolezza; e pure invece finora è stata timida la risposta, quasi impacciata, come se “disturbare i manovratori del potere e dell’economia”, quand’anche compromessi da pratiche illegali, significhi danneggiare l’ordinato, si fa per dire, svolgimento “naturale” delle cose; come si può interpretare se non in questo senso l’imbarazzato silenzio verso il coinvolgimento di Steno Marcegaglia, padre del presidente della Confindustria e di un’impresa del suo gruppo, in un’indagine sul riciclaggio illegale di rifiuti tossici? Anche questa non è una notizia?

Serve uno scatto di dignità e di autonomia, il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, perché il Paese non cambierà se non si realizza una rivoluzione morale, se le forze sane, i cittadini che lavorano, non diventano protagonisti di un moto di vera e propria liberazione delle coscienze.

Il nostro è un Paese ormai spaccato, come se ci fossero due società: una parte che sa sempre cosa fare, che difende i suoi grandi o piccoli privilegi con tenace accanimento, l’Italia di quelli che non pagano le tasse, che costruiscono senza licenza edilizia, che la fanno quasi sempre franca. E gli altri che arrancano perché devono cavarsela da soli e tirano la carretta, i fessi!

Il sistema politico appare tutto collocato in quella prima parte, anche se per fortuna non è del tutto vero, ma lo sappiamo in pochi; l’antipolitica ed il qualunquismo sono l’altra faccia della sottomissione; la percezione è che non c’è la forza per una vera e propria svolta, che troppi fili, troppi legami tengono unite maggioranza ed opposizione in un’unica concezione del potere, questo è il sintomo vero di un “mal sottile” che semina sfiducia nel cittadino.

Come fare? Fortunatamente non tutto è fermo e le energie di una società comunque viva si stanno manifestando: le grandi manifestazioni dei viola, i tenaci comitati per la Costituzione, il popolo giallo dei lavoratori stranieri venuto numeroso e colorato alla ribalta, i sindacati dei lavoratori (in primis la CGIL e quelli di base), le associazioni, le reti, gli attivisti dell’ambiente, le forze avanzate della Chiesa cattolica, gli intellettuali non in sonno… L’Italia è fortunatamente ancora il Paese dell’intelligenza, delle grandi passioni civili di chi resiste indomitamente ai soprusi, al conformismo ed alla volgarità dilagate.

Da questa parte forte e diffusa della società deve partire un vasto ed articolato movimento unitario che sappia indicare alle forze politiche la strada di un profondo rinnovamento, cominciando dal rifiuto delle pratiche consociative, delle mezze misure, del “ma-anchismo” che ci ha condannato all’immobilità.

Occorre aver fiducia, ma è assolutamente necessario non mollare la presa perché questa destra un po’ disperata – come appare in questi giorni in cui molti nodi stanno venendo al pettine e, nonostante l’oblio, la sua crisi emerga in tutta l’inusitata gravità -, questa destra anticostituzionale può riservarci brutte sorprese. Quindi vigilanza democratica prima di tutto.

di Sergio Caserta
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà

03/03/10

3 giorni per salvare gli oceani

Cari amici,

Entro pochi giorni, il governo inglese potrebbe creare la più estesa Area Marina Protetta del mondo. Ma i potenti interessi commerciali della pesca lo vogliono ostacolare. Lanciamo un'ondata di sostegno per salvare i nostri oceani. Firma la petizione in basso, e inoltra questa email a tutti quelli che conosci:

Questo venerdì il governo inglese potrebbe passare alla storia creando l'Area Marina Protetta più estesa del mondo intorno alle Isole Chagos.

I nostri ecosistemi oceanici stanno letteralmente moren do sotto la pressione della pesca commerciale massiccia e incontrollata e dell'inquinamento. Questa decisione potrebbe iniziare a cambiare il corso degli eventi. Ma le compagnie di pesca commerciale si stanno opponendo alla mossa , mettendo i profitti a breve termine al primo posto. Non possiamo permettere che questo accada – abbiamo già perso più del 90% dei grandi pesci come il tonno e il marlin.

Insieme, lanciamo un'ondata di sostegno pubblico globale al governo inglese, chiedendo di essere forti e proteggere gli oceani dallo sfruttamento. Firma la petizione in basso,poi inoltrala a tutti quelli che conosci. Sarà consegnata al Segretario per gli Affari Esteri David Miliband entro il termine ultimo di venerdì prossimo!

http://www.avaaz.org/it/save_our_oceans/?vl

I report sono tremendi: nei prossimi 38 anni, i nostri ocea ni potrebbero essere completamente sfruttati dalla pesca, nei prossimi 100 anni tutte le barriere coralline potrebbero essere morte. Questa azione da sola non sarà sufficiente per invertire la tendenza. Ma servirà a creare un'Area Marina Protetta di 210.000 miglia quadrate – più estesa della Grande Barriera Corallina.

Per salvare veramente gli oceani dal collasso avremo bisogno di una forte leadership politica, e di cittadini che agiscano con impegno. Nel 2010, l'Anno Internazionale della Biodiversità, una decisione del Regno Unito per creare l'Area Marina Protetta più grande del mondo assicurerebbe un'eredità di conservazione senza precedenti per scala e significato. Questo costituirebbe un chiaro esempio per altri governi in tutto il mondo.

Sovrastiamo le voci delle compagnie di pesca commerciale e gettiamo le basi per proteggere i nostri oceani per le generazioni future. Firma la petizione in basso e inoltrala ad amici e familiari:

http://www.avaaz.org/it/save_our_oceans/?vl

Con speranza,

Alice, Iain, Paul, il resto del team Avaaz e l'Ass. Cult. PropitQmò

Ulteriori informazioni:

La campagna Protect Chagos:
http://bit.ly/aYibRB

Barriere coralline: entro il 2100 cominceranno a sparire:
http://www.ecologiae.com/barriere-coralline-2100-sparire/13413/

Il problema della sovrapesca (inglese):
http://overfishing.org/pages/why_is_overfishing_a_problem.php

CHI SIAMO
Avaaz.org è un'organizzazione non-profit e indipendente, che lavora con campagne di sensibilizzazione in modo che le opinioni e i valori dei popoli del mondo abbiano un impatto sulle decisioni globali. (Avaaz significa "voce" in molte lingue.) Avaaz non riceve fondi da governi o aziende ed è composta da un team internazionale di persone sparse tra Londra, Rio de Janeiro, New York, Parigi, Washington e Ginevra. +1 888 922 8229

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PROIBIZIONISMO E CAPITALISMO

Negli ultimi tempi, dopo la ormai famosa intervista rilasciata dal cantante Morgan, i mezzi di comunicazione di massa hanno riportato alla ribalta nazionale il tema della droga. L’impostazione data alla discussione nei salotti televisivi è, come sempre, distorta, mistificante e strumentale. Evidentemente si intende avallare la linea legislativa di segno proibizionista adottata dal governo in carica, ma rispondente ad un orientamento molto diffuso e trasversale agli schieramenti politici parlamentari. Una linea che fa capo ad una legge che reca i nomi degli onorevoli Fini e Giovanardi, il cui intento dichiarato sin dall’inizio è quello di colpevolizzare i tossicomani, giudicati alla stregua di criminali spacciatori, cancellando quindi la “liceità” del consumo personale.

Come argomentano i sostenitori della legislazione vigente, la gravità della situazione sarebbe causata dal “permissivismo” contenuto nell’idea di “modica quantità”, un concetto avvalorato e incoraggiato dall’affermazione della cosiddetta “cultura della droga” riconducibile alle “culture alternative” o “controculture” diffuse ed egemoni negli anni ’60 e ‘70. In effetti questo è il ragionamento, assai rozzo e semplicistico, seguito dai fautori della legge. Invece, è un dato incontestabile che la causa reale dei crimini abitualmente perpetrati nelle aree urbane più degradate, ad esempio i reati commessi dai tossicomani più giovani, risieda nell’esatto contrario del permissivismo, vale a dire in quel regime proibizionista che di fatto determina in modo decisivo l’intera questione. Un regime che la legge Fini/Giovanardi ha reso più crudo, criminalizzando non solo le abitudini di milioni di consumatori di droghe leggere, ma penalizzando anche altri comportamenti, fino a violare e calpestare alcuni diritti sanciti dalla Costituzione.

Le misure draconiane previste dalla legge vigente mirano a reprimere il diritto allo “sballo”, ma non ne eliminano le cause effettive, nella misura in cui le ragioni del disagio e dell’alienazione giovanile nelle droghe sono di natura sociale, esistenziale, psicologica, culturale, ma non certo giuridica. Inoltre, le norme punitive investono solo i piccoli spacciatori, ossia gli abituali consumatori di sostanze narcotiche. Mi permetto di aggiungere che la nozione di "disagio giovanile" è fuorviante in quanto il disagio non è legato ad una condizione anagrafica. E’ invece più corretto parlare di "disagio sociale", benché il malessere investa soprattutto le "categorie" dei giovani e degli anziani, cioè le fasce più indifese della società, più esposte alle avversità, anzitutto materiali, che l'esistenza quotidiana oppone agli esseri umani senza alcuna speranza di superamento.

Tale disegno politico cela una perversa volontà di esasperare il fenomeno della violenza urbana, specialmente di quella minorile. L’esperienza storica ha dimostrato che l’imbarbarimento di una già ferrea disciplina repressiva non fa altro che scatenare l’effetto contrario, generando fenomeni di recrudescenza e l’aumento della rabbia, del malessere e della disperazione. Il problema delle tossicodipendenze non è una questione di ordine pubblico, benché come tale viene considerata, rinunciando ad un’analisi razionale del fenomeno e ad una rigorosa prassi politico-sociale, per abdicare a favore dell’azione poliziesca ed invocare una crescente militarizzazione del territorio.

Tale orientamento, che coincide con lo spirito autoritario e repressivo che non anima solo l’attuale governo, non ha mai debellato o inibito alcuni atteggiamenti considerati "devianti", ma al contrario li ha incentivati ed esasperati. È indubbio che alcune sostanze, come le cosiddette "droghe pesanti", siano letali, per cui chi ne abusa rischia la morte, ma è altrettanto evidente che la pericolosità di tali droghe, proprio in quanto proibite, rischia di essere accentuata. Del resto, qualsiasi comportamento che produca effetti nocivi per la salute psicofisica delle persone (si pensi all’abuso di psicofarmaci e superalcolici o all’assunzione abituale di nicotina), nella misura in cui è ridotto ad un problema di ordine pubblico, essendo vietato e perseguito penalmente, potrebbe accrescere il livello della tensione sociale, degenerando in atti criminali condannati alla clandestinità e provocando una crescente e pericolosa spirale di violenza. Tale sistema di legge costituisce un ulteriore segnale che attesta l’involuzione in senso codino e reazionario di una parte notevole della classe dirigente italiana, a cui non corrisponde un pari fenomeno regressivo nella società civile, che in tal modo si discosta e si estrania sempre più dagli ambienti, dagli umori e dai poteri istituzionali del “Palazzo”.

Invece, bisognerebbe affrontare il problema partendo da una riflessione lucida e razionale, libera da condizionamenti di natura emotiva e moralistica. Si tratta di compiere una radicale inversione di rotta rispetto alla linea politica finora seguita. Il problema delle tossicodipendenze non si può fronteggiare usando la forza pubblica o assumendo iniziative di segregazione e colpevolizzazione sociale e morale. Al contrario si deve prendere coscienza della reale natura del problema, dissimulata e mistificata sotto una veste superficiale che viene deformata dalle reazioni più emotive ed irrazionali suscitate dal sistema repressivo vigente. Bisogna rendersi conto della pericolosità sociale delle risposte repressive ed alienanti messe in moto dalla macchina propagandistica del regime proibizionista, che è storicamente e politicamente fallito.

Bisogna rendersi conto che in una società che ormai è diventata di massa, in cui prevalgono tendenze e comportamenti consumistici di massa, è inevitabile che anche il consumo di quelle sostanze definite “droghe” si affermi come abitudine diffusa, anzitutto per un effetto di emulazione e omologazione culturale, cioè in virtù di uno strumento di persuasione assai efficace, comunemente detto “moda”.

In questo ragionamento occupa una posizione centrale il tema della mercificazione del “tempo libero”. La società borghese ha imposto da tempo un’ideologia distorta e mistificante del “tempo libero”, inteso falsamente come una frazione della vita quotidiana libera da impegni di lavoro e di studio, quindi di impegno e lotta politica, da destinare agli svaghi, ai divertimenti, agli “sballi”, alle vacanze, cioè ai consumi economici. Tale mistificazione ideologica è funzionale ad un processo di mercificazione e privatizzazione del “tempo libero” che è un ulteriore momento di alienazione dell’individuo nella fruizione passiva e consumistica di prodotti offerti dall’industria del “tempo libero” e del “divertimento” quali il sesso, la musica, lo sport e le droghe.

Le periodiche campagne mediatiche sulla criminalità e l’ordine pubblico sono ingannevoli e strumentali. Anzitutto si evita accuratamente di analizzare le origini della criminalità comune e di confrontarla con la criminalità delle classi dominanti (guerre, mafia, omicidi bianchi, bancarotta, evasione fiscale, ecc.) che non è mai menzionata dai media ufficiali. Per gli organi di informazione l’unica criminalità esistente è quella dei proletari, degli emarginati, dei migranti. Le classi dominanti mantengono il sistema con la violenza, mediante il monopolio e l’esercizio della forza pubblica, riversando la loro violenza sul proletariato, in particolare sul proletariato giovanile più marginale. Ci troviamo di fronte ad una cinica e perversa opera di criminalizzazione della vita quotidiana, che si avvale di molteplici strumenti economici, sociali, politici, legislativi, tra cui figura anche il regime proibizionista vigente in materia di alcune droghe.

Sul piano economico e politico una sostanza come l’eroina è funzionale ad un sistema retto sul dominio e sulla criminalità di classe. Dal punto di vista economico, benché l’eroinomane non costituisca una forza-lavoro intesa secondo i canoni tradizionali, tuttavia egli, ridotto ad essere uno schiavo della sostanza, un maniaco dipendente, pronto a rubare, spacciare, alimentare il mercato nero, produce reddito illegale in quanto forza-lavoro, come, se non meglio di un lavoratore normale, pretendendo in cambio nessun salario e nessun contratto sindacale. Sul versante politico, gli assuntori di eroina non solo cessano di opporsi attivamente al sistema, ma offrono un terreno fertile per la repressione e la provocazione contro i movimenti giovanili di lotta e di protesta.

Oggi è sempre più impercettibile il confine tra legalità e illegalità, tra economia legale e illegale, tra la cosiddetta “mafia capitalista”, inserita nei circuiti finanziari istituzionali, e la criminalità mafiosa convenzionalmente intesa. Il delitto è assunto al livello della legge e della norma su scala globale. Quella che prima si poteva considerare come una “devianza dalla norma” si è tramutata nel suo esatto contrario, poiché la devianza si è imposta come norma, intendendo per “devianza” soprattutto il delitto, a cominciare dai peggiori crimini commessi dal sistema economico capitalistico a livello planetario.

Concludo avanzando, se possibile, una semplice proposta di buon senso. Sgombrando il campo da ogni luogo comune, come la tesi che equipara le "droghe leggere" a quelle "pesanti", il problema delle tossicodipendenze appare per quello che in effetti è: una questione di ordine educativo e socio-culturale, da un lato, e una grave emergenza sanitaria, dall’altro. Pertanto, credo sia necessario perseguire una triplice finalità:

- promuovere una campagna di controinformazione e sensibilizzazione preventiva per abbattere lo stato di ignoranza che genera pregiudizi e allarmismo sociale;

- avviare alcune iniziative sui territori per metterli in condizione di fronteggiare l’emergenza sanitaria che presuppone l’esistenza di presidi di pronto intervento;

- realizzare una serie di misure e progetti socio-educativi in grado di far fronte al degrado esistente soprattutto in alcune aree sociali metropolitane.

[fonte: http://www.arcoiris.tv articolo di Lucio Garofalo]

01/03/10

RACCONTI DI ORDINARI STERMINI

Il dolore DELLA CARNE
Oggetto spesso di sospetto e di ironia, i vegetariani trovano ora in Jonathan Safran Foer un autorevole e appassionato portavoce. Con il suo ultimo libro, «Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?», lo scrittore statunitense, sulla scia di Isaac Bashevis Singer e di J.M. Coetzee, denuncia gli orrori delle multinazionali dell'allevamento e del macello
Alla vigilia del vertice sul cambiamento climatico di Copenhagen, lo scorso dicembre, Paul McCartney si presentò al Parlamento Europeo. In quell'occasione pronunciò un discorso in favore della riduzione del consumo di carne, ricordando il fatto ben documentato che l'allevamento su scala industriale è tra le prime cause di emissioni di gas serra e riscaldamento globale. Mezzo mondo reagì però con le sopracciglia alzate all'apparizione di Sir Paul, quando non con aperto scherno; fuori dal parlamento, un gruppo della lobby degli allevatori organizzava un barbecue a cielo aperto, con hamburger e salsicce, rispondendo con sarcasmo al discorso del baronetto.
Ora, se da un lato si può comprendere l'ostilità verso l'ennesimo miliardario famoso che pretende di impartire lezioni di etica, dall'altro questo episodio appare un esempio della reazione più comune a un tema, come il vegetarianesimo, semplice e pacato eppure a quanto pare disturbante. Come ogni vegetariano sa per esperienza, pochi argomenti suscitano un tale misto di incomprensione, sospetto, ironia qualunquista, quanto la scelta di non consumare carne. Tra le classiche obiezioni mosse a chi non mangia cibi di provenienza animale, due sono molto radicate, una legata alla tradizione culturale (l'uomo alleva animali dal tempo dei tempi), l'altra alla tradizione naturale (gli animali vengono mangiati da altri animali). Obiezioni che potevano forse avere qualche presa fino a un secolo fa, quando ancora l'allevamento si basava su metodi tradizionali e su una figura di allevatore che conosceva e rispettava i suoi animali. Oggi, mangiare carne significa quasi sempre consumare i prodotti dell'allevamento e del macello industriali, gigantesche multinazionali che gestiscono nascita e morte di miliardi e miliardi di esseri viventi. Un sistema scientificamente organizzato sul dolore, la tortura, la manipolazione genetica, la reclusione in spazi sovraffollati fino alla morte per soffocamento, i metodi di uccisione più orrorifici.

Un'eterna Treblinka
Pare che Adolf Hitler soffrisse di stomaco nervoso e flatulenza. Quando il dittatore scoprì che ridurre la carne rendeva meno puzzolenti le sue emissioni intestinali, provò a privilegiare i consumi vegetali. In realtà, nonostante la leggenda che fosse vegetariano, Hitler non abbandonò mai le adorate salsicce bavaresi e altri piatti di carne, e con i vegetariani veri fu sempre feroce. Mise al bando le associazioni vegetariane in Germania e più tardi nei territori occupati; il pacifista e vegetariano tedesco Edgar Kupfer-Koberwitz dovette rifugiarsi a Parigi e poi in Italia, dove fu infine arrestato dalla Gestapo e spedito a Dachau.
Tutte vicende che venivano ricordate in un saggio di qualche anno fa, Un'eterna Treblinka di Charles Patterson (in Italia pubblicato da Editori Riuniti, pp. 320, euro 16). Oltre a occuparsi delle abitudini alimentari del Führer, Patterson analizza la genesi del modello di sterminio nei lager nazisti, arrivando a suggerire che questo modello avesse una forma di origine comune, e numerose affinità tecnico-operative, con il sistema industriale di allevamento e macello americano.

Catena di montaggio
Se un simile confronto potrà sembrare ad alcuni fuori luogo, va ricordato che il primo a farlo era stato in realtà Isaac Bashevis Singer: fu infatti l'autore della Famiglia Moskat a suggerire che «per gli animali, si tratta di un'eterna Treblinka», richiamando il fantasma del famigerato campo di sterminio. D'altro canto, l'efficiente macchina del macello animale aveva già ispirato altre imprese. Henry Ford, l'industriale delle automobili, confessò che era stata la visita a un mattatoio di Chicago a suggerirgli l'idea per un sistema di lavoro basato sulla catena di montaggio. Nei macelli si trattava di smembrare cadaveri animali nel minor tempo possibile; nelle fabbriche, si sarebbe trattato di assemblare automobili in un tempo altrettanto veloce.
La tendenza a liquidare il vegetarianesimo come faccenda per anime belle o per intellettuali saputelli potrebbe quasi trovare conferma, a un primo superficiale sguardo, di fronte a un testo appena uscito in Italia: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? di Jonathan Safran Foer (Guanda, pp. 368, euro 18). Ecco un giovane e famoso scrittore americano, con casetta in un bel quartiere di Brooklyn, che alla nascita del primo figlio si lascia prendere da angosce borghesi su cosa sia giusto dargli da mangiare, e si mette a scrivere un'inchiesta-riflessione sul più controverso dei cibi: la carne. Potrebbe suonare così la storia del libro. Se non fosse che Foer è uno scrittore autentico, ovvero mosso da un senso di piena necessità e capace di immergersi nel tema con una profondità stilistico-letteraria che corrisponde a una profondità di analisi filosofica, di risonanza metaforica, di coinvolgimento emotivo.
Frutto di tre anni di lavoro, impeccabilmente documentato, abbastanza ironico da evitare i toni della lezioncina e abbastanza drammatico da provocare brividi di abissale disagio, il libro ha suscitato rumore negli Stati Uniti, un misto di commenti entusiasti e molto ostili. Anche qui, vari recensori hanno preferito alzare un muro di scetticismo, trattando il libro come l'ennesimo caso di scontro tra i castelli in aria dei vegetariani e il realismo dei carnivori, i quali invece sarebbero impegnati a pensare a questioni più serie. Con notevole disonestà critica, la giornalista letteraria più bizzosa d'America, Michiko Kakutani del «New York Times», liquidava il libro chiedendo perché Foer non si dedicasse a cause migliori.

Paludi tossiche
«La carne solleva rilevanti questioni filosofiche ed è un'industria da più di centoquaranta miliardi di dollari all'anno, che occupa quasi un terzo delle terre emerse del pianeta, condiziona gli ecosistemi marini e potrebbe anche determinare il clima futuro sulla Terra», ricorda con asciuttezza Foer nel suo libro. E più avanti: «Quanto distruttiva dev'essere una preferenza culinaria prima di farci decidere di mangiare dell'altro?». L'industria dell'allevamento sostiene che il suo obiettivo è sfamare il mondo, ma è difficile vedere come un sistema che consuma colossali risorse agricole, e fa nascere animali dalla genetica così compromessa da non potersi più riprodurre per via naturale, possa avere a cuore le sorti del mondo. A essere alimentata sembra piuttosto l'ossessione che ci fa consumare una quantità insensata di proteine animali, molte più di quante l'umanità abbia mai consumato in precedenza.
Tra le tante immagini efficaci che emergono dal libro c'è quella delle paludi tossiche accanto ai grandi allevamenti americani. Ora, immaginiamo pozzi neri all'aria aperta grandi come campi da calcio, destinati a raccogliere gli escrementi degli animali: gli scarichi di queste paludi finiscono spesso in contatto con fiumi e falde acquifere, con effetti terrificanti. Quando sono sul punto di traboccare, talvolta la soluzione è quella di spruzzarli letteralmente in aria, «un geyser di merda che spande un aerosol di feci, creando vortici gassosi capaci di provocare gravi danni neurologici. Le comunità che vivono nei pressi di questi allevamenti intensivi lamentano problemi di epistassi persistenti, otalgie, diarree croniche e bruciori ai polmoni».
Quando Foer si introduce, una notte, in un allevamento di tacchini in compagnia di una giovane attivista, a prima vista i pulcini ammassati nel capannone gli paiono tutti uguali. Stanno lì, storditi, sotto le impassibili luci artificiali. Solo quando i suoi occhi si abituano a distinguere in quella massa di animali, si accorge della quantità sconcertante di pulcini deformi, disidratati, coperti di sangue e di piaghe, e di quelli che giacciono già morti.
La casistica del dolore nell'industria della carne è sterminata e documentata da migliaia di confessioni di lavoratori, materiali video girati in segreto, statistiche di enti governativi. Si va dai milioni di polli che finiscono vivi nelle vasche di scottatura ai bovini che, per la stessa incuria nella catena di lavoro, finiscono scuoiati mentre sono ancora coscienti. Ci sono animali storditi apposta in modo blando, in modo che il cuore stia ancora pompando quando vengono sgozzati e il dissanguamento sia più veloce. Quantità impressionanti di volatili con fratture alle ossa per le procedure con cui vengono trasportati. Becchi tagliati, code mozzate, denti tranciati, maialini castrati, il tutto senza anestesia. Reclusione e assenza di movimento che provocano problemi ossei, deformità e pazzia, animali che si strofinano contro le sbarre fino a coprirsi di piaghe infette.
Ci sono poi le sevizie praticate da lavoratori frustrati e sottopagati: maiali gettati ad annegare nelle paludi dei liquami, scrofe gravide bastonate, volatili schiacciati sotto i piedi e sbattuti contro il muro, sigarette spente addosso agli animali, percosse con martelli, pungoli elettrici nell'ano, il tutto nell'indifferenza dei superiori. Non casi isolati ma fenomeni così estesi da costituire la norma.
Senza contare il bombardamento di antibiotici, ormoni e altre medicine per sostituire la totale assenza di ambiente naturale; le manipolazioni genetiche che fanno nascere animali-mostri, incapaci di sopravvivere oltre la propria adolescenza, sempre più deformi e vittime di sofferenze congenite. Nascere nel dolore, vivere nel dolore, morire nel dolore: l'organizzazione sistematica e su larga scala di una simile quantità di dolore non ha precedenti storici. Certo, non si tratta di dolore umano. Ma vogliamo ancora negare, contro ogni evidenza scientifica e di buon senso, che gli animali possano provare sensazioni e avere una vita emotiva?

Gli utilizzatori finali
Mentre il libro di Foer fornisce dati relativi soprattutto alla situazione americana, la realtà europea sembra fornire ufficialmente qualche tutela in più agli animali. Ma è facile comprendere che ovunque miliardi di esseri viventi vengono trattati come oggetti, elementi di una catena di montaggio-smontaggio, prigionieri di un processo tecnico che non li riconosce come viventi, si apre lo spazio per l'atrocità. Dall'altra parte ci sono i consumatori, utilizzatori finali di questa atrocità, felici di non farsi troppe domande su cosa ci sia dietro la carne plastificata, anonima e a poco prezzo che trovano al supermercato.
Come dice a Foer un allevatore tradizionale, che tenta di combattere i sistemi dell'allevamento industriale: «Gli animali hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto in qualunque momento a un prezzo irrisorio». Mentre la nonna di Foer, ebrea scappata attraverso l'Europa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ricorda al nipote che è assai pericoloso mangiare senza riconoscere il proprio cibo. Pur ridotta alla fame lei rifiutò, per tradizione kosher, di mangiare maiale: «Se niente importa, non c'è più niente da salvare».

di Marco Mancassola

25/02/10

PETIZIONE POPOLARE: NON ABBIAMO BISOGNO DEL NUCLEARE

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Al Presidente della Repubblica,
Al Presidente del Senato,
Al Presidente della Camera Deputati,
Al Presidente del Consiglio,
Ai Parlamentari tutti

Noi cittadini e cittadine italiane, visto il “Piano Triennale per lo Sviluppo”, approvato dal Consiglio dei Ministri, che lancia “il ritorno all’energia nucleare”, facciamo presente che:

a. Il popolo italiano ha votato a larghissima maggioranza, con i 3 referendum del 1987, l'uscita definitiva dell'Italia dall'avventura nucleare, come hanno deciso anche Austria e Polonia (che non hanno avviato le loro centrali già costruite), Danimarca, Grecia, Norvegia e Irlanda (che hanno rinunciato alla loro costruzione), Germania, Belgio, Olanda, Spagna e Svezia (che hanno deciso di non costruire più centrali nucleari nel loro territorio, puntando sulle energie rinnovabili).

b. Il nucleare non ci libera dalla dipendenza dall'estero: l’uranio è una fonte esauribile; per far funzionare le centrali dovremmo importarlo e il suo prezzo sta salendo ancora più rapidamente del petrolio: dal 2001 al 2007 si è moltiplicato per dieci.

c. Non esiste il nucleare “sicuro” e “pulito”: i reattori di “quarta generazione” sono previsti tra 25-35 anni (dopo il 2030, attorno al 2040); intanto il governo vuole costruire centrali di “terza generazione” che non hanno risolto né il problema della sicurezza ( non c'è solo Cernobyl, ma decine di incidenti gravissimi come quelli che hanno provocato 7 morti nelle centrali giapponesi tra il 1995 e il 2005) né di come smaltire le scorie che restano radioattive per centinaia e migliaia di anni.

d. La strada maestra sono le energie rinnovabili: Germania, Spagna, Austria, Grecia, Danimarca e tanti altri stati, europei e non, si stanno liberando dalla schiavitù del petrolio investendo grandi risorse sull'energia solare termica, fotovoltaica e a concentrazione, sull’energia eolica e sul risparmio e razionalizzazione degli attuali consumi. In Italia basterebbe coprire di pannelli fotovoltaici solo lo 0,1% (un millesimo) del territorio nazionale (utilizzando un decimo di tetti, pensiline, barriere autostradali ecc.) per soddisfare il 20% del fabbisogno nazionale di energia elettrica.

e. Il nucleare è fuori mercato, vive grazie a sovvenzioni statali e militari: Le stime Usa per i nuovi impianti danno il costo del kWh nucleare a 6.3 cent, addirittura il 20% in più dei 5,5 cent del gas o 5,6 del carbone (anche questi, peraltro, dannosi per la salute e l’ambiente). Per questo negli Usa, nonostante gli enormi incentivi stanziati da Bush, nessun privato ci investe dal 1976. L'unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia, perchè quello stato carica sul proprio bilancio (dei contribuenti) smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale (che costa quasi come la costruzione). Gli altri 8 stati che, nel mondo, investono nel nucleare, lo fanno, quasi tutti, per produrre anche materia prima per le bombe: Cina, India, Russia, Pakistan, Giappone, Argentina, Romania e l'Iran, attualmente nel mirino degli Usa, perchè non è suo alleato.

Perciò chiediamo ai massimi rappresentanti di Stato e Parlamento di non tradire la volontà popolare e non imboccare, con i nostri soldi, questo costosissimo vicolo cieco.

I firmatari sono informati, ai sensi dell’art. 13 decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [Codice in materia di protezione dei dati personali], che promotrice della petizione è la lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE con sede nazionale in Ferrara, Piazzale Stazione 15 , e che possono esercitare i diritti di cui all´art. 7 del codice della privacy scrivendo al responsabile del trattamento dati personali dott.ssa Benini Monia. I dati personali verranno trattati per le sole finalità della presente petizione.